Sayfadaki görseller
PDF
ePub

VIII.

Ben dico certo, che non èriparo,
Che ritene fe de' fuoi occhi il colpo ?
E quefto gran valore io non incolpo ;
Ma'l duro core d'ogni mercè avaro,
Che mi nafconde il fuo bel vifo chiaro
Onde la piaga del mio cor rimpɔlpɔ.
Lo qual niente lagrimando fcolpɔ̃,
Nè muovo punto col lamento amaro
Così è tutta via bella, e crudele,

D'amor felvaggia, e di pietà nemica ; Ma più m'increfce,che convien ch'io'l dica, Per forza del dolor, che m' affatica ;

Non perch' io contr' a lei porti alcun fele:
Che vie più che me l' amo, e fon fedele ;

IX.

Io fon sì vago de la bella luce

Degli occhi traditor, che m' hanno occifɔ ; Che là, dov'io fon morto, e fon derifo, La gran vaghezza pur mi riconduce: E quel che pare, e quel che mi traluce, M'abbaglia tanto l'uno, e l'altro vifo, Che da ragione, e da vertù divifo *Seguo folo il difio, com' ci m'è duce; Lo qual mi mena pien tutto di fede

A dolce morte fotto dolce ingannɔ, Che conosciuto folo è dopo il danno : E mi duol forte del gabbato affanno ; Ma più m' incresce ( laffo) che si vede Meco pietà tradita da mercede

X.

Io maladico il dì, ch'io vidi in pria
La luce de' voftri occhi traditori,
E'l punto, che venifte in sù la cima
Del core, a trarne l'anima di fori:
E maladico l'amorofa lima,

C'ha pulito i mici motti; e' bei colori, Ch'io ho per voi trovati, e messi in rima, Per far che'l mondo mai fempre v'honori : E maladico la mia mente dura,

Che ferma è di tener quel, che m'uccide ; Cioè la bella, e rea vostra figura ; Per cui Amor fovente fi fpergiura; Sichè ciafchun di lui, e di me ride; Che credo tor la ruota a la ventura •

XI.

Ne le man voftre, o dolce Donna mia,
Raccomando lo spirito, che muore,
E fe ne va sì dolente, che Amore
Lo mira con pietà, che'l manda via.
Voi lo legafte a la fua signoria ;
Sichè non hebbe poi alcun valore
Di poterlo chiamar, fe non signore,
Qualunque vuoi di me, quel vò, che fia.
Io sò, che a voi ogni torto difpiace ;
Però la morte, che non ho fervita,
Molto più m'entra ne lo core amara :
Gentil Madonna, mentre ho de la vita,
Per tal ch'io mora confolato in pace,
Vi piaccia agli occhi miei non effer cara:

Non

XII.

Non v'accorgete voi d'un, che fi fm tore
E va piangendo, sì i difconforta ?
I' priego voi (fe non ven fete accorta
Che voi'l miriate per lo vostro honore
Ei fen va sbigottito in un colore,
Che'l fa parere una perfona morta;
Con una doglia, che negli occhi porta,
Che di levargli già non ha valore:
E quando aloun pietofamente il mira,
Il cuor di pianger tutto fi diftrugge,
El'anima ne duol, sì che ne ftride:
Efe non foffe, ch'egli allhor fi fugge:
Si alto chiama a voi, poichè fofpira;
Ch'altri direbbe: hor fappiam, chi l'uccide.

XIII.

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi
Per novella pietà, che'l cor mi ftrugge:
Per lei ti priego, che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacere isvaghi
Con la tua dritta man; cioè, che paghi,
Chi la giuftitia uccide, e poi rifugge,
Al gran tiranno,del cui tofco fugge, (laghi;
Ch'egli ha già fparto,e vuol che'l mondo al-
E meffo ha di paura tanto gielo

Nel cuor de tuoi fedei, che ciafchun tace: Ma tu, fuoco d'amor, lume del ciclo, Questa vertù, che nuda, e fredda giace, Levala sù veftita del tuo velo;

Che fenza lei non è in terra pace.
B 4

Mol

XIV.

Molti, volendo dir, che foffe Amore;
Dilfer parole affai; ma non potero
Dir di lui in parte, ch'affembraffe il vero,
Nè diffinir qual foffe il fuo valore:
Ed alcun fu, che diffe, ch'era ardore
Di mente imaginato per penfiero:
Ed altri differ, ch'era defidero
Di voler, nato per piacer del core:
Ma io dico, ch'Amor non ha fuftanza,
Nè è cofa corporal, c'habbia figura ;
Anzi è una paffione in difianza;
Fiacer di forma dato per natura,

Si chè 'I voler del core ogni altro avanza ž
Equefto bafta finchè'l piacer dura

XV.

Per quella via, che la bellezza corre,
Quando a destare amor vane la mente
Palla una donna baldanzofamente,
Come colei, che mi fi crede torre:
Quand'ella è giunta a piè di quella torre,
Che tace, quando l'animo acconfente,
Ode una boce dir fubitamente;
Levati, bella donna,e non ti porre ;
Che quella Donna, che di fopra fiede,
Quando di signoria chiefe la verga,
Come ella volfe, Amor toftola diede?
E quando quella accomiatar fi vede
Di quella parte, dove Amore alberga,
Tutta dipinta di vergogna riede.

XVI.

Dagli occhi belli di quelta mia Dama
Efce una vertù d'Amor sì pina,
Ch'ogni perfona, che la ve', s'inchina
A veder lei ;e mai altro non brama,
Biltate, e cortelia fua Dea la chiama:
E fanno ben, ch'ella è cofa sì fina,
Ch'ella non pare humana, anzi divina ;
Efempre fempre monta la fua fama .
Chi l'ama, come può effer contento,
Guardando le vertù, che'n lei fon tante;
E s' tu mi dici: comel fai? che'l fento:
Ma fe tu mi domandi, e dici; quante ?
Non til sò dire ; che non fon pur cento,
Anzi più d'infinite, d'altrettante,

XVII.

Da quella luce, che'l fuo corfo gira
Sempre al volere de l'empirec farte,
E ftando, regge tra Saturno, e Marte;
Secondo che lo Aftrologo ne fpira;
Quella, che in me col fuo piacer ne aspira,
D' ella ritragge fignorevol arte;
E quei, che dal ciel quarto non fi parte i
Le da l'effetto de la mia defira ;
Anchor quel bel pianeta di Mercuro
Di fua vertute fua loquela tinge;
E'l primo ciel di se già non l'è duro :
Colei, che'l terzo ciel di se coltringe,
Il cor le fa d'ogni eloquenza puro
Così di tutti i fette fi dipinge.

« ÖncekiDevam »