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dell' anima propria, e conformarla al modo dello Scrittore che si toglie ad emendare; cioè a dire, tenere perpetuamente il rispetto nella sua indole, ne' suoi studi, nelle sue opinioni, ne' suoi tempi, nel fine al quale indirizzò l'opera sua, ed ancora nel valore naturale e nella sicurezza del suo intelletto. Allora solamente è lecito cercare quello ch' egli nel dato punto del ragionamento abbia potuto dire; anzi più veramente quello che e' debba avere detto. Il che prima di bene assicurare vuole assai prove; perocchè spesso si darà tal cosa che guardata sola mostrerà ottimamente sostenersi, ma poi bene riconsiderando da cima a fondo l'ordine e il nodo di tutte le altre circostanti, sarà conosciuta meno probabile e forse inconveniente. E poniamo trovata ed assicurata la sostanza della cosa, e ancora non è fatto tutto; ma rimane, con esso tutte le medesime cure, da eleggere la espressione intra le molte che quella medesima cosa rendono, massime in questa nostra ricchissima e variabilissima lingua italiana. Nella quale ultima parte, secondo me, procede molto lodevolmente quegli che scomponendo e ricomponendo per diverse forme, senza trasporre, gli elementi della scrittura, ne trae fuori così il suo desiderio, con solo tanta o appena con qualche altra leggerissima alterazione. Ora se tutto questo sarebbe stato necessario in uno scritto di composizione semplice e piana, come è detto, quanto non doveva essere di più, se il libro era di materie da sè altissime d'amore e di filosofia? Quanto, se esse erano trattate da Dante Allighieri, il quale, secondando l' indole del suo ingegno, si piacque

singolarmente delle cose elevatissime, ch' e' prendeva sempre a rappresentare ne' momenti più riposti dell' essere loro, e quasi nel più bel colmo della loro entità? E massimamente nel Convito, dov' egli iva appostando le sublimità più difficili, a fine che la meraviglia la quale così sarebbe negli animi eccitata, ponesse come un ristoro al danno che si vedea patire ne' giudizii de' volgari, dopochè, sotto la perfida e cruda tirannia di Carlo di Valois, egli pure s'era trovato del gran numero di quegl' illustri, i quali, come scrive Dino Compagni (1), andarono stentando per lo mondo chi in qua chi in là. La qual ragione di difficoltà non è già posta qui per conghiettura, ma l'abbiamo per aperta e lunga confessione dell' Autore istesso (2): ciò che è tanto più giustamente notabile, quanto che non si potrebbe affermare così di certo nemmeno della divina Commedia; la quale pure ha faticato per la sua intelligenza i tanti ingegni e fatica tuttavia sempre gloriosamente. Per le quali tutte condizioni che convenivano particolarmente nel Convito, ogni intendente e savio concederà, io stimo, di buona voglia che le forze ristoratrici si domandavano nell' intensione straordinarie. Che sarà dunque se per un' altra condizione ancora, che il Convito tiene in comune con quasi tutte le opere de' nostri antichi, esse forze non potevano non essere punto men grandi anche nella estensione? A' tempi che seguitarono il secolo decimo secondo, e furono come l'aurora della civiltà, le

(1) Cronaca fiorent. L. 2.

(1) Vedi tratt. 1. cap. 11. facc. 13, e seguenti.

parti dell' umano sapere generalmente erano bambine, e portavano insieme una certa somiglianza delle fattezze esterne, siccome quasi sorelle generate dalla maravigliosa anzi stupenda mente d'Aristotile. Il quale ancora, s' io non m' inganno, le guardò, com' era possibile, meno dalla parte alta, ond' elleno si disgiungono per troppo lunghe ramificazioni, che non dalla parte del fondo, laddove in certo modo si vanno riducendo in poche unità. Conseguentemente potevano allora per avventura gli studiosi con ardire non ismoderato, coltivare tutte le scienze ad un tempo; anzi, chi pone bene mente, pare ch' eglino si credessero non potere essere tenuti sapienti, se ad ogni passo non mostravano di padroneggiarle tutte compiutamente. La quale comodità seguitò forse a durare tutto il secolo decimo settimo; quando avvenendo generalmente il felicissimo riconoscimento de' principii veri di filosofia naturale, e crescendo tuttavia la luce del vivere civile, seguitò che elleno crebbero di numero, e quasi del pari si levarono tutte sublimi e giganteggiarono. D'allora innanzi fu fatta necessità agli uomini non isconoscenti sè medesimi di stringersi con una solamente, ovvero con poche, le quali ancora avessero insieme parentela. Ed è tanto da lungi ch' io perciò ne disgradi il pregio de' moderni, che anzi vado meco medesimo spesso pensando, che se tornasse ora a rivivere tra noi Giovanni Pico mirandolano, che fu detto la fenice degl' ingegni, non solo a' ventitrè anni non si offrirebbe a cimentare pubblicamente disputando tanta larghezza di sapere, come già fece in Roma; ma in nessuna altra età forse

