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XXIV.

Quella Donna gentil, che sempre mai,
Poi ch'io la vidi, difdegnò pietanza,
Mi mena con tanta ira in difperanza
Che 'l cuor difpregia la fua vita homai:
Ed i penfier mi dicon: tu morrai ;
Che non puoi viver senza defianza:
E certo io non sò d'esta possanza
Altra cagion, fe non ch'io la mirai :
Addunque fi può dir, che mi fur rei (guardo
Gli occhi a quell' hora, che gli prese al
La dolce forza del piacer, ch'è 'n lei
Ma mentre io faccio à lei fifo riguardo,
Dico, ch'ancora i' non men guarderei:
Se bene io porto ne lo core il dardo,

XXV.

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Hora fen' efce lo fofpiro mio,

Donde ha via un pentiero entro nel core; E con Madonna parlando d' Amore Sotto pietate fi covre al defio: Perch' ella chiama la follia, ch'io

Vò feguendo, e moftrandone dolore ; E par che fogni, e fia come huomo fuore Del fenno, e che fe medefmo ammattio: Per quefta via, che fa il pensiero,

Fra me medesmo vò parlando, e dico, Che'l fuo fembiante non mi dice il vero, Quando fi mostra di pietà nemico ; Ch'a forza par ched el fi faccia fiero : Perch 'io pur di fperanza mi nodrico.

Se

XXVI.

Se gli occhi voftri vedesser colui,
Channo feruto, nel luoco ove giace;
Direfte, che non è vista fallace

Quel, che dimoftra lo mio cuor per voi;
Ch'ogni membro dè haver valor da lui,
Il qual dimora, sì come vi piace
Morto ne la battaglia ; onde fi face
L'anima pianto con le membra fue :
Perch'è niente cià, ch'è 'n la mia faccia,
A rispetto di quel, che dentro porto,
Per un penfier, che par che mi disfaccia ;
Sì chè la ragion prende difconforto,

E ciafchun' altro fuo contrario fcaccia,
Quando a la mente moftra lo cuor morto.

XXVII.

Se voi udifte la voce dolente

De' miei fofpir, quando ch' efcon di fuore: Non gabbarefte la vifta, e'l colore, (te: Chio cangio allhor,quando vi fon presenAnzi, fe voi m' odiaste mortalmente Paffarebbe pietà nel voftro cuore

E fovvirebbe a voi del mio dolore, Veggendomi in angofcia folamente: Però che vengon di diftrutto luoco, Cioè dal cuore, ch'è di pianger lasso į Tanto fi fente haver di vita poco: L'anima dice a lui: hora ti laffo, Perchè m' incontra ciò, che rifo, e gioco Mi fa menar, quando davanti passo.

XXVIII.

Gli atti voftri, il guardo, il bel diporto
Il fin piacere, e la nova biltate
Fanno fentire al cuor dolce conforto
Allhor, che per la mente mi paffate i
Ma riman tal, ch'è via peggio, che morto,
Poi quando difdegnofa ve ne andate :
E(sio fon ben de la cagione accorto )
Gli è fol per lo dilio, che 'n lui trovate i
Lo quale non fi può senza la vita
Da me partir: ben lo fapete homai ;
Però forfe v'aggrada mia finita:
Ed io ne vo' morire anzi, che mai

Faccia del cuor, quant' ei vive, partita i
In cotal guifa pria l'acquistai

XXIX.

Pofcia ch'io vidi gli occhi di costei,

(re

Non membrò altro 'ntelletto, che d'Amo
L'anima mia, che prefa è dentro al core
Dal fpirito gentil, che parla in lei ;
E confolando lei dice, tu dei

Elfere allegra, poi ti faccio honore ;
Ch'io ti ragiono de lo fuo valore ¿.
Onde fon dolci gli fofpiri miei :
Perchè 'n dolcezza d' efto ragionare
Se movono da quella, ch' allhor mira-
Quelta Donna gentil, che 'l fa parlare
B vedefi da lei fignoreggiare,.

Ch'è sì valente, ch'altro non defira,
Ch' a la fua fignoria fuggetta ftare.

Ma

XXX.

Madonna la biltà voftra infollìo
Sì gli occhi miei, che menaro lo core
A la battaglia, ove lo ancife Amore,
Che di voftro piacere armato ufcio ;
Sì chè nel primo asfalto lo abbattio ;
Pofcia entrò ne la mente, e fu fignore ;.
E prefe l'alma, che fuggia di fore,
Piangendo per dolor, che ne fentio ;
Però vedete, che voftra. biltate:

Moffe quella follia, ond' è'l cuor morto,
Ed a me ne convien chiamar pietate;
Non per campar, ma per haver conforto,
De la morte crudel, che far mi fate:
Ed ho ragion, fe non vincesse il torto..

XXXI..
Una Donna mi paffà per la mente,
Chà ripofar fen va dentro nel cuore ;;
E truova lui di sì poco valore,
Che de la fua vertù non è poffente ;.
Si chè fi parte difdegnofamente,.
E lafciavi uno fpirito d'amore,
Ch' empie l'anima mia sì di dolore,
Che viene agli occhi in figura dolente ;
Per dimoftrare a lei, che conoscente
Si faccia pofcia.degli miei martiri;
Ma non può far pietà, ch'ella vi miri ;:
Perchè ne vivo ifconfolatamente ;;
E vò penfofo negli mici defiri ;
Che fon color, che levano i fofpiri.
E 6

Egli

XXXII.

Egli è tanto gentile, ed alta cofa

La Donna, che fentir mi face Amore:
Che l'anima penfando, come pofa
La vertù, ch'esce di lei, nel mio core,
Ishigottifce, e divien paurofa;

E fempre ne dimora in tal tremore,
Che batter l'ali nefun fpirito ofa,
Che dica a lei; Madonna, coftei muore.
Ohi laffo me! come v' andrà pietanza ?
E chi le conterà la morte mia

Celato in guifa tal, che lo credeffe? Non sò ; ch' Amor mcdesmo n' ha dottanza § Ed ella già mai creder nol porria,

Che fua vertù nel cuor mi difcendeffe.

XXXIII.

Ahi mè, ch' io veggio per entro un pensiero
L'anima ftretta ne le man d' Amore,
Che legata la tien nel morto cuore,
Battendola fovente, tanto è fiero ;
Onde ella morte chiama volentiero,
Traggendo guai per lo gran dolore,
Che fente degli fuoi colpi fpefshore ;
Quando davanti fi volgie lo vero,
Per tragger gli miei fpiriti d' erranza,
Là ove gli mena Amor, quando ragiona
Di quella Donna, che'n la mente vede
Ma la vertute de la fua perfona

Non la fan mover per altra certanza
Color, che fonɔ in l' amorofa fede.
Questa

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