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re: Figlio, armi mie, potenza mia (1). E sono questi Troni, che al governo di questo Cielo sono dispensati, in numero non grande, del quale per li Filosofi e per gli Astrologi diversamente è sentito, secondochè diversamente sentiro delle sue circolazioni; avvegnachè tutti siano accordati in questo, che tanti sono, quanti movimenti esso fa; li quali, secondochè nel Libro dell' aggregazione delle Stelle epilogato si trova dalla migliore dimostrazione degli Astrologi, sono tre. Uno, secondochè la Stella si muove verso lo suo epiciclo; l'altro, secondochè lo epiciclo si muove con tutto il cielo ugualmente con quello del Sole; il terzo, secondochè tutto quel cielo si muove, seguendo il movimento della stellata spera, da Occidente a Oriente, in cento anni uno grado. Sicchè a questi tre movimenti sono tre movitori. Ancora si muove tutto questo cielo, e rivolgesi coll' epiciclo, da Oriente in Occidente, ogni di naturale una fiata; lo quale movimento, se esso è da Intelletto alcuno (2), o se esso è dalla rapina del

qui tela Typhoëa temnis. Le parole sono di Venere ad Amore, e la loro costruzione si è questa: Gnate, qui temnis tela Typhoëa patris summi. Dunque primo errore: Figlio del sommo padre: chè quantunque alcuni mitologi abbiano dato Giove per padre ad Amore, questo non vuolsi intendere da Virgilio, a cui (volendo debitamente tradurre il suo concetto) è forza attenersi. L'altro sbaglio è l'aver male compreso il senso dell'epiteto Typhoëa dato a tela: il quale non significa già i dardi di Tifeo, come Dante ha creduto, ma vale i dardi, ossia fulmini di Giove (tela patris summi) contra Tifeo; e questo epiteto è tolto dal nome del nemico vinto, come di Affricano a Scipione, di Cretico a Metello, e cent' altri. Onde siccome sarebbe errore il dire Scipione di Affrica, Metello di Creta, ecc. così a ragione di fatto è stato qui sbaglio il chiamare dardi di Tifeo quei medesimi dardi che lo percossero. Sagg.

(1) Il Poliziano, all'ultimo verso del primo libro, nella Giostra: O Figlio, o sola mia potenzia ed armi. P.

(2) Cioè, se esso è causato da Intelletto alcuno.

primo mobile, Iddio lo sa, chè a me pare presuntuoso a giudicare. Questi movitori muovono, solo intendendo (1), la circolazione in quello suggetto propio che ciascuno muove. La forma nobilissima del cielo, che ha in sè principio di questa natura passiva (2), gira toccata da virtù motrice che questo intende: e dico toccata, non corporalmente, per tanto (3) di virtù, la quale si dirizza in quello. E questi movitori sono quelli, alli quali s'intende di parlare, ed a cui io fo mia domanda.

CAPITOLO VII.

Secondoch

econdochè di sopra nel terzo Capitolo di questo Trattato si disse, a bene intendere la prima parte della proposta Canzone convenía ragionare di quelli Cieli, e de' loro motori; e nelli tre precedenti Capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli ch' io mostrai (4) che sono movitori del cielo di Venere: Voi, che, intendendo, (cioè collo 'ntelletto solo, come detto è di sopra) il terzo ciel movete, Udite il ragionar; e non dico udite, perch' egli odano alcuno suono; ch' elli non hanno

(1) Cioè, pel solo mezzo di quella forza arcana, data da Dio alle loro intellezioni; come è ragionato di sopra alla nota (1) face.83.

(2) Intendi: Che è attuata a patire questa azione di movimento. (3) La più bella e per ogni lato migliore corrispondenza delle idee mi fa credere per certo, che Dante scrisse per tatto; e forse Egli stesso, secondo la vecchia ortografia, per tacto, che poscia fu letto malamente per tanto.

(4) L'aggiunta del che sembra necessaria, se pure non si vuole che Dante abbia scritto: ch' io mostrai essere movitori. E. M.

senso; ma dico udite, cioè, con quello udire ch' elli hanno, che è intendere per intelletto. Dico: Udite il ragionar ch'è nel mio core, cioè dentro da me,chè ancora non è di fuori apparito. (1) È da sapere che in tutta questa Canzone, secondo l' uno senso e l'altro (2), il cuore si prende per lo secreto dentro, e non per altra spezial parte dell'anima e del corpo. Poi (3) gli ho chiamati a udire quello che dire voglio, assegno due ragioni, per che io convenevolmente deggio loro parlare: l' una si è la novità della mia condizione (4), la quale, per non essere dagli altri uomini sperta, non sarebbe così da loro intesa, come da coloro che 'ntendono i loro effetti nella loro operazione (5). E questa ragione tocco quando dico: Ch'io nol so dire altrui, sì mi par nuovo. L'altra ragione è: Quando l' uomo riceve beneficio, ovvero ingiuria, prima dee quello retraere (6) a chi gliele fa, se può, che ad altri; acciocchè se egli è beneficio, esso, che lo riceve, si mostri conoscente vêr lo benefattore; e s'ell' è ingiuria, induca

(1) Ed è da sapere, pr. ed. E. M.

