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L'oratore parlò in questi termini: come della legazione stata a Roma circa mesi nove, non diria nulla; perchè la sua andata fu per levare lo interdetto, che è stato lungo, ma pure è seguito ad vola ed è molto onorifico per la Signoria nostra, e spera sarà principio di assai bene per essa. E però riferirà solamente tre parti: prima, la causa per cui il pontefice è stato tanto a levar l'interdetto: seconda, quid sperandum de pontifice: terza, la condizione e qualità dei reverendissimi cardinali.

La causa che il papa consentì, che gli oratori nostri fossero mandati a Roma, fu questa. Dubitando Sua Santità che il re dei Romani ed il re di Francia volessero abboccarsi insieme, come si diceva (ed era certo in suo danno) fece due effetti. Mandò all' Imperatore predetto il signor Costantino Arnito (Arcinio) con larghi partiti di avere intelligenza insieme, offerendogli ogni opera contro la Signoria nostra; e nel tempo stesso fu contento che essi nostri oratori venissero, per dar gelosia e servirsi della reputazione (1).

(1) Questa fu veramente la mira di papa Giulio; il quale per trarre maggior vantaggio dall' avvilimento della Repubblica, volle che i di lei ambasciatori entrassero in Roma di notte e senza incontro, e che non potessero assistere agli ufficii divini, sinchè non avessero ottenuta l'udienza a bello studio protratta. Ma la ripresa di Padova ed altri avvenimenti favorevoli ai Veneziani, lo indussero presto a levar l' interdetto e a trattare con loro meno superbamente.

Vol. VII.

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E così gli oratori andarono, credendo subito essere assolti; massime per avere Sua Santità avute le sue terre, e per le promesse che n' avea fatte alli reverendissimi cardinali. Ma giunti, trovarono le cose in altri termini: perchè il papa attendeva alle cose dell' Imperatore; e fece dir loro che voleva che il detto imperatore avesse le sue terre, e Padova e Treviso e il Friuli, giusta i capitoli di Cambrai. E in questo stette qualche giorno; poi seguì che il campo venne a Padova, e teneva per certo che si dovesse perdere; ma visto che Iddio e le buone provvisioni di questo stato l'aveano guardata, gli parve di attendere, e fece le quattro proposizioni ben note alla signoria nostra, cioè, dei benefizii, delle appellazioni e cause dei preti, che vadino in corte, delle decime, e delle denominazioni (1): delle quali essendo compiaciuto, voleva anche, che colle entrate delle terre si armassero certe galee contro gli infedeli, e bisognando, per la Chiesa. Poi si pensò nuove proposizioni circa il golfo: che i sudditi della chiesa e tutti vi potessero navigare, dicendo che la signoria non vi aveva alcuna giurisdizione: inoltre, che il vicedomino di Ferrara sia levato (2). E così finalmente, fatto anche di queste due quello che voleva, Sua Santità toccò circa la validità dei mandati ec. che cagionò qualche disturbo. E alla fine, ita volente Deo, fu contento di assolverli; e li assolse onoratamente, come del tutto scrissero: e

(1) Facoltà di nominare ai benefizii ecclesiastici. Vedi intorno a queste proposizioni o capitoli il Guicciardini, lib. 8, cap. 5, e il Daru, storia di Venezia, ediz. di Capolago, libro XXII. pag. 89. e seg.

(2) La giurisdizione pretesa dai Veneziani sul mare Adriatico dal capo di Ravenna sino al golfo di Fiume, era, fino a un certo segno, fondata sulla necessità della propria conservazione. Ma estendendosi questo diritto non solamente a interdire la navigazione del Golfo ai vascelli armati delle altre nazioni, ma a taglieggiare le navi mercantili e le merci, è ben naturale che gli estrani e massimamente i costieri se ne risentissero e tentassero sovente di francarsi da quel tributo. Nondimeno la Repubblica seppe, sino agli ultimi tempi, mantenere questa sovranità; concedendo rare volte il libero passag gio del Golfo anche a principi potentissimi che ne la richiesero.

L'ufficio del vice-domino (magistrato stabilito sino dai tempi di Clemente VI in Ferrara, e cessato appunto in questa occasione) era di far ragione ai sudditi veneziani e d'impedire i contrabandi, principalmente del sale.

nel fare degli instrumenti non fu detto nulla di mettere quella difficoltà del golfo per il navigare degli altri; sicchè Dio lo inspirò a levare tale interdetto ec.

Quanto alla volontà del papa, questa si può sapere per tre vie: per parole del volgo; per parole sue proprie e dei suoi; e per le operazioni. Rispetto al volgo, quando, gli oratori giunsero a Roma, tutti parlavano rottamente della Signoria, e che il nome veneto saria estinto. Ora, seguìta l'assoluzione, tutti hanno della Signoria quella riputazione che merita, e dicono che si reintegrerà dello stato. Per le parole, il papa mostra di voler essere grande amico della Signoria nostra, e si vedranno i benefizii che seguiranno dalle operazioni. Tuttavia è opinione dell' oratore che il papa non sia per fare alcuna intelligenza nè altro colla Signoria nostra, se non in quanto il re di Francia venisse in Italia; perchè venendo, sa certo che viene contro la Chiesa e a'suoi danni: però fa lega e quello che si vorrà; ma non venendo, nulla farà. Ed è timido e avaro, ed ha molti danari adunati (si dice un milione d'oro; o almeno settecentomila ducati) e con questi suoi danari pensa far grandi cose; ed ha modo facile di trovarne sempre che voglia.

