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La Santità del pontefice, per quanto ho ritrovato sopra alcune note che allora feci, si trovava avere allora d'entrata della città di Roma, del temporale, ducati 118,000; delli stati fuori di Roma, ducati 236,000; delle entrate dei frumenti, ducati 15,000; della dataria, cioè di vacanze d' ufficii e composizioni, ducati 120,000; per spoglie dei beneficii che vacano in Ispagna, ducati 10,000; sommano ducati 499,000. All' incontro aveva di spesa per tanti deputati alle sopradette entrate: agli ufficii di Roma, ducati 90,000; per ispesa della guardia del papa, cioè delli Svizzeri duecento, dei cavalli leggieri, del senatore, di Castel Sant' Angelo, del governatore, delle fabbriche, del palazzo, ed altri salariati, ducati 77,000; per ispese dei legati, vicelegati, governatori ed altri ufficiali, ed altre spese per gli stati, di custodia, fortezza e cose simili, ducati 170,000; per legati e nunzii che si mandavano per il mondo, ducati 12,000; per il marchese di Mantova, capitano generale della Chiesa e di Fiorenza, metà a conto della Chiesa, ducati 33,250; per doni, corrieri ed altre spese straordinarie, ducati 30,000. Sommano dette spese a ducati 412,000: però, dibattute altre piccole spese venivano ad avanzare ducati 80,000 incirca, che si spendevano in diverse cose straordinarie, ed in parte si potevano imborsare, secondo che i bisogni erano minori.

Queste sono le particolarità che mi ho potuto ridurre a memoria della predetta mia legazione; nè è bisogno ricordar altro al presente circa le cose del pontefice, essendo per il corso di anni sette, mutate le pratiche, i negozii, e le deliberazioni di tutti i principi del mondo.

MANEGGIO

DELLA

PACE DI BOLOGNA

TRA

CLEMENTE VII, CARLO V, LA REPUBBLICA DI VENEZIA

E FRANCESCO SFORZA.

1529 (1).

(1) Tratto fedelmente dal Codice CCXXIII della collezione dei MSS. Cap

poni; scrittura originale del Doge Niccolò Da Ponte.

CENNI BIOGRAFICI INTORNO AL DOGE NICCOLÒ DA PONTE

Niccolò Da Ponte, figliuolo di Antonio, nacque in Venezia nel 1491 ai 15 di gennaio. Sua madre fu Regina Spandolin, del cavalier Demetrio da Costantinopoli. Compiuti con molta sua lode gli studi, ricevette nel 1513 il grado di Dottore, e nello stesso anno fu eletto Savio agli Ordini. Vacata nel 1521 la cattedra di filosofia in patria, vi fu sostituito a Sebastiano Foscarini. Egli la esercitò con grande dottrina ed eloquenza, ed essendo in essa, tenne in parecchie congiunture molto eleganti discorsi. Nel 1530 gli fu affidata la carica di Bailo e governatore generale a Corfù; e fu suo merito lo avere colà acquietato un forte tumulto, insorto tra quelli abitanti greci e i soldati che v'erano di presidio; e ciò ottenne non coll'uso della forza, ma sì con quello della parola. Fu poi nel 1537 Senatore della Giunta, e nel 1539 Avvogador del Comune. L'anno dopo, cioè nel 1540, resse Udine come luogotenente, e contribuì molto a comporre le differenze coll' Austria, per l'acquisto fatto dai Veneti della fortezza di Marano; e ad abbellire la città d'una fontana nel mezzo della piazza. Appena compiuto questo reggimento, fu eletto ambasciadore ordinario a Carlo V, l'anno 1542; ma partito, s'infermò a Trento, e ripatriato dopo alcuni mesi, gli venne sostituito nel 1543 Bernardo Navagero. Nel codice di Emanuele Cicogna, num. MCCLI, cartaceo, del secolo XVI, si legge il viaggio del Da Ponte in cotesta occasione, scritto da Bernardino Fabrizio notajo e cittadino udinese, ch' era al di lui servigio. Esso è interessante per parecchie notizie storiche e artistiche. Nello stesso anno fu Savio di Terraferma, e nel 1546 ebbe l'ambasceria ordinaria a Paolo III; e in questa procurò di contenersi con grande prudenza nelle questioni colla Santa Sede, per le accuse date dai Cenedesi al cardinale Marino Grimani loro vescovo; onde avvenne che al Grimani fu tolto quel vescovato. Fu allora il Da Ponte decorato dell' ordine cavalleresco dal Sommo Pontefice. Era fino dal 1550 fra i Riformatori dello studio di Padova, allorchè fu di nuovo mandato a Roma ambasciatore straordinario a Giulio III, per la sua promozione al trono pontificale. Questa elezione fu nel febbraio 1549, all' uso veneto, che risponde al 1550; e suoi colleghi furono Francesco Contarini, Filippo Trono, Marcantonio Veniero. Colsero gli oratori questa occasione anche per trattare col Papa intorno alle città di Ravenna e di Cervia, ch' erano tenute dalla Repubblica. Terminata quella legazione, gli venne nel 1550 assegnata l' ordinaria allo stesso Giulio III in luogo di Matteo Dandolo. Il Da Ponte non desistette coll' efficacia della sua eloquenza di indurre Giulio a non turbare la quiete d'Italia; mentre egli pretendeva riavere dai Farnesi le città di Parma e Piacenza, ch' erano a loro state date da Paolo III. In patria ebbe di nuovo nel 1553 il Saviato dl Terraferma; e quattro anni appresso, cioè nel 1557-1558, era a Padova come Podestà. Fu in quest' in