(2) Cioè, secondo il litterale e l'allegorico.

(3) Poi per poichè: modo frequentissimo presso gli antichi; e Dante stesso ne fa uso più volte nella Commedia. Purg. 10. 1: Poi fummo dentro al soglio della porta. Par. 2. 55. Certo non ti doorien punger gli strali, D' ammirazione omai; poi dietro a' sensi Vedi che la ragione ha

corte l'ali. E. M.

(4) Cioè, la stranezza dello stato della mia persona.

(5) Come da essi Spiriti motori, i quali convenevolmente intendono gli effetti che sono prodotti dalla loro operazione.

(6) Retraere, cioè, Rappresentare a parole, Riferire, Contare. Così più innanzi al cap. Ix. Che se tutti fossero ingannati, seguiterebbe una impossibilità, che pure a ritraere sarebbe orribile. E s' intende, orribile anche solo a dire.

lo fattore (1) a buona misericordia colle dolci parole. E questa ragione tocco quando dico: Il ciel, che segue lo vostro valore, Gentili Creature che voi sete, Mi tragge nello stato ov' io mi trovo; cioè a dire: l'operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m' ha tratto nella presente condizione; perciò conchiudo e dico, che 'l mio parlare a loro dee essere (2) siccom' è detto; e questo dico qui: Onde 'l parlar della vita, ch' io provo, Par che si drizzi degnamente a vui. E dopo queste ragioni assegnate, prego loro dello 'ntendere quando dico: Però vi priego che lo m' intendiate (3). Ma perchè in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere alla persuasione, cioè all' abbellire (4) dell' audienza, siccome quella ch'è principio di tutte l'altre persuasioni, come li Rettorici fanno (5), e

(1) Lo fattore della ingiuria.

(2) Cioè, Volgerglisi, quasi Andare a loro.

(3) Nota frase; Come se dicesse, vi priego che in mio favore l'ascol

tiate.

(4) Abbellire, infinito usato a modo di sustantivo, per piacere, aggradimento. Abbellire, per Piacere, Aggradire, è verho tolto al linguaggio romanico. Dante istesso ne fa uso ne' versi provenzali che pone in bocca di Arnaldo Daniello, Purg. 26. 140. Tan m' abbelis votre cortois deman, che vale: Tanto mi piace la vostra cortese domanda. Il volgarizzatore di Livio, citato dalla Crusca (ad. voc. ): S' egli t'abbellisce di vivere in questo pericolo, apparecchiati. Il nostro Autore poi nel Poema usa nello stesso senso abbellare. Par. 26. 130.

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Cioè: secondo che vi piace. E. M.

(5) Cioè, affermano. Simile a quello dell' Inf. c

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Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci,

Che l'anima col corpo morta fanno.

10.

potentissima persuasione sia, a rendere l' uditore attento, promettere di dire nuove e grandiose cose (1), seguito io alla preghiera fatta dell' audienza questa persuasione, cioè (2) abbellimento, annunziando loro la mia intenzione, la quale è di dire nuove cose, cioè la divisione che è nella mia anima; e gran cose, cioè lo valore della loro stella: e questo dico in quelle ultime parole di questa prima parte: Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui; E come un spirto contra lei favella, Che vien pe' raggi della vostra stella. E a pieno intendimento di queste parole, dico che questo (3) non è altro che uno frequente pensiero a questa (4) donna commendare e abbellire; e questa anima non è altro che un altro pensiero, accompagnato di consentimento, che, repugnando a questo (5), commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice. Ma perocchè ancora l'ultima (6) sentenza della mente, cioè lo sentimento, si tenea per questo pensiero che (7) la memoria ajutava, chiamo lui anima, e

(1) Ecco appunto insegnare così l'antichissimo fiore di Rettorica di Guidotto da Bologna (pag. 38. ed. Bologn. 1824.) Più atteso si può colui, che favella, rendere l'uditore per lo Proemio, se proporrà di dire cose grandi, o cose nuove, o cose non usate.

(2) Forse erano da levarsi, come glossema, tutte e tre le parole cioè dico abbellimento, poichè Dante ha già detto prima, che la persuasione è l'abbellire dell' udienza, e qui è inutile il replicarlo. E. M.

(3) Spirto.

(4) A questa nuova donna commendare. Così leggono alcuni testi, citati dai Sigg. E. M., e questa non è tanto varietà di lezione, quanto

anche bel comento.

(5) Spirito.

(6) L'ultima, cioè l'intima. Se pure intima non è la vera lezio

ne. E. M.

(7) Che quarto caso.

1.

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