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Emanuele Filiberto, erede della sua corona, stava da molto tempo in pcverissimo arnese alla corte di Carlo V, dove aveva pa titi << bisogni molto contrarj alla qualità della sua casa, con tanto << cordoglio, che senza che si trovasse il cuore tanto gagliardo quanto << l'aveva portato dalle materne viscere, gli sarebbe stato insopportabile (52) ». La Provvidenza aveva stabilito che per l'amara prova delle sventure la casa di Savoja dovesse salire a maggiore altezza!

È famosa nelle istorie la battaglia di San Quintino (53). Emanuele Filiberto, al cui senno e valore doveva la Spagna sì splendida vittoria, col trattato di Castel Cambresi (54) recuperò l'avito retaggio. Ma in quali miseraude condizioni era mai ridotto! Le fortezze parte in mano degli Spagnoli, parte dei Francesi; le finanze distrutte; ogni prosperità manomessa; qualunque ordine civile sconvolto; le leggi andate in oblio; il popolo senza industria, senza coraggio, senza virtù, senza fede in nulla, e, come sempre accade quando siamo in fondo, non di altro curante che di mangiare e di bere. Lo Scaligero ci dipinge i Piemontesi di quel tempo come

« Gens laeta, hilaris, addicta choreis,

Nil curans quidquid crastina bona ferat ».

Gli ambasciatori veneti confermano il giudizio del letterato: « I po« poli ( essi dicono) non sanno industriarsi ad altro esercizio che << di lavorare le terre; e lo dimostrano molto bene le case loro, nelle <«< quali non si vede tanta roba che valga quattro danari. Parlo dei << comuni del contado. e del popolo ancora, perchè neppure hanno << letti sui quali dormire, ma in cambio di quelli usano certi sacconi pieni di foglie d'alberi, godendosi il mondo appunto in quel modo << nel quale lo trovarono quando ci vennero. I Piemontesi nascono <«< buoni soldati, ma non si curano nè di arti, nè di commercio, ad << imitazione di Napoli; e lasciano che i forestieri si arricchiscano. << Non hanno altro pensiero che di attendere a mangiare, a bere, ed << ai piaceri: e credami Vostra Sublimità, che non vi è artefice tanto << basso, che non voglia mangiare salvaticine, e darsi piacere. Il duca <«< impiega ogni opera per risvegliarli, ma con poco profitto. Gli po

(52) Così scriveva nel dicembre 1547 al re di Portogallo suo zio. (53) 10 agosto 1557.

(54) 2 aprile 4559.

* poli che abitano la Savoja sono timidi e vili; non si danno ad al<«< cuno esercizio, nè tampoco a quello delle armi, e fecero vedere << questa poca inclinazione, allorquando il signor duca ordinò una << milizia per la quale avendo speso più di seimila scudi in armi, in << poco tempo ritrovarono che de' morioni e corsaletti se n'erano

serviti in far delle pignatte e degli spiedi. Li nobili e feudatarj << (della Savoja) sono superbi e altieri, e poco migliori della plebe ». Emanuele Filiberto non per questo si scoraggiò.

Recuperando egli lo Stato, ebbe la fortuna (e contro l'espettativa di entrambi i perigliosi vicini) di aver prole cui assicurare la successione, da Margherita di Francia donna d'animo grande ma già provetta quando la sposò, e di riuscire ancora a due fini che sembravano di quasi impossibile conseguimento. Mutò il costume del popolo, talche in pochi anni lo ridusse operoso, industre, economo e guerriero; e trasformò un paese povero, debole, diviso e corrotto in uno dei più forti e meglio ordinati regni d'Europa. Ad ottenere questi effetti ci volevano mente ardita, cuore gagliardo, operosità indefessa, sapienza nei provvedimenti, persistenza longanime e grande per eseguirli e cavarne il frutto, tutte le virtù insomma per le quali gli eroi giungono a dominare col loro prestigio sulle moltitudini e, volgendole come e dove vogliono, sanno fare portenti. Ma tali virtù non mancavano ad Emanuele Filiberto, che fu chiamato a buon dritto il secondo fondatore della monarchia di Savoja.