contro ch'egli promosse fl rifacimento di quel palazzo pretorio; che instituì il Monte di Pietà; e che impiegò molte cure a favore di quei cittadini afflitti dalla pestilenza. Del 1559 ai 20 di luglio, fu con Bernardo Navagero spedito ambasciatore straordinario a Francesco II re di Francia, per condolersi della morte di Arrigo II suo padre, e congratularsi della sua successione a quel Regno. Nel 1561 ai 29 di settembre fu con Matteo Dandolo destinato ambasciatore al Concilio di Trento. Ivi sostenne con una pubblica orazione i religiosi sentimenti della Repubblica; e nei colloqui ai quali fu invitato, s' interpose per ottenere sentenza di assoluzione al patriarca di Aquileja, incolpato di erronee opinioni; e adoperossi perchè i canoni sul matrimonio fossero espressi in modo, da non turbare almeno direttamente la pratica dei Greci nell' argomento dei divorzi per adulterio. In questo Concilio, unitamente al collega Dandolo, difese anche con somma costanza d'animo la controversa preeminenza del rango dovuto alla sua Repubblica in confronto dell' ambasciatore del duca di Baviera. Dicesi che, essendo colà oratore, il Da Ponte fosse schernito piacevolmente da quei giovani prelati per la veste di pelliccia che aveva alquanto logora, e che egli pure piacevolmente rispondesse:

Pontius ipse vocor, sed non sicut ille Pilatus,
Quamvis sit vestis tota pilata mihi.

Eletto fra Michele Ghislieri a sommo pontefice col nome di Pio V, venne nel Gennaio del 1565, stile veneto, inviato ambasciatore straordinario il Da Ponte insieme con Girolamo Grimani, Girolamo Zane e Marino Cavalli, per congratularsene in nome della Repubblica. Se non che il Da Ponte ebbe lo sconforto di non essere accettato dal papa. Quanto al motivo, chi disse che fu per fisica indisposizione dell' oratore; chi per alcuni disgusti passati tra il Ghislieri e il Da Ponte, mentre erano al Concilio di Trento, relativamente ad alcune opinioni circa gli eretici e l'eresia, sostenute dall'oratore con troppo zelo; e chi disse che, trovandosi il Ghislieri inquisitore a Bergamo, il Da Ponte sia stato principale cagione di farlo uscire da quei confini, perchè volle estendere la sua giurisdizione sopra Vettore Soranzo, allora vescovo di quella città (1); che quindi, eletto pontefice,

(1) Vettore Soranzo, vescovo di Bergamo, eletto fino dal 1547, cadde in sospetto di eresia. Il Ghislieri, domenicano, inquisitore del Sant'Uffizio a Bergamo, fu incaricato dal papa di instituire un processo; ma attiratosi addosso l'odio dei protettori del vescovo, fu costretto nel dicembre del 1550 di partire nottetempo da quella città. Continuatosi nondimeno a Roma il processo, il Soranzo fu sospeso dall' episcopato per due anni, cioè dal 1552 al 1554; nel quale fu poscia dallo stesso pontefice rimesso. Attribuiscono quindi alcuni al Da Ponte l'aver fatto partire da Bergamo il Ghislieri; il quale Da Ponte non era già allora podestà di Bergamo, come malamente accenna il Wiquefort, ma siedeva tra i veneti Senatori; e come tale, può colla sua eloquenza avere persuaso ai Padri di procurare la partenza del Ghislieri da Bergamo. Accenna all'affare del vescovo Soranzo anche Paolo Tiepolo nella Relazione di Roma 1566; dicendo che il Ghi

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