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VIII.

Quantunque volte, laffo! mi rimembra,
Ch' io non debbo gia mai

Veder la Donna, ond' io vò si dolente ;
Tanto dolore intorno al cor m' affembra
La dolorofa mente,

Ch'io dico; anima mia, che non ten vai?
Che li tormenti, che tu porterai

Nel fecol, che t'è già tanto nojoso,
Mi fan penfofo di paura forte;
Ond' io chiamo la morte,

Come foave, e dolce mio ripofo

Edico, vieni a me, con tanto amore; Ch' io fono aftiofo di chiunche muore. E fi raccoglic negli miei fofpiri

Un fuono di pictate,

Che va chiamando morte tutta via :
A lei fi volfer tutti i miei defiri,
Quando la Donna mia

Fu giunta da la fua crudelitate:
Perchè'l piacere de la fua biltate,
Partendo fe da la noftra veduta,..
Divenne fpirital bellezza grande;
Che per lo cielo fpande

'

Luce d'amor, che gli Angeli faluta:
E lo 'ntelletto loro alto, e fottile
Face meravigliar, tanto è gentile .

So

SONETTI, E CANZONI

DI

DANTE ALAGHIERI

* LIBRO.... II.

I.

AROLE mie, che per lo mon do fiete ;

Voi, che nasceste, poi ch' io cominciai

A dir per quella Donna, in cui errai:

Voi, che 'ntendendo, il terzo Ciel movète; 'Andatevene a lei, che la fapete,

Piangendo sì, ch'ella oda i noftri guai:
Ditele, noi fem voftre ; dunque homai
Più, che noi femo, non ci vederetc.
Con lei non ftate, che non v'è Amore;
Ma gite attorno in habito dolente,
A guifa de le vostre antiche fuore:
Quando trovate donne di valore,
Gittatevile a' piedi humilemente,
Dicendo ; a voi dovem noi fare honore
B

II.

D dolci rime, che parlando andate
De la Donna gentil, che l' altre honora ;
A voi verrà, fe non è giunto anchora,
Un, che direte; quefti è noftro frate :
Jo vi fcongiuro, che non lo afcoltiate,
Per quel Signor, che le donne innamora ;
Che ne la fua fentenza non dimora
Cofa, che amica fia di veritate.
E, fe voi fofte per le fue parole

Molle a venire inver la Donna voftra, Non vi arreftate; ma venite a lei : Lite; Madonna, la venuta noftra E' per raccomandare un, che fi duole, Dicendo ove è 'I defio degli occhi miei?

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Quefta Donna, ch' andar mi fa penfoso,
Porta nel vifo la virtù d'Amore;
La qual rifveglia dentro ne lo core
Lo fpirito gentil, che v'era afcofo:
Ella m' ha fatto tanto paurofo;

Pofcia ch'io vidi il mio dolce Signore
Negli occhi fuoi con tutto il fuo valore,
Ch'io le vò preffo, e riguardar non l'ofo:
E quando avvene, che quefti occhi miri,
Io veggio in quella parte la falute;
Che l'intelletto mio non vi può gire ;
Allhor fi ftrugge sì la mia vertute,
Che l'anima, che muove gli fofpiri,
S'acconcia per voler da lei partire

IV.

Chi guarderà già mai fenza paura
Negli occhi d' efta bella pargoletta,

Che m'hanno concio sì, che non s'afpetta *Per me, fe non la morte, che m'è dura ? Vedete, quanto è forte mia ventura ; Che fa tra l'altre la mia vita eletta, Per dare effempio altrui, c'huom non fi A rischio di mirar la fua figura. Bettinata mi fu quefta finita;

(metta

Da ch' un' hucm convenia effer disfatto; Perch' altri foffe di pericol tratto : E però, laffo! fù io così ratto

In trarre a me 'l contrario de la vita ¿, → Come vertù di ftella, margherita.

V.

Dagli occhi de la mia Donna fi muove
Un lume sì gentil, che dove appare ;
Si veggion cofe, c'huom non può ritrare
Per loro altezza, e per loro effer nove,
E da' fuoi raggi fopra 'l mio cor piove
Tanta paura, che mi fa tremare;
E dico quì non voglio mai tornare ;
Ma pofcia perdo tutte le mie prove g
tornomi colà,.dov' io fon vinto,
Riconfortando gli occhi paurofi.
Che fentir prima quefto gran valore:
Quando fon giunto (lafso) ed ei fon chiufi,
El defio, che gli mena, qui è 'stinto:
Però provveggia del mio ftato Amore.

VI.

Lo fin piacer di quello adorno vifo
Compofe il dardo, che gli occhi lanciaro
Dentro da lo mio cor, quando giraro
Vier me, che fua biltà guardava fifo:
Allhor fentì lo fpirito divifo

Da quelle membra, che se ne torbaro,
Equei fofpiri, che di fore andaro,
Dicean, piangendo, che 'l core era ancifo.
Là u', di poi, mi pianfe ogni pensiero
Ne la mente dogliofa, che mi mostra
Sempre davanti lo fuo gran valore;
Ivi un di loro in quefto modo al core
Dice: pietà non è la vertù nostra
Che tu la truovi; e però mi difpero ¿

VII.

E non è legno di sì forti nocchi,
Ne ancho tanto dura alcuna pietra ;
Ch'efta crudel, che mia morte perpetra,
Non vi metteffe amor co' fuoi begli occhi.
Hor dunque,s'ella incontra huom,che l'adoc-
Ben gli dè'l cor paffar,fe non s'arretra;(chi,
Onde 'l convien morir; che mai no impetra
Mercè, che 'l fuo dever pur fi fpannocchi.
Deh! perchè tanta vertù data fue

Agli occhi d'una Donna così acerba,
Che fuo fedel nessuno in vita ferba?
Ed è contr' a pietà tanto fuperba,
Che, s'altri muor per lei, nol mira pite
Anzi gli afconde le bellezze fue?

Ben

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