mai si vedrebbe più degli altri nostri valentissimi derogare a questa legge necessaria di prudenza. Ma intanto dove sono gli uomini d' oggidì, poniamoli pure cultissimi, i quali si mettano per le composizioni de' secoli passati, e se non vanno a molti insieme, non s'incontrino or più or meno in provincie sconosciute, o certo almeno non troppo ben sicure?

Dissi in genere delle parti del sapere ch' elle erano bambine, ma non dissi tutte; perocchè le speculative erano in condizione da quella tanto diversa, quanto sarà trovato conveniente alla ragione da chi si faccia bene a considerare lo stato di quegli studi. In ogni luogo del già Impero occidentale, dove s'era sostenuta in alcun modo viva la lingua latina, e così dove dalla corruzione di lei cominciavano a vivere le novelle, per tutto s'era mantenuto dalle scuole de' retori negli studiosi solo a dominare il gusto di quegli scrittori, i quali nella età d' Augusto per rispetto della eloquenza, e appresso la età di lui per rispetto degli altri rami della letteratura, sforzandosi d' avanzare gli ottimi, avevano guasto l'arte. Così le sentenze brevi ed acute, l'uso perpetuo de' squisitissimi contrapposti, i giochi di figure e gli ammanieramenti d'ogni sorta, ch' erano mirati e lodati siccome vere perfezioni, sottigliavano le menti e le invogliavano di quel fare. D'altra parte gli studi massimamente coltivati ed onorati erano due. In primo luogo la teologia, la quale in questa nostra santissima, divina ed unica vera Religione cristiana, per la somma ed infinita sublimità de' suoi misteri, dà materia ed invita a salire alto quanto mai sa

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l'uomo potere e volere; ed in essa gli studiosi generalmente si ponevano con tutto l'amore, siccome ecclesiastici di professione ch' egli erano la maggior parte. In secondo luogo era la filosofia speculativa; ed in questa le altezze ch'ella tiene dalla natura erano il meno: perciocchè noi l'avemmo principalmente per le opere degli Arabi, i quali si godevano allora nella Europa una grida larghissima di sapere; ed eglino ce l'avevano data ne' loro comenti involta sotto una come nube di sottilissime ed intricate speculazioni, e posta per tal via in conflitto colle dottrine della Religione. Per la qual cosa lo zelo de' buoni si trovava necessitato ad operare ogni estrema possa per liberare indi la verità, e mostrare nel mondo la concordia de' lumi naturali con quelli di rivelazione (1). Ora pongasi, come vuole ragione, il vigor naturale degl'ingegni non allora minore che quello de' nostri giorni; pongasi il leggero dispendio degli spiriti in tutti gli altri studi fuori di quelli due, e si dirà veramente che ogni circostanza concorse a fare che le speculative dovessero essere montate a quella altissima cima, oltre la quale di quaggiù per avventura non v' ha più grado alcuno. Le speculazioni adunque dominano largamente in quelle scritture; e di loro pure l' Allighieri si studiò con tutte le sue forze d' informare la materia del Convito: e sono appunto esse le speculazioni, nelle quali ora noi ci sentiamo impotentissimi. Perciocchè già secoli sono, quella scuola patì gran

Andres,

(1) Tiraboschi, Stor. Letter. Vol. 11. Lib. xv. cap. v. Orig. e Progr. ecc. lib. 1. cap. 1x. -- Pallavicini, Storia del Concilio.

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