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tutti i luoghi d'Italia ove andrà; l'altro avesse a stare presso di quella in Italia e fuori, per negoziare ciò che alla Repubblica bisognasse ». Disputato che ebbe messer Marco, niuno gli rispose, ma furono mandate le parti, e fu deliberato quella che aveva proposto messer Leonardo Emo, e fu creato oratore all' imperatore messer Niccolò Tiepolo.

Dipoi fu proposto dall' uno e dall' altro ordine dei Savi di scrivere al cardinal Pisani, che trattasse col pontefice di ottenere sopra le Badie dei frati di questa città e di altri luoghi del dominio tanta entrata, che facesse diecimila ducati, per consegnare ai canonici che erano per farsi della Chiesa di San Marco. Messer Giovanni Pisani procuratore, suo fratello, contradisse, affermando che questa impresa era molto difficile da impetrare, e per conseguente di poco onore anzi di vergogna del cardinale; perchè non impetrandola, la colpa si rivolterebbe contro di lui che non avesse saputo fare l'ufficio: e perciò consigliava riverentemente, che si dovesse avvertire alla cosa, e fatta maggiore provvisione, commettergli ciò che potesse ottenere. E in questo senso fu veramente deliberata la parte.

Ai cinque di gennaio, fra le altre deliberazioni ch'io mi ricordo, furono fatte le infrascritte: che al corriero che portò la nuova della pace conclusa fossero donati ducati quaranta tra vestimenti e contanti: che dal primo di maggio millecinquecentotrenta, non si pagasse più dalli ufficiali alle Rason vecchie (1) le barche, le spese del vivere, la suppellettile e il fitto di casa (come si era fatto sino a quel giorno) alli ambasciatori dei principi cristiani che fossero mandati in questa città; e che la parte non s' intendesse presa, se non fosse posta e presa nel maggior Consiglio che fosse sospesa una legge del millequattrocentot

(1) Magistrato composto di tre ufficiali o provveditori, che avevano voce deliberativa in Pregadi, e giudicavano dei danni cagionati alla Repubblica nelle terre del suo dominio, e presiedevano al ricevimento e trattamento dei principi o loro ambasciatori a Venezia.

tantatrè per questa volta sola; la qual legge vuole, che niuno ambasciatore d'allora inanzi avesse in dono dalla Signoria altro più di quello che per la creazione sua gli era stato limitato: che ai quattro oratori designati per la congratulazione della pace e per la obbedienza al pontefice, si donassero ducati cento per uno per farsi un manto, e ducati trenta per le coperte dei forzieri: che in questo giorno si eleggesse un provveditore generale in Dalmazia, in luogo di messer Giambattista Molino che era mancato di questa vita. Nel qual giorno fu proposto eziandio di donare ai tre provveditori sopra le Camere (1) ducati cento fra loro, per la fatica di aver riscosso con diligenza più di cento mila ducati a beneficio di San Marco, per conto di dazj venduti; la qual parte, per ciò che voleva i tre quarti delle ballotte del Senato, non restò presa. Per messer Marin Giustiniano (non come Savio di Terraferma che era al presente, ma come Avogadore di Comune che era stato) fu messo che, non avendo per il processo fatto nella causa di Piero da Longhena (2) trovato cosa, per la quale si dovesse condannare, egli fosse liberato dalla colpa imputata e venisse assolto. Ma perchè messer Leonardo Emo, Savio del Consiglio sopra il Tribunale, disse con voce assai alta che questa parte non era da mettere così in fretta, fu deliberato di differirla.

Di poi fu eletto Provveditore generale dei cavalli leggieri in Dalmazia messer Giovanni Diedo, che era dei Quaranta al criminale. Ed essendo sopravvenuto nel Senato messer Francesco Veniero, Savio di Terraferma, e avendo inteso che era stata presa la parte di non pagare più le spese agli ambasciatori dei principi cristiani, colla condizione

(1) Detti anche provveditori sopra i dazii, ai quali spettava d' invigilare sui contrabbandi.

(2) Non trovo memoria di questo processo intentato a Pietro Longhena, bresciano, prode capitano agli stipendi de' Veneziani, durante la lega di Cambrai, ed ucciso in Brescia da suo figliuolo nel 1523.

che la parte fosse presa nel nostro maggiore Consiglio, propose coi suoi colleghi che fosse rivocata solamente quest'ultima condizione; parendogli mal fatto che si togliesse la libertà al Senato di potere in qualche bisogno revocare questa parte, e pagare le spese a qualcuno che le meritasse, senza chiederne licenza al maggior Consiglio; la qual cosa gli pareva troppo dura da un canto e dall' altro troppo pericolosa; perciocchè molti rispetti si devono dichiarare al Senato che, come secreti e riservati al consiglio de' Pregadi, non è lecito pubblicare e manifestare nel Consiglio maggiore; il quale non intendendoli, per niun modo rivocherebbe essa parte. Messer Leonardo Emo gli rispose: che la parte stava molto bene nel modo deliberato, per le ragioni meglio intese da quei signori che l'avevano presa; e che non conveniva alla gravità di quel Consiglio il persuaderlo a mutarsi così presto dal proposito deliberato, senza accidente di molta importanza. A messer Leonardo replicò messer Marcantonio Cornaro e disse dei casi che facilmente potrebbero avvenire, per cui la parte meriterebbe di essere revocata; e nondimeno il beneficio della Terra non ricercherebbe che i rispetti del Senato si facessero palesi al gran numero del maggiore Consiglio. Mandata la parte, fu confermata la prima deliberazione.

