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Da Ferrara scrive messer Marcantonio Veniero, dottore; come ivi era giunto similmente il detto Gran Cancelliere, a visitazione del quale avevagli parso di andare, e da lui, circa la pace, aveva avute buone parole; il quale aveva pregato l'oratore, che dovesse raccomandarlo ed offerirlo alla illustrissima Signoria: che l'Imperatore si era fatto intendere che, passando per Modena e Reggio, secondo il salvocondotto di quel duca, volentieri lo vederia: che, intesa questa cosa, aveva deliberato andargli incontro a Modena per fargli riverenza: che, per fama si diceva che il duca, col presentare danari a Cesare, facilmente acconcierebbe secondo il suo volere le differenze che ha col pontefice per queste due città di Modena e Reggio, ed insieme di Rubiera.

Da Bologna si ebbero lettere dell' orator nostro messer Gaspero Contarini, per le quali scrive; che la entrata di Sua Santità a Bologna fu ai ventiquattro del presente, nel qual giorno egli aveva ricevuto le lettere della illustrissima Signoria coll' informazione del maneggio della pace; e che la mattina seguente si era ritrovato insieme col pontefice, e gli aveva detto che gli era stata mandata la commissione di far la pace con Cesare: per la quale il papa aveva mostrato di sentire gran piacere: che dipoi era entrato nella materia di Ravenna e di Cervia, secondo l'ordine delle lettere scrittegli a parte; che il pontefice subito rispose: «< questo non è buon principio di voler pace. La Signoria ha tolto queste città in tempo che io era in lega seco e che io era prigione in Castel Sant' Angelo; e ci fu promesso di restituirle, usciti che fossimo dalle mani dei nemici. Ora poi che per grazia di Dio siamo usciti, e che convenimmo insieme per la pace, il cominciare da questo capo, cioè dal non voler rendere le terre della Chiesa, è un disturbare ogni cosa e dar principio alla guerra. » Al che aveva detto messer Gasparo: « Padre Santo, non si dee negare la giusta domanda

della illustrissima Signoria; prima, perchè vi è poca differenza dall' utile che si può trarre da queste città, al tributo che in compenso vi promette di dare ogni anno: anzi, se 2 meglio si considera, questo partito sarà di maggior benefizio e di mauco fastidio alla Chiesa; dipoi, perchè gli altri I pontefici ce le hanno lasciate tenere senza farne conto, come chiaramente si vede pel lungo tempo che le abbiamo possedute; onde pare alla nostra Repubblica di avere ragione di de conservarle, e di non si lasciar spogliare di esse, come di cosa che le è stata lasciata dalli nostri padri e maggiori » ; soggiungendo: « Vostra Santità ci dà esempio di pregarla e stringerla per tal cosa, avendo lei fatto e facendo guerra alla sua patria Firenze, per conservare nella sua famiglia il governo di quella terra, quale lo aveva avuto di mano delli maggiori suoi per molti anni, e tuttavia l'aveva, contra quelli che cercavano privarla. Oltrediciò, quando la illustrist sima Signoria nuovamente ebbe queste città, la non era in lega con Vostra Santità; chè non si troverà mai che per nome pubblico le sia stato promesso di restituirle, avendole ricevute come sue e con animo di conservarle. Che egli non negava, Sua Santità in quel tempo essersi trovata in prigione, e che allora le fu detto a nome della Repubblica, che le dette città erano state accettate per non lasciarle cadere in mano dei nemici; e se le fu aggiunto altro, fu contro l'oredine del Senato ». Rispondendo il pontefice, disse: « quanti : anni sono che voi possedete Ravenna e Cervia?» E messer Gasparo: «< forse cent'anni o poco meno. » Rispose il pontefice: «< da chi a quel tempo le aveste voi »? « Da quelli da Polenta» disse messer Gasparo. Replicò il pontefice: « quelli da Polenta da chi le ebbero? non le riconoscevano dalla Sede apostolica?» Disse l'oratore « Beatissimo Padre, se le cose degli stati si dovessero risolvere nel loro principio, ora non si troverebbe chi fosse vero possessore di alcuno. » A questo ragionamento il pontefice mise fine, dicendo: «< ora, Domine

orator, questi non sono mezzi di voler trattar pace; sappiate per certo che l' animo nostro è fermo di ricuperare Ravenna e Cervia alla Chiesa ». Replicò sorridendo messer Gasparo, che non voleva per allora una così risoluta risposta da Sua Santità; ma che la pregava fosse contenta di metter qualche più pensiero a tale domanda, e rispondere con più maturità alla illustrissima Signoria. E così prese grata licenza, e da quella gli furono usate parole assai amorevoli.