<< Sempre negozia in piede (così ce lo dipinge l'ambasciatore di << Venezia) o camminando. Sta pochissimo in letto, parla poche pa<< role ma piene di sugo. È tutto nervo con poca carne, ed ha << negli occhi ed in tutti i movimenti del corpo una grazia che << quasi eccede la umanità. In tutte le sue azioni ha una gravità ma<< ravigliosa e grandezza, e veramente par nato a signoreggiare. « Parla italiano, francese, spagnolo, tedesco, fiammingo, sicchè par "nato in mezzo a loro. Accetta di sua mano tutte le suppliche, << volendo che la giustizia si distribuisca sì al povero che al ricco. << Fa grandissima professione della sua parola, e mi ha detto più << volte, che piuttosto che mancarvi perderebbe la vita e lo Stato. << Invece di gentiluomini di bocca e di camera non si serve che di << cavalieri di San Maurizio, per indurre i nobili ad entrarvi. A tavola << si fa leggere sommari di storie, delle quali si diletta moltissimo. << A tempo mio si faceva leggere le Morali di Aristotele. Poi si ritira « a lavorare d'artiglierie, di modelli di fortezze, di fuochi artifiziati

<< con bravi artefici che trattiene. Pare che a tutto sia nato, di tutto « s'intende, e parla come se fosse una sua propria professione: ha << gusto di uomini dotti in qualsivoglia professione, e ragiona sem<< pre con loro. Nella Germania è stimato tedesco per essere della <«< casa di Sassonia; dai Portoghesi, portoghese per la madre; tra Francesi, francese per parentadi vecchi e nuovi. Ma lui è italiano, « e vuole essere tenuto per tale. Sua Altezza ama quelle libertà << di Lucca, perchè serbano tanto amore e la concordia ». Il giudizio, sicuramente imparziale, dell'ambasciatore di Venezia, era confermato dai fatti.

La casa di Savoja fu sempre fedele alla sua schiatta, e nel vario mutarsi delle sue ambizioni, ad ogni suo progetto d'ingrandimento dette sempre il suggello delle tradizioni latine, delle quali era cultrice e custode. Romana al di là delle alpi, guelfa al di qua e fautrice delle libertà comunali, appena le fu chiusa ogni via d'ingrandirsi dalla parte di Francia e di Svizzera, adoperò lo stesso principio per dilatare i confini dei suoi stati d'Italia. Come era naturale, la sua politica ebbe allora un indirizzo esclusivamente italiano, e in cima di ogni suo pensiero ci fu sempre l'acquisto di Lombardia. Amadeo VI nel 4372 stringeva una lega col papa, Firenze e Napoli contro i Visconti, col patto di spartirsene gli stati; e prima che i confederati fossero sconfitti a Montechiari (1374), capitano generale della lega portava per la prima volta la insegna della bianca croce sotto le mura stesse di Milano. Più tardi Amadeo VIII (1434) offriva a Filippo Maria Visconti di contribuire con tutte le forze di Savoja ad assicurargli la integrità del ducato, col patto bensì della reciproca donazione delli stati se uno di loro morisse senza figli. Il Bolomier doveva spiegare a voce i vantaggi di questo patto (55), che riunendo sotto un solo scettro la Lombardia e il Piemonte, avrebbe remossi tutti i mali che ne vennero dipoi, ed impedita agli stranieri ogni cupidigia di acquisto. Poi Lodovico suo figlio, a mediazione della duchessa Maria di Savoja vedova di Filippo Maria, negoziò coi Milanesi la cessione dello Stato. E fu sventura che Lodovico, esausto di danari, non potesse seguire il consiglio paterno, di arrischiare risolutamente

(55) « Ad quid mutua donatio petebatur, commodumque quod afferre poterat, et alia motiva quibus ipse pocius ad haec quam nos incilari debebat ». Paralipomeni di Storia Piemontese, pag. 257.

la impresa prima che il nemico si assecurasse. Le armi di Savoja stettero per dodici giorni su tutte le porte della città; ma mentre Savoja e Milano dibattevano, da mercanti, le condizioni per il caso della vittoria, lo Sforza pigliava la occasione da capitano e vinceva (56). Le tradizioni antiche, state interotte per le sventure domestiche, furono rannodate da Emanuele Filiberto, che dette loro quel più gagliardo e sicuro avviamento che era richiesto dalle mutate condizioni della politica generale.

L'opera unificatrice di Amadeo VIII era stata guastata, e i suoi provvedimenti legislativi per la debolezza dei successori erano andati in disuso. La feudalità non più contenuța dal forte e risoluto, braccio degli antichi Amadei, aveva ripreso vigore e baldanza, a oltraggio della maestà delle leggi, a danno della unità dello Stato. Sono miserandi i casi di Bolomier affogato nel lago di Chillon, di Giacomo di Valperga e di Antonio Romagnano, perseguitati entrambi, e forse capitati a sorte eguale, di Guido di Fossigny decapitato dal sire di Mont-Mayeur; vittime tutti egualmente della prepotenza feudale che reagiva contro il diritto comune. Bisognava adunque che l'impero della legge fosse restaurato, bisognava che la fede del popolo nei suoi sovrani fosse ravvivata per la via degl'interessi, bisognava che questa fede trovasse sostegno in un sentimento nuovo, che per lo meno modificasse le vecchie affezioni municipali e feudali, bisognava che il Piemonte partecipasse ai beneficj della civiltà italiana. A tutto questo provvide Emanuele Filiberto colle sue riforme, coi suoi ordinamenti militari, colla sua attitudine politica rispetto ai potentati stranieri.

Per prima cosa aboli le ultime vestigie della servitù feudale taglia, mano morta, angarie e perangarie (57), che affliggevano e de

(56) Lo Sforza aveva sposata una figlia naturale di Filippo Maria Visconti. V. CASATI, Milano e i Principi di Savoja.

(57) È notevole il proemio dell'editto del 20 ottobre 1561, il quale, come osserva il signor Carutti, precedeva di 200 anni le idee del Neker e la legge di Luigi XVI. « Posciachè piacque a Dio di restituire l'umana natura nella primiera << sua libertà, e sebbene i principi cristiani abbiano da assai tempo abolito nei « loro dominii il nome odioso di servitù introdotto dai pagani, onde anche pér «< questo noi tanto ci discostiamo da loro: noi tuttavia, dopo il felice nostro ri« torno in queste contrade, abbiamo trovato ancora sussistente certa specie di << servitù chiamata taglia, mano morta, per cui gli uomini sono detti tagliabili, « e stanno aggravati da insopportabili carichi, cui si dà il nome di angarie e di

gradavano gli uomini del contado. Li volle reintegrare nella loro dignità di uomini, prima di farli soldati. Poi valendosi dei consigli di Niccolò Balbo (58), il cui parere viene lodato dal signor Cibrario come raro monumento di sapienza civile, si volse a riordinare lo Stato. Riguardo ai provvedimenti finanziari, proclamò il principio della universalità delle gravezze; riguardo alla giustizia civile, pose a fondamenti di gius la legge romana; riguardo alla sicurezza pubblica, dichiarò che « questa deve anteporsi ad ogni statuto e privi«legio, massime quando s'incontran cose capaci di muovere l'ira di Dio « contro gli uomini ». Gli editti e costituzioni civili e criminali che egli fece raccogliere per opera dei due senati di Savoja e di Piemonte, fanno splendida testimonianza del senno legislativo di Emanuele Filiberto, che inaccessibile alle stolte ferocie del fanatismo, seppe sedare le discordie civili e religiose col benefico influsso della tolleranza. Riordinando quindi gli studj universitarj e le scuole, non solamente richiamò con minaccia di pene (arbitrio non lodevole), i Piemontesi più illustri che in seguito delle passate vicende avevano esulato in altre contrade, ma con premj, onorifificenze e larghi stipendj invitò alle pubbliche cattedre e intorno a sè quanti uomini insigni nelle scienze, nelle lettere e nelle arti potè avere (59), perchè diffondassero nello Stato i semi di ogni civile cultura. Ripopolò di coloni chiamati da altri paesi d'Italia le desolate campagne; incoraggì la coltivazione del gelso; fece venire operai di Fiandra e di Firenze per migliorare l'arte della seta; eccitò la lavorazione delle miniere; prescrisse che la lingua legale del Foro fosse per l'innanzi l'idioma italiano: insomma, tentò ogni guisa

perangarie. Sentendo perciò nell'animo i lamenti di questi infelici, che pur desiderano di uscire da tanta miseria, e di spogliarsi di tal radice di servitù, << siamo entrati in deliberazione di apprestar loro il rimedio; e preponendo il « sollievo ed il ristoro di quei nostri sudditi ad ogni speranza di nostro lucro particolare, vogliamo adoperare come si conviene a buon principe.... E per" ciò intendiamo di trarre i nostri sudditi co'loro beni da ogni condizione ser« vile, e dichiararli liberi e franchi per sempre.

(58) Era fratello dell'autore del trattato legale De praescriptionibus.

(59) Il Cibrario rammenta fra gli altri il Cujacio, il Goveano, l'Ottonajo, il Menochio, Giovanni Manuzio, Cinzio Giraldi, il greco Teodoro Rendio, il Bevilacqua, il Torrettino. Furono ai suoi servigi il pittore Iacopo Rossignoli da Livorno, Giovanni Criegher intagliatore; Mario Dalvigi, Pacciotto da Urbino, A. Palladio architetti: Iacopo Mayetlo, maestro di orologi: Giambattista Benedelli di Venezia, matematico.

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