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Maestà dice, che vuol la pace e la pace presta; questa opinione la conduce alla guerra subita, e ritarda la pace: alla quale io non vedo migliore e più spedito mezzo che se la Maestà Vostra lascia in istato il duca Francesco; e perciò la consiglio riverentemente che gli conceda di venire alla sua presenza e di dire liberamente le sue ragioni. Se queste saranno tali che meritino giustizia, tanta ne troverà in Vostra Maestà quanta sia stata mai in alcun altro imperatore e principe. Se saranno degne di compassione e di misericordia, è da credere che Vostra Maestà non gliene sarà scarsa, come si può sperare dalle altre sue operazioni verso quelli che hanno peccato contra di lei: cosa veramente divina e più degna di sè che di alcun altro che viva, essendo imperatore di cristiani; per la quale la si fa conforme a Dio più che per niuna altra azione; imperocchè non è virtù per la quale gli uomini più si assomigliano a Dio onnipotente, che colla clemenza, colla pietà e misericordia verso di tutti e principalmente verso di quelli che sono nemici e dai quali si ha ricevuto qualche notabile offesa. Questa è quella che ha fatto celebre il nome dei di lei predecessori; questa innalzò Giulio Cesare al cielo; conciossiachè tutte le altre operazioni sue, sebben rare e maravigliose, sono riputate dai savi men degne e men chiare della benignità e della clemenza con le quali soleva proseguire nelle vittorie quelli che gli erano stati ribelli e gran nemici. Sicchè, parlando colla libertà che mi concede e con tutta la riverenza, quand' anche il duca Francesco avesse fallito, è cosa degna della grandezza della Maestà Vostra di dargli commodità di venire sicuramente alla presenza sua, di udirlo benignamente, di giudicare con clemenza la sua causa e di fargli misericordia». Rispose l'imperatore: «< quando il duca di Milano mi farà domandare salvo condotto, non glielo negherò e userò verso di lui quella pia discrezione che si conviene; ma sappiate che il duca è persona superba e pertinace, e dopo il

peccato non vuol riconoscersi, anzi contrasta di non avere errato ». E qui fece fine, e messer Gasparo si partì: ma poi ritrovatosi coll'ambasciatore del duca che allora era in quella corte, gli comunicò quanto aveva negoziato con Cesare a beneficio del suo Signore, e consigliollo che subito andasse dall' imperatore e con quella maggior umiltà che poteva si abbassasse e gli chiedesse il salvocondotto per il padrone. Così fece l'ambasciadore, al quale l'imperatore compiacque ed ordinò il salvocondotto. Fatto questo, il pontefice avendo inteso da messer Gasparo l'operazione da lui fatta per il duca di Milano, disse: che la era contraria a quella che l'imperatore avevagli affermato di fare nella sera inanzi; sicchè gli pareva che le cose della pace s'indirizzassero su buona strada.

Oltra le lettere dell'oratore, fu letto un breve del pontefice diretto alla Signoria per il suo legato appresso di quella. In questo ringrazia assai la Repubblica del restituire Ravenna Cervia; le promette di perdonare a quelli che hanno favorito contra di lui le nostre ragioni; promette di non mancare di giustizia ai nostri che hanno da fare in detti luoghi; e in fine di adoperarsi in questo negozio della pace con Cesare a beneficio della Signoria. Lette le lettere, per tutti i Savi fu risposto a messer Gasparo Contarini; prima alle lettere dei tredici e dei quattordici, lodandolo sommamente del modo usato nel principio di questa pace: é per sua informazione gli fu dichiarato, che nel mandato si nominasse il pontefice; quanto al duca d' Urbino, che se non si poteva numerare tra i principali della pace, almeno a parte si facesse menzione di quello e del suo stato, e gli fosse fatta la riserva delle ragioni che ha nello stato di Sora. Appresso, per un' altra mano di lettere fu scritto: che se i Cesarei lo ricercassero di lega ovvero di tregue tra i principi d'Italia, dovesse ricusarle con ogni studio; affermando che la lega era mezzo d' interrompere facilmente la pace, e che molto meglio era stabilire la pace senza nominar lega,

la quale per verità è nido di guerra e occasione di venire ogni giorno alle mani tra i principi d' Italía. Oltra di ciò fu ordinato all' oratore, che venendo il duca di Milano in Bologna, dovesse usare ogni diligenza di parlargli inanzi che a Cesare si presentasse, e di ammonirlo di abbassarsi più che potesse alla presenza sua, di parlargli con ogni riverenza e modestia e di domandargli perdono degli errori commessi contra di lui, quand' anche a lui paresse di non avere fallato; facendogli intendere la buona mente di Cesare di perdonargli, se anderà a lui basso ed umile; i quali ufficii saria anche ordinato che facesse l'orator nostro appresso il duca, messer Gabriele Veniero, il quale ora si ritrova in Cremona. Per la terza mano di lettere del Senato al Contarini, gli è commesso: che avendo scritto messer Federigo Grimaldi (il quale si ritrova in Bologna col principe Andrea Doria) ad un suo commesso di qui, chiamato messer Agostino..... di certa lega che si ragionava di fare in Bologna tra i principi cristiani, e vi erano nominati i Turchi, dovesse a parte ammonire detto messer Federigo di non più scrivere in lettere simili nuove, per assai convenienti rispetti; potendo essere di danno alla Repubblica la menzione che in tali lettere si fa della lega contra i Turchi, se per caso le lettere fossero intercette. Per la quarta mano si commette a messer Gasparo, che debba ritrovarsi col pontefice e dirgli le ragioni che ha questo Stato nel golfo Adriatico, per le quali è solito eleggere un capitano con amplissima autorità, secondo le nostre giurisdizioni; supplicandolo che voglia rinvestirne di quelle; e in ottenere questa giusta petizione, debba porre ogni industria e forza delli spiriti del suo ingegno.

