Sayfadaki görseller
PDF
ePub

posizioni. Gli si mandino adunque ambasciatori per congratularsi tanto che vuole, ma si taccia al tutto dell'obbedienza; si senta ciò che lor vorrà dire, e gli si risponda poi ciò che inspirerà Iddio a beneficio di questo stato. Ma non voglio però lasciar di pregare le Signorie Vostre, che non mi diano questo carico di ambasciatore, essendo io vecchio decrepito e male condizionato delle gambe, come ognuno può vedere con l'occhio ».

Tacque messer Alvise Mocenigo, e parlò brevemente per la opinione del Collegio messer Marco Dandolo, sopra questo fondamento: che la obbedienza si doveva dare al pontefice, per la religione che ci stringeva e per il costume antico della Repubblica che sempre l'aveva prestata; sebbene avesse diferito alquanto di darla a papa Clemente per i rispetti sinora avuti, ma da qui innanzi non ammissibili. Infine si raccomandò di non esser mandato a Roma; come avevano fatto gli altri, Emo e Mocenigo. Furono poi lette di nuovo le parti, e il Mocenigo acconciò la sua in questo modo: che fossero eletti quattro ambasciatori all' imperatore, i quali dopo andassero al pontefice; e se per caso fossero richiesti della obbedienza, dovessero rispondere: che a tempo che la Santità Sua fu creata, gli furono destinati otto ambasciatori per tale effetto, i quali non erano venuti, perchè ella non si aveva curato che venissero; ma che quando gli fossero grati, scriverebbero la intenzione sua alla Signoria, la quale senza dubbio non mancherebbe d' ogni officio verso di lei.

I Savi alli Ordini posero che si facesse un ambasciatore al Signor Turco, subito dopo fatti quelli all'imperatore. Per lo che messer Leonardo Emo parlò: che questo scontro non si poteva ballottare colle altre parti, per essere in materia diversa dalle proposte: rifiutò la opinione di messer Alvise Mocenigo, dannandolo di mutabilità, dal che si argomentava che la era mala; e mostrando che, negare que

[merged small][ocr errors]

sta obbedienza era cosa pericolosa e perturbatrice della pace non ancora pubblicata; aggiungendo che il papa se ne chiamerebbe offeso, e che venendo a Turino il re di Francia e ivi ritrovandosi facilmente il pontefice e l'imperatore, il non aver sodisfatto al pontefice, potrebbe essere in quell'abboccamento di grandissimo danno alla Repubblica. All' Emo rispose messer Girolamo da Pesaro nella opinione del Mocenigo, dicendo: « Questa obbedienza, signori, che richiede il pontefice, è senza dubbio pregnante e con inganno; è molto meglio non la prestare adesso, ma lasciare che lo imperatore si parta dal pontefice, al quale poi si presterebbe senza difficoltà; ed insieme non ci sarebbe tolta la facoltà di negargli le richieste che egli ci potria fare; perciocchè questo prestare obbedienza è una cosa generale e di usanza di tutti i principi cristiani, e non solita ad estendersi nel particolare di essi principi, se non quanto permette il beneficio loro ». Si levò poi Marco Antonio Sanuto, che è della giunta del Consiglio dei Pregadi, e ricordò che facilmente queste due opinioni si potrebbero unire insieme a beneficio pubblico; cioè, eleggendo quattro ambasciadori da indirizzarsi all' imperatore, ed altri quattro al pontefice, i quali tutti insieme dovessero partire, e giunti a Bologna separatamente fare l'ufficio loro. Furono mandate le parti nel modo che erano state disputate e lette; eccetto che messer Alvise Mocenigo ed il Pesaro tacquero quella parte dove si faceva menzione dell' obbedienza; ma volevano, che per ora solamente si dicesse di eleggere quattro ambasciatori all' imperatore, i quali fossero obbligati, fatto il primo ufficio, di congratularsi ancora col pontefice. Vinse finalmente l'opinione dei Savi, e fatto lo scrutinio, furono eletti quattordici e da questi i quattro infrascritti: messer Marco Dandolo; messer Alvise Gradenigo; messer Alvise Mocenigo; e messer Lorenzo Bragadino.

Alli trentuno dicembre, per certi avvisi da Bologna

nel Senato s' intese, che in Inghilterra il cardinale Eboracense era stato condotto alla presenza del re, discalzo, in camicia e senza berretta, ove gli era stato letto il processo fatto contro di lui, e le imputazioni asserte, ond' era stato giudicato e condannato alla morte: il che fu udito volontieri dal popolo che v' era intorno, e con gran voce fu gridato che era degno non solo di essere morto ma lapidato. Ma il re si era rimosso dalla sentenza e l'aveva mitigata così, che avesse a finire la vita in una certa villa di quel regno, deserta di gente e di case, dove non ve n'erano se non quattro e molto picciole.

