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AL CHIARISSIMO SIGNORE

CARLO ELIOT NORTON

A CAMBRIDGE, MASSACHUSETS, ST. UN.

PROFONDO CONOSCITORE DI DANTE

ED INGEGNOSISSIMO INTERPRETE DELLA VITA NUOVA

IN CARA E GRATA MEMORIA

DEL GIORNO

12 APRILE 1872

DALL' EDITORE.

PROLEGOMENI.

Soggetto del presente volumetto è la storia dell' amore di Dante per Beatrice dal primo incontro con essa infino alla «mirabil visione» che più anni dopo la di lei morte gli somministrò l'argomento della Divina Commedia. «Una candida e melanconica storia di affetti profondi; una ingenua e piena confessione di ciò che v'era di più intimo e segreto nel cuore dell' amante » (D' ANCONA).

Già nelle prime righe dell' opuscolo l'autore indica colle parole latine «Incipit Vita nova» il titolo che volle imporgli, e lo ripete in volgare tanto nel Convivio quanto nella Commedia (Purg. XXX, 115). Alcuni intendono «Vita nova» per « adolescenza», la quale, al dire di Dante, dura infino al venticinquesimo anno; ma questa opinione è falsa a doppio riguardo. Il primo fatto ricordato dall' autore, e precisamente quello a cui si riferiscono le mentovate parole « incipit V. n.» accadde <«< quasi alla fine del suo nono anno». Ora nessuno di certo dirà la mia adolescenza, cioè i primi venticinque anni della mia vita, cominciarono alla fine del mio nono anno. Eppure Dante non dice nemmeno che la sua vita, in quanto gliene sia rimasta memoria, cominci da quel fatto, ma solamente che dinanzi ad esso poco si

potrebbe leggere nel libro della sua mente. Inoltre, benchè non sia da negarsi che in italiano <<nuovo»>< possa avere il senso di «giovenile », la voce latina << novus»> non occorre in questa significazione. Dall' altra parte gli avvenimenti riferiti nella V. N. non finiscono coll' adolescenza dell' autore, ma giungono infino al «mezzo della sua vita». Impossibile dunque che Vita Nuova nel senso di Dante voglia dire vita giovenile, vita durante il periodo dell' adolescenza.

L'« incipit Vita nova» s' intenda dunque: che col primo incontro con Beatrice una vita tutta nuova, val' a dire differente ad ogni riguardo da quella sin' allora menata, abbia cominciato per l'autore. Nell' istesso senso diciamo << rinascer a nuova vita», e non di rado i neofiti prendono nel fonte battesimale il nome «Neandro »>, cioè « uomo nuovo».

I colori non meno veri ed affettuosi che umili e casti, coi quali l'autore dipinge il suo amore per BEATRICE non avrebbero dovuto permettere il menomo dubbio che si tratti dell' amore per una donna in carne ed ossa, per la figlia di Folco Portinari. Chi, non ammettendo questo, prende Beatrice per una mera allegoria per qualunque siasi astrazione, della Sapienza, della Teologia, dell' Intelligenza attiva, oppure dell' autorità Imperiale, dovrà trovar privi di senso non pochi passi del nostro libretto, che di necessità suppongono un individuo fisico. Bastine un esempio per molti: Nel capitolo 41 Dante chiama il Corso di Firenze «una via la quale è quasi mezzo della cittade, ove nacque, vivette e morio la gentilissima donna », alle quali parole il D' ANCONA osserva benissimo: «Se la Beatrice di Dante fosse un simbolo, una astrazione, perchè farla nascere, vivere e morire in quella via del Corso, che è proprio in mezzo della cittade, anzi la taglia per tra

verso da un capo all' altro, e dove appunto nacque e morì la figlia di Messer Folco Portinari e di Madonna Gilia Caponsacchi ». Del resto, oltre alle notizie che gli antichi commentatori della Commedia ci danno sul suo casato ed altre particolarità, non manchiamo di documenti originali, come p. es. il testamento di Folco che c' informa anche del nome di Simone de' Bardi, almeno sin dal 1287 marito di Beatrice.

Non è da negarsi che nella Commedia troviamo Beatrice quasi intieramente divinizzata. Il carattere simbolico del quale vi è rivestita non fa più vedere che per un velo l'ombra della bella persona di cui in terra Amore avea preso il Poeta. Ma questa apoteosi non è un cosa tutta propria alla sola Commedia; anzi la vediamo germogliare già nella Vita Nuova. Diciamo dunque che nell' una nell' altra opera del nostro autore Beatrice è nell' istesso tempo donna reale, e simbolo di alte virtù; ma che nella V. N. prevale la personalità fisica, e nella Commedia il carattere simbolico. Questa per così dire ambiguità nella figura di Beatrice spiega come sia stato possibile che uomini dotti, e profondi conoscitori di Dante si siano allontanati dal senso evidente dei racconti della V. N. a segno di negare l' esistenza reale della donna celebratavi dall' autore. Il più zelante di essi era nel secolo decorso il Canonico ANTON MARIA BISCIONI. Frai moderni difesero l' istessa opinione il CENTOFANTI e 'l PEREZ. Vi si accostò, dando però alla supposta allegoria una significazione ben differente, GABRIELE ROSSETTI. Il resto degli interpreti sta dalla nostra parte, e dopo le convincenti disamine della questione, dateci dal TRIVULZIO, dal FRATICELLI, dal TORRI, dal GIULIANI, dal D' ANCONA ecc. non occorre di sviluppare di nuovo gli argomenti che si oppongono all'opinione contraria..

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