Nel giorno seguente scrive l'oratore, che ritornò a visitare il pontefice; il quale, dopo diversi ragionamenti, finalmente gli disse: « domine orator, scrivete alla Signoria circa la cosa della quale jeri parlammo a lungo insieme, e scrivetele quello in che io mi risolsi con voi, e in che ora, più che mai, mi ritrovo risolto ». Rispose l'oratore, ch' egli sperava tanto nella grazia e bontà di Sua Beatitudine, che ella troverebbe modo di soddisfare al desiderio di questo Stato, con beneficio suo e della Santa Sede. Scrive anco, divulgarsi per Bologna che l'imperatore e il pontefice si erano insieme accordati, che l'imperatore pigliasse carico di acconciare le differenze del duca di Ferrara e dei Fiorentini col pontefice; e il pontefice quello della Signoria di Venezia e del duca di Milano coll' imperatore. Partitosi messer Gasparo dal pontefice, andò ai reverendissimi cardinali Grimani e Pisani, dai quali ebbe, che la risoluta opinione del papa era di volere per ogni via e modo le due città, altrimenti non si concluderia la pace coll' imperatore. Soggiunge poi, che dal pontefice aveva inteso che l'animo di Cesare, come credeva, era di pigliar la corona in Bologna; acciocchè, dovendo presto partire per l'Allemagna, potesse ivi far dichiarare suo figlio (1) re dei Romani; il che non gli era lecito fare innanzi che avesse pigliato la corona.

(1) Non già suo figlio, ma suo fratello Ferdinando re d'Ungheria e di Boemia, il quale fu incoronato re dei Romani agli 11 di gennaio 1531.

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Fu in questo giorno fatta risposta per parte di tutti li Savi al predetto oratore; lodandolo prima del buono of ficio che aveva fatto col pontefice nella materia di Ravenna e Cervia; dipoi gli mandarono li capitoli che del mille cinquecento ventitrè si trattarono in Spagna, per istruzione sua: oltrediciò lo avvisarono, che, se dai Cesarei fosse ricercato che nella pace si nominasse Ferdinando fratello dell' imperatore, dovesse assentire; e se non gli fosse detto altro, non ne parlasse e avvisasse del successo.

Alli due di novembre si ebbe di Cremona dall' oratore Venier, come in Parma era giunto l'imperatore e l'ammiraglio di Francia (1); la corte del quale era parsa a tutti più onorevole e di maggior pompa di quella dell' im→ peratore; sì per la compagnia ch' era superbamente vestita, come eziandio per lo splendido e magnifico modo di vivere che nella corte teneva che l'imperatore aveva fatto intendere al pontefice che, con buona licenza di Sua Santità, voleva passare per Modena e Reggio: che lungamente era stato coi consiglieri, parte dei quali esortavano Sua Maestà all'accordo con tutta Italia, parte alle armi; tra questi era Antonio da Leva, al quale pareva che l'imperatore inclinasse.

Si ha non solo per la via di Bologna dall' orator nostro appresso il pontefice, ma per quella della Patria (2) dal luogotenente messer Marcantonio Contarini, e da Bassano dal rettore messer Alvise Salomon, e da Veggia dal rettore: come il Signor turco si era ritirato dall' impresa di Vienna, dopo tredici assalti; che infine era stato ribattuto ed aveva perso assai delle sue genti, cioè quindicimila, come si divulgava; e che in Vienna erano morti circa ottomila uomini; ma che li restati vivi davano grande spe

(1) Filippo Chabot, conosciuto sotto il nome di Ammiraglio di Brion, mandato allora dal re di Francia in Italia per far ratificare da Carlo Vil trattato di Cambrai, conchiuso ai 5 di agosto dell'anno medesimo 1529.

(2) Il Friuli, che i Veneziani chiamavano patria del Friuli, o Patria semplicemente.

ranza di mantenersi, non venendo a meno le vettovaglie, delle quali avriano abbastanza per tutto il mese passato. Appresso, che per cento miglia d' intorno a Vienna, il Turco aveva rovinato e abbruciato il paese; che nella detta città erano restate solo le persone da fatti; le restanti, come femmine, putti, studenti e religiosi erano stati mandati via: che in diversi luoghi dell' arciduca si faceva la massa delle genti per soccorrere Vienna; e che in quelle parti dicevasi: rotto ovvero fugato che avremo il Turco, c' indirizzeremo contro i Veneziani.

Di Mantova dal segretario Rosso si hanno lettere, come l'imperatore più volte aveva mandato a dire al marchese, che dovesse colle genti alemanne cavalcare a danno dello stato della illustrissima Signoria; il quale era andato temporeggiando sinora, e gli aveva allegato diversi impedimenti di questa tardezza.

Di Trani si ha dal provveditore generale di Puglia, messer Giovanni Vitturi, come aveva molto pregato il signor Renzo, che dovesse trattenersi quanto più poteva dal restituire Barletta ai Cesarei; nè gli aveva negato di farlo, anzi aveva promesso di compiacerlo. Scrivendo poi delli portamenti del signor Camillo Ursini, nostro governator generale delle genti d'arme di Puglia, mormora e dice, che Costantino Cavazza segretario ducale gli avvisava tutte le deliberazioni di quello.

Di Parma ci sono lettere da messer Andrea Doria genovese, per le quali ringrazia la Signoria della umanità dimostrata verso di lui nell' averlo ringraziato di cosa che non aveva fatto; ma volentieri offerisce la persona e poter suo, benchè sia poco, al servizio dello stato nostro, e massime in questo maneggio di pace, nel quale è per fare ogni sviscerato uffizio coll' imperatore a beneficio comune dell'accordo.

In questo giorno furono replicate lettere da tutti e tre

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