Fu deliberato di eleggere allora un ambasciatore al Signor Turco con salario di ducati centocinquanta al mese, da lire sei e soldi quattro per ducato; e che Gianus Beì ambasciatore turchesco, che era in Venezia, fosse presentato di cinquecento zecchini veneziani e di vestimenti d' altrettanto valore per lui e per la famiglia. Furono fatte diverse altre deliberazioni: di accomodare i debitori della Terra ai pagamenti delle tasse per tutto il giorno venti gennaro senza pena, e chi le voleva pagare tagliate e perse, lo potesse a quaranta per cento: che i debitori di fuori avessero questo medesimo spazio di pagare il sussidio ovvero imprestito imposto loro per l'avanti: che dalle Procuratie fosse tolto ad imprestito ducati diecimila e fosse loro assegnato fondo sicuro da esser reintegrate: che fosse ordinato ai provveditori di Ravenna e di Cervia e del regno di Napoli, che dovessero restituire i luoghi che tenevano in ciascuna di quelle provincie, dopo aver fatto chiamare i primarii di quelle e comunicata loro la deliberazione del Senato, il quale aveva avuto promessa dall' imperatore e dal pontefice che a niuno si farebbe dispiacere per qual si voglia accidente della guerra. Inoltre, che avendo richiesto l'orator nostro a Roma licenza di ripatriare (conciossiachè erano mesi ventitrè che si trovava ai servigi pubblici, ed ora aveva

sigillato la pace tanto desiata) fosse allora eletto il successore, e un altro oratore si eleggesse all' imperatore; i quali fossero obbligati partirsi con li quattro già eletti, ed avessero di salario ducati centocinquanta d'oro al mese, e fosse ciascuno di loro obbligato menar con sè quindici bocche, computando il segretario col servitore. Finalmente, che si facesse salvo condotto a messer Federigo Grimaldo genovese per un anno, nel quale potesse negoziare le cose sue nella città, non ostanti i debiti contratti per l'avanti con diversi. Fu poi eletto messer Tommaso Mocenigo ambasciatore al Signor Turco; messer Antonio Soriano al pontefice; e messer Marc' Antonio Veniero, che era presso il duca di Ferrara, all'imperatore. Furono eletti Savi ordinarii del Consiglio: messer Niccolò Bernardo, che era stato altre fiate; messer Gasparo Contarini, che era ambasciatore al pontefice, e messer Marco Minio, che parimenti altre fiate aveva avuto questo grado; e fu differita la elezione dei Savi di Terraferma, per essere l'ora tarda.

Ai tre di gennaro, si udirono nel Senato lettere da Bologna di messer Gasparo Contarini in risposta delle mandate alli ventinove: che nel primo giorno dell' anno furono fatti fuochi e feste per la pace; che l'imperatore e il pontefice erano stati in cappella, e il duca di Milano aveva tenuta la coda di Sua Santità; uno dei cardinali aveva celebrato la messa: e la pace era stata pubblicata tra il pontefice, l'imperatore, Ferdinando, la Signoria e il duca di Milano. Lette le lettere, messer Marco Dandolo si scuso in arringo di non potere andare ambasciatore a Roma per le seguenti ragioni. « Prima, disse, la mia facoltà è fatta così tenue, si per le angherie pagate, come per le doti sborsate a tre figliuole, che non mi è lecito fare alcuna altra spesa oltre la ordinaria di casa. Ma questo impedimento, sebben mi è grande, io non lo stimerei tanto; perciocchè, avendo patito degli altri interessi per servizio di questo stato, sop

porterei anche al presente d' intaccare il poco capitale che mi resta per servirlo; se non fosse la debolezza della mia complessione, per la quale spesse fiate mi ritrovo senza polso per due o tre giorni, e li miei di casa mi tengono per quasi morto, aspettando che d' ora in ora mi manchi il fiato. A questa debolezza si aggiunge la grave età di settantadue anni, oltre i quali sento in me verificato il detto del profeta: Si amplius, eorum labor et dolor (1). Il terzo gravame, che mi pesa più del primo e del secondo, è il rispetto pubblico; il quale tanto mi è più a cuore delli altri, quanto più vale la ragion della patria, che quella della facoltà e della vita propria. Io ho lite in Rota di Roma con certi miei avversari che aspirano alla mia eredità, come è notissimo a tutti, quando mio figlio non abbia figliuoli; come non ne ha, nè ha speranza di averne. In tal caso, questi tali vorrebbero ch' io non potessi lasciare cosa alcuna alle mie figliuole; il che sarebbe contro ogni giustizia e ragione, come spero nella bontà di Dio che alla fine sarà conosciuto. Temo dunque assai di andare a questa legazione, acciò non si dica dal mondo, ch' io ci vada per cagioni delle mie cose particolari; e non si mormori, che i Veneziani mandino per ambasciatore uno che fa lite in corte. Se questi tali che trattano cause proprie sono esclusi dai giudizii della Repubblica, perchè al presente mandano me, povero gentiluomo male condizionato e settuagenario; quasi che manchino i gentiluomini e senatori più degni, più atti e più sufficienti di me, pieno di schinelle, di anni e di travagli? »

Il principe gli rispose: che per niun modo questa scusa si doveva accettare; perciocchè, se alle orecchie dell'imperatore (il quale aveva sospetto che la Repubblica sforzatamente avesse fatto pace seco) andasse tale deliberazione, che uno degli ambasciatori, a lui destinati per congratu

(1) Brano del versetto 10 del Salmo LXXXIX; redintegrato più inanzi dal Doge Gritti.

« ÖncekiDevam »