Fu scritto a messer Gabriele Venier, oratore al duca di Milano, per opinione di tutto il Collegio, che dovesse comunicargli il buon ufficio che per lui aveva fatto messer Gasparo Contarini appresso Cesare; e che dovesse eziandio esortare Sua Eccellenza ad usare ogni modestia e rive

renza nelle difese delle sue operazioni, per avvantaggiarsi nei trattamenti futuri della pace, e per occorrere e provvedere alla mala opinione che Cesare tiene di Sua Eccellenza e che a Bologna esso messer Gabriele Venier debba negoziare insieme con messer Gasparo Contarini. Fu di poi messa parte per li consiglieri, per li capi dei Quaranta, per li Savi dell' una e dell'altra mano, che il prefato ambasciatore Venier fosse sovvenuto di ducati duecento per la spesa di questa sua andata a Bologna; e fu presa. Alcune lettere del cardinal Pisani, date a Bologna e dirette a messer Giovanni suo fratello, procuratore, per non essere egli in Venezia, furono lette dal serenissimo principe Andrea Gritti, suo avo dal canto della moglie, e fatte leggere in Collegio; per deliberazione del quale furono anche lette in Senato. In queste, prima si diceva: che il pontefice era stato ed era molto contrario nel concedere alla Signoria la denominazione dei vescovati ch' erano per vacare sullo stato della Licella; ma di poi scrive, che aveva promesso dare al Senato facoltà di eleggere cinquanta canonici della Chiesa di San Marco, ai quali fosse provvisto d'una entrata annua di ducati duecento per uno, sopra i benefizii ch' erano per vacare nello stato della Signoria; con questa condizione, che esso cardinale potesse inanzi pigliare sopra di quelli mille ducati d'entrata. Lette queste lettere, fu messo per tutti li Savi e deliberato di scrivere al detto cardinale, che dovesse seguire questa pratica col pontefice, e ponesse ogni studio che la si ottenesse; e in appresso, che oltre li cinquanta canonici da essere eletti dal Senato, il serenissimo principe avesse autorità di eleggerne cinque; sicchè in tutto la denominazione fosse di cinquantacinque. Fu pure deliberato di far presente al principe di Melfi (1), fuoruscito del suo stato, venuto a visitare la Signoria, di ducati duecentocinquanta.

(1) Giovanni Caracciolo.

Addi venti di novembre, nel Senato si lessero lettere da Cremona, per le quali s' intese che il pontefice aveva con un breve domandato al duca alcuni pezzi d'artiglieria per mandarli all'impresa di Toscana: che messer Gabriele aveva comunicato al duca solo la deliberazione del Senato di Ravenna e di Cervia, e che l'aveva intesa con sommo piacere e aveva detto: al presente, segua quello che si vuole, tutto il mondo intenderà che dai Veneziani non si manca di far pace.

Da Ferrara s'intese, che ivi non sapevasi che in Bologna si ragionasse delle cose del duca, perchè l' imperatore era occupato in quelle dei Veneziani. Da Firenze, che i Fiorentini erano più che mai animati alla difesa della loro libertà contro l'assedio del pontefice, purchè in qualche parte fossero aiutati dalla Signoria di Venezia; che avevano patito un assalto dai nemici, e la città s' era subito messa in arme, e aveva risposto sopra la muraglia con artiglierie, colle quali credevasi essere stati morti molti dei nemici; e che un palazzo di messer Jacopo Salviati era stato bruciato e spianato; che parte del popolo aveva voluto rovinarne un altro del pontefice; ma la Signoria di Firenze si era frapposta.

Da Bologna furono avvisi, che messer Andrea Doria s'era partito di lì, sì per l'aria che gli nuoceva, come per la nuova che un Fortuno Corsaro aveva fatto rappresaglia di sei galee sottili genovesi: che messer Antonio da Leva con venticinque gentiluomini milanesi era venuto a Cesare, dicendo di avere inteso che Sua Maestà aveva concesso al duca di Milano che potesse venire a lei; onde sospettavano che la volesse investirlo di quello stato; la qual cosa quando avvenisse, seguiria la rovina di tutta quella nobiltà che saria meglio per quella e per tutta Italia, che fosse posto in stato Massimiliano Sforza, fratello del duca Francesco. A questo avere risposto Cesare: che non negava

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