Sebbene è da credere che, dai cinque di gennaro sino al mese di marzo mille cinquecento trenta, venissero diverse nuove e si facessero diverse deliberazioni, nientedimeno non trovo annotato altro più di importanza, se non che in questi tempi vennero alla Repubblica tre oratori cesarei per corrispondere alli mandati da quella; e che il duca di Savoja ne avea destinato uno, la commissione del quale (secondo le lettere di messer Antonio Suriano da Bologna) dicevasi essere, per richiedere ricompensa dalla Signoria nostra delle ragioni che egli pretendeva di avere nell'isola di Cipro, delle quali ne aveva già fatto parlare alli oratori Veneziani

che ivi erano; e il pontefice, per mezzo del detto oratore, consigliava la Signoria a prendere il partito della ricompensa, avendo inteso e letto cogli occhi proprii le ragioni che il duca prefato dimostrava di avere sopra l'isola di Cipro, le quali gli erano parse di momento non picciolo. Scrive ancora il Suriano, che il duca di Ferrara era stato chiamato da Cesare a Bologna, e doveva giungere fra pochi giorni, ed era fama che senza dubbio acconcerebbe le differenze col Pontefice a modo suo. Ad incontrare li oratori cesarei che erano arrivati, si chiamarono diversi gentiluomini; e fu commesso dal Senato alli ufficiali delle Ragioni Vecchie, che spendessero ducati due cento in presenti da fare alli oratori predetti.

Alli nove di marzo 1530, messer Gasparo Contarini, ch'era ritornato a casa, fece la sua relazione in Senato (1); la quale fu molto particolare, ma non superflua in parte alcuna; e fu commendata universalmente da tutto il Senato, il quale lo udì attentissimo per lo spazio di più di due ore. Di questa non ho quasi raccolto altro, se non l'ordine ch'egli tenne; perchè io fui sì occupato che non ne potei notare cosa alcuna. E se non fosse, che in alcune lettere ch' io scrissi al magnifico mio padre (che allora si ritrovava ad un luogo nostro in villa di Fiessetto ) (2) avvisandolo delle novità della Repubblica, che si potevano dire fuori delle porte del Senato, io gli esponeva l'ordine della suddetta relazione; non potrei ora, in capo forse di ventidue anni dacchè fu fatta, narrare quello che segue. Messer Gasparo adunque

(1) Che seguita a cotesta scrittura intorno alla pace di Bologna. Essa però non ci fu conservata in tutta la sua integrità; o il Contarini, per meglio dire, non ne diede in iscritto che una piccola parte, attenendoci all'asserzione del Da Ponte; e piccolissima, stando a quella di Marino Sanuto. Vedi la nota ai cenni biografici che precedono alla relazione di Gaspero Contarini.

(2) Questa circostanza della villa di Fiesso o Fiessetto presso Rovigo, ove una figlia di Lorenzo Antonio da Ponte, moglie del nobil uomo Bollani, possiede tuttavia un bel luogo dominicale con campi ec. mutò la mia conghiettura in certezza, che la presente narrazione o diario sia opera originale del doge Niccolò da Ponte.

cominciò a dire d' allora che si partì da Venezia, e trascorse brevemente i successi dei negozii operati da lui sino alla sua venuta in Bologna col pontefice: dove replicò per li capi tutto il seguito della pace da lui trattata; descrisse lo stato del pontefice, cominciando dalla persona, dalle affezioni e dalla intelligenza che aveva coll' illustrissima Signoria e con tutti gli altri principi cristiani, discorrendoli uno per uno e confrontando i loro animi con quello del pontefice. Narrò quelli che possono appresso Sua Santità e quelli che la consigliano; parlò della intenzione sua verso i Fiorentini, e delle ragioni che lo movevano a far loro guerra, sebbene fosse fiorentino e della famiglia dei Medici. Disse, che l'aveva persuaso a non lasciare in Italia quelle genti armate, partito che fosse Cesare, per non disturbare la pace che Iddio gli aveva concessa, dopo tanta guerra; e che Sua Santità aveva assentito a queste ragioni. Discese alla narrazione delle cose di Ferrara: che, andando il duca a Bologna, acconcierebbe senza dubbio a suo modo le differenze; che, se il pontefice pretende ragioni nella città di Modena e Reggio, anche il duca di Ferrara pretendeva di averne assai, oltrechè ne era in possesso: che la entrata del pontefice non era gran fatto più di quattrocentomila ducati ai buoni tempi e ordinariamente; sebbene per via straordinaria ne potesse cavare di più, come faceva al presente per la impresa contro i Fiorentini. Speditosi dalla narrazione delle cose del pontefice, seguì a narrare dell'imperatore, nel modo e nella forma serbata col pontefice; parlando della persona sua, dell' animo, dell' età, delle affezioni, delle intelligenze, degli stati così d'Italia come di fuori; dicendo anche del duca di Milano nell' ordine tenuto cogli altri. Narrò infine lo stato dei cardinali, parlando prima dei vescovi e preti e venendo ai diaconi. Affermò che nessuno era infamato da vizio notabile; e che, sebbene fossero dissimili dai prelati antichi, pure la maggior parte di essi meritavano commendazione

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