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Serenissimo principe ed eccellentissimi padri. Io stimo certo, che saria ragionevolmente tenuto dalle SS. VV. Ill. e sapientissime cosa molto inetta, quando io volessi in questa mia narrazione ovvero relazione della ambasceria esercitata per nome di questa Repubblica serenissima, prima appresso il pontefice, di poi appresso al medesimo e alla Cesarea Maestà, replicare particolarmente tutte le trattazioni e negozii che mi sono passati per le mani; avendoli tutti minutissimamente significati per mie lettere alle EE. VV, le quali li hanno tutti in memoria; e tedio saria per loro il ridirli, massime, perchè i negozii, i quali più importano, cioè, la trattazione e la conclusione della pace con Cesare, sono così recenti, che meglio, ovvero non meno, sono fissi nella mente di questo Senato, che di me medesimo. Pertanto, lasciando tutta questa parte di trattazione, mi rivolgerò a narrare tutte quelle altre, che (essendo degne di essere intese dalle SS. VV. EE.) non si hanno potuto nè si possono così spiegare con lettere, come adesso si farà colla viva voce. Però, narrerò alle SS. VV. principalmente tutto quello della persona, natura, e volontà del pontefice e di quelli che gli sono appresso, che è buono che da quelle s' intenda; ed il simile poi farò della Cesarea Maestà e de' suoi. Dirò anche alcune parole dell' illustrissimo signor duca di Milano, col quale a Bologna sono stato circa a tre mesi;

cioè quello che in così poco tempo io ne abbia potuto comprendere. Ma avanti ch'io venga a queste parti principalmente proposte, per non pretermettere in tutto come siano succedute le cose nel tempo di questa mia legazione, farò una brevissima ricapitolazione di tutto il mio viaggio.

Partii adunque dalla presenza di Vostra Serenità alli 18 di maggio l'anno 1528; a tempo che il pontefice, essendosi alcuni mesi avanti partito di Castel Sant' Angelo, dopo l'assedio e la capitolazione fatta coll' esercito cesareo, si era ridotto ad Orvieto, dove ancora si ritrovava quando io mi partii da Venezia. Giunto a Pesaro, fui onorevolmente raccolto per nome dell' illustrissimo duca d'Urbino; e similmente dipoi in Fossombrone, dove ritrovandosi la signora duchessa, feci con essa il dovuto officio di visitarla. Partitomi di là, intesi per istrada, che Sua Santità si era partita da Orvieto ed andava a Viterbo; laonde io rivoltai il cammino, ed entrai due giorni dopo la Santità Sua. Ed il medesimo giorno vi entrò Giovanni Antonio Musettola (1), mandato dal principe di Oranges, il quale ha poi ottenuto il luogo di oratore cesareo, che ancora tiene. Ritrovai in corte, oltre l'oratore ordinario del re cristianissimo, il visconte di Torena, prudente e gentil signore.

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Andai all'udienza di Sua Santità; alla quale avendo fatto intendere, con quel più destro modo che mi somministrò il mio debole ingegno, quanto avevo in commissione da vostra Celsitudine, e massime circa Ravenna e Cervia, Sua Santità molto si risenti: ed il giorno dietro, ridotti insieme tutti gli oratori della lega appresso di essa, ed alcuni cardinali e il decano del sacro Collegio, cioè il reverendissimo Farnese, che fu poi Paolo III (2); molto si dolse di

(1) Gio. Antonio Muscettola, napoletano, uomo espertissimo negli affari di stato, era allora ministro di Carlo V presso Clemente VII.

(2) Questo inciso dimostra, che la presente Relazione fu scritta dal Contarini quattro e più anni dopo che fu ritornato dall'ambascieria; probabil

Vostra Serenità; e di poi deliberò di mandare a Vostra Serenità il visconte di Torena. