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tanto grande, quanto la grandezza della propia bontà, la quale è madre e conservatrice delle altre grandezze; onde nulla grandezza puote l' uomo avere maggiore, che quella della virtuosa operazione, che è sua propria bontà, per la quale le grandezze delle vere dignitadi e delli veri onori, delle vere potenzie, delle vere ricchezze, delli veri amici, della vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono. E questa grandezza do io a questo amico, in quanto quello elli di bontade avea in podere e occulto (1), io lo fo avere in atto e palese nella sua propia operazione, che è manifestare conceputa sentenzia. Mossimi secondamente per gelosia di lui. La gelosia dell' amico fa l'uomo sollecito a lunga provvedenza (2); onde pensando che per lo desiderio d' intendere queste Canzoni alcuno inlitterato avrebbe fatto il Comento latino trasmutare in volgare; e temendo che 'l volgare non fosse stato postò per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino dell' Etica (3), prov

(5) Cioè: E io do questa grandezza a questo amico (lo Volgare ), in quanto che quello ch' elli aveva di bontà solo in podere (cioè in potenza) e occulto (cioè occultamente ), io lo fo avere ecc. Il testo sarebbe stato più chiaro quando vi si fosse letto: quello ch' elli di bontade avea ecc. E. M.

(6) Intendi: Premuroso a voler provvedere da lontano.

(7) Dopo Etica leggesi in tutti i codici ed in tutte le stampe: ciò fu Taddeo Ippocratista; parole che nel SACCIO, pag. 93, abbiamo dimostrato essere manifesto glossema de' copisti, i quali forse in tempi che la fama del traduttore era già diminuita, a schiarimento del testo di Dante vi apposero quella chiosa. Intorno a questo Taddeo Fiorentino, ovvero Taddeo d' Alderotto da Firenze, che per la sua eccellenza nell'arte medica fu detto a' suoi tempi l'Ippocratista, è da vedersi una lunga nota del Biscioni. Egli traslatò dal latino in italiano l'Etica di Aristotile; ed alcuni eruditi pretendono che Brunetto Latini, volendo

vidi di ponere lui (1), fidandomi di me più che d'un altro. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso, e commendano gli altri, massimamente quello di Lingua d' Oco, dicendo ch'è più bello e migliore quello che questo; (2) partendosi in ciò dalla verità. Chè (3) per questo Comento la gran bontà del Volgare di Sì si vedrà, perocchè la sua virtù (siccome per esso altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso Latino, si esprimono) nelle cose rimate per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ritmo, o 'l numero regolato, non si può bene manifestare, siccome la bellezza d' una donna quando

inserire nel suo Tesoro questo medesimo trattato, volgesse in francese l'italiano di Taddeo. Onde che Bono Giamboni nel volgarizzare l'opera di Brunetto si valse per questa parte della versione di Taddeo già bella e fatta. Su di che si può consultare la prefazione del ch. sig. ab. Zannoni al Tesoretto di Ser Brunetto Latini, stampate recentemente in Firenze presso Giuseppe Molini, pag xxxv. Frattanto noi diremo come fra i Trivulziani trovasi un assai bel codice in pergamena dell' Etica tradotta da Taddeo, che ivi si dice da Pescia. E. M.

(1) Cioè il volgare.

(2) Nell' esemplare del Tasso sono interlineate le parole da partendosi fino a virtù, e di contro ad esse è scritto da quel grand' uomo: Distinzion ricevuta da lui nel libro della vulgata eloquenza. E. M.

(3) Ecco il modo della difesa che l' A. intende a prendere del volgare contro i suoi accusatori, cioè, mostrare la gran bontà d'esso volgare in questa prosa; dove apparendo la lingua nel suo essere semplicissimo e naturale, non si potrà per nessuno toglierle il merito delle sue grandi bellezze. La qual cosa non le avverrebbe così bene in lavori di poesia, perocchè tutto il bello potrebbe essere attribuito a quelle adornezze, delle quali si compone la poesia per sua natura, ma che sono quasi estrinseche ed accidentali rispetto alla lingua. Bello è vedere da questo luogo la niuna stima che Dante faceva di tutte le prose del suo tempo; e la superba ma vera opinione, che questa prosa del Convito dovesse essere bastante a far palese quanto vaglia il nostro volgare.

gli adornamenti dell'azzimare (1) e delle vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima: onde chi vuole bene giudicare d' una donna guardi quella quando solo sua natural bellezza si sta con lei da tutto accidentale adornamento discompagnata (2), siccome sarà questo Comento, nel quale si vedrà l' agevolezza delle sue sillabe, la propietà delle sue condizioni, e le soavi orazioni che di lui si fanno: le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima ed amabilissima bellezza. Ma perocchè virtuosissimo (3) è nella 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia dell' accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano l'italica loquela, perchè a ciò fare si muovono: e di ciò farò al presente speziale Capitolo, perchè più notevole sia la loro infamia.