Sua Santità vorrebbe che la Signoria si accordasse coll'Imperatore, e a questo aiuterà: ed ha mandato il signor Costantino Arniti in Alemagna per staffetta, oltra il vescovo de Grassi (1), oratore suo all'Imperatore. Inoltre, vorria che la Signoria nostra avesse Verona; ma non vuole che vadi più in là; ma che si accordasse con Francia, e lo facesse sicuro che non si anderia più oltra di Peschiera, dicendo: col tempo si potrà fare ec. E non stima il detto imperatore; dice che è una bestia, e merita più presto d'essere retto che di reggere altri. Stima alquanto il re d'Inghilterra; ma teme molto di Francia. Di Spagna non fa molto conto; e cose lunghe... concludendo che, dopo la sua morte,

(1) Achille de'Grassi, bolognese, fatto poi cardinale da Giulio II nel 1511.

sarà papa certissimo il cardinal di Roano (1), e così si tiene per Roma, perchè ha gran parte dei cardinali.

Inoltre, che il papa disse agli oratori nostri ( fu addì 25 marzo): dite a quella Signoria che stia bene coi pontefici; e si scuso della tardanza nel levare l'interdetto, dicendo: quella Signoria n'è stata causa; ne doveva risponder più presto. È papa sapientissimo, e niuno può intrinsicamente con lui; e si consiglia con pochi, anzi con nessuno. E il cardinale Castel di Rio (2), che pare il più intimo, è gran francese e nemico nostro; e parlando col Papa dirà una cosa, e il papa la considera, e fa fondamento ec. Questo cardinale ebbe da Francia il vescovato di Cremona, che ha il nostro Trivisan, abate de' Borgognoni; tuttavia il papa non gli ha mai voluto dare le bolle. Il qual cardinale saria facilmente amico della Signoria nostra; e, come il reverendissimo Cornaro ha fatto intendere all'oratore, appetirìa tre cose: primo, la promessa della Signoria, che, alla morte del papa, lo aiuti ad aver Imola, che fu dei suoi, acciò i suoi fratelli la godano: secondo, dargli poi il vescovato di Cremona: terzo, certa provvisione annuale (perchè ha una gola grandissima ).

Disse che il papa darà le genti d'arme e i capitani, come ne fu contento al loro partire (3). E quanto ai capitani, parlarono al signor Prospero Colonna, che verria volentieri, ma non può; per dubbio che il re di Spagna non gli tolga lo stato, venendo: sicchè per ora non è da sperare; se non intraviene altra lega con Francia.

Lodò il signor Giovan Paolo Baglioni, che è capitano

(1) Giorgio d'Amboise, che morì a Lione l'anno medesimo.

(2) Francesco degli Alidosi, discendente dagli antichi signori d'Imola, detto di Castel del Rio, dal luogo presso Imola, dove nacque. Egli è notissimo nelle storie sotto il nome di Cardinal di Pavia.

(3) Uno dei primi atti dello staccamento di Giulio II dalla lega di Cambrai, fu la permissione data ai Veneziani di pigliare a soldo le sue genti d'arme ed alcuni de' suoi capitani e sudditi della Chiesa. Fra i nominati dal nostro Cappello andarono agli stipendi della Repubblica Giampaolo Baglioni e Renzo da Ceri. Intorno a quest'ultimo vedi la'nota a pag. 177, vol. I delle Relazioni venete.

della Chiesa; ma ritiene che il Papa non lo darà, per non si scoprire. Marcantonio Colonna è degno capitano, a soldo dei Fiorentini; ha uomini d'arme.... e compie la ferma subito; ha anni trentadue; è avventurato capitano, e verrà volentieri: ma è gran nemico di Prospero, fratello di suo padre. Crede che Renzo da Ceri verrà; e quando dimandarono al papa se potesse venire, rispose di esser contento. Non sa poi quello che sia seguito col marchese di Mantova (1). Il papa usò loro quelle parole che scrissero, dicendo: tuttavia ci rimettiamo a quella Signoria. Il quale, come disse il Papa, si tiene per gran nemico di Francia: primo, perchè Francia gli tolse Peschiera e Valeggio, delle quali l'Imperatore l'avea investito; secondo, perchè è prigione; e dopo che è qui, niuno di questi reali ha pure mandato a dir qualche cosa per lui: terzo, perchè il re di Francia, dopo che fu prigione, gli levò la provvisione. E il papa disse, che conviene ch'egli sia gran nemico di Francia ed anche dell'Imperatore; ed è buono che la Signoria se ne assicuri, e che dia nelle mani nostre i figliuoli e i castelli ec.

Inoltre disse che, quando il papa propose di levar la scomunica, in concistoro, tutti i Cardinali laudarono, persino i francesi, eccetto Santacroce (2), che fu durissimo per il re dei Romani, e il cardinal di Buj (3), francese. E i cardinali non osano contrariare il papa; anzi, quando il papa volle levar la scomunica, gli oratori della lega essendo stati avanti da Sua Santità quasi per protestare, e anche dopo levata, dicendo essi col cardinal Santacroce di voler sapere, che ajuto darà quest'anno all' Imperatore per riacquistare ciò che di lui tiene la Signoria nostra; rispose loro (come Sua Santità disse anche all'oratore ), di non voler dar niente, per non avere obbligazione di questo: e avendo essi replicato

(1) Francesco Gonzaga, che aveva fatta causa comune coi nemici della Repubblica, ed era caduto l'anno innanzi prigione dei Veneziani. Fu liberato nel mese di luglio 1510 ad istanza di Giulio II.

(2) Bernardino Carvaiale.

(3) Renato di Brie, fatto cardinale da Giulio II nel 1506.

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