A

CAPITOLO XI. (4)

perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini d' Italia, che commendano lo Volgare altrui, e lo propio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abbominevoli cagioni. La prima è cechità di discrezione (5): la seconda,

(1) Intendi: Gli adornamenti dell' abbellimento, pulimento, assestamento e attillamento della persona. B.

(2) Ordina: Guardi quella discompagnata da tutto accidentale adornamento, quando solo sua natural bellezza si sta con lei.

(3) Virtuosissimo, cioè, pieno di forza e d'efficacia.

(4) Questo è contro Ser Brunetto Latini e molti altri che al tempo di Dante parlavano e scrivevano contro la italiana favella. P.

(5) Poteva dire difetto di discrezione, ma a quel modo non avrebbe fatto vedere la simiglianza d'essa discrezione coll' occhio corporale; laddove piace agli scrittori grandi che una sola parola insegni più d' una cosa.

maliziata scusazione (1): la terza, cupidità di vanagloria: la quarta, argomento d' invidia (2): la quinta e l'ultima, viltà d' animo, cioè pusillanimità. E ciascuna di queste reitadi ha sì gran setta (3), che pochi sono quelli che sieno da esse liberi. Della prima si può così ragionare. Siccome (4) la parte sensitiva dell' anima ha suoi occhi, colli quali apprende la differenza delle cose, in quanto elle sono di fuori colorate; così la parte razionale ha suo occhio, col quale apprende la differenzia delle cose, in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e quest' è la discrezione. E siccome colui ch'è cieco degli occhi sensibili va sempre, secondo che (5) gli altri, giudicando il male e 'l bene; così quelli ch'è cieco del lume della discrezione sempre va nel suo giudicio secondo il grido o diritto o falso. Onde qualunque ora (6) lo guidatore è cieco conviene che esso e quello anche (7) cieco ch'a lui s'appoggia vengano a mal fine. Però è scritto che 'I cieco al cieco

(1) Cioè, scusa maliziosa, perocchè scientemente fondata sul non

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(4) La sostanza di tutto il discorso che riguarda la prima cagione di dispregiare il volgare, si riduce a questo. Chi non ha lumi per giudicare le cose da sè medesimo, le giudica su quello che ne sente parlare, o vogliam dire, sul grido altrui. Questo grido è stato lungamente contrario al nostro volgare; e questo pure ha condotto in inganno tutti coloro che l'hanno seguitato. Aggiunge poi, che il numero di tali seguaci comprende massimamente le persone del popolo, alle quali, perciocchè hanno la mente e l'animo tutto ne' mestieri, non rimane possibilità di formarsi l'abito della luce discretiva.

(5) Secondo che. Nota modo. P. E vale secondo che gli altri giudicano. E. M.

(6) Ora per volta: qualunque volta. Manca al Vocabolario. P.

(7) Cioè, e l'altro pure cieco che a lui s' appoggia.

1

farà guida, e così cadranno amendue nella fossa. Questa grida (1) è stata lungamente contro a nostro Volgare per le ragioni che di sotto si ragioneranno (2). Appresso di questa (3) li ciechi soprannotati, che sono quasi infiniti, colla mano sulla spalla a questi mentitori (4) sono caduti nella fossa della falsa opinione, della quale uscire non sanno. Dell' abito di questa luce discretiva massimamente le popolari persone sono orbate; perocchè occupate dal principio della loro vita ad alcuno mestiere, dirizzano sì l'animo loro a quello, per forza della necessità (5), che ad altro non intendono. E perocchè l'abito di virtude, sì morale come intellettuale, subitamente (6) avere non si può, ma conviene che per usanza (7) s' acquisti, ed ellino la loro usanza pongono in alcuna arte, e a discernere l' altre cose non curano, impossibile è a loro discrezione avere. Per che incontra che molte volte gridano: Viva la lor morte, e Muoja la lor vita, purchè alcuno cominci. E questo è pericolosissimo difetto nella loro cechità. Onde Boezio giudica la popolare

1 Cioè, quella dietro alla quale, come a guida, vanno i ciechi del lume della discrezione.

(2) Sono le quattro ragioni noverate di sopra, cioè, maliziata scusa ecc. (3) Dietro a questa grida.

(4) Mentitori, cioè, quelli che hanno messo fuori la grida bugiarda. E qui se l' A. avesse voluto stare lavorando sulle idee poste innanzi, a stretto rigore doveva dire colla mano sulla spalla a questa grida; ma a chi poteva piacere così? Laddove ora nominando la cagione per l'effetto, ha dato tanta anima alla pittura del concetto, che te la vedi muovere sotto gli occhi.

(5) Ισχυρότατον αναγκη κρατει γαρ παντων. Talete, presso Diog. Laer. VIII.

(6) Cioè, in un subito, e ad ogni caso occorrente.

(7) Cioè, per via di lungo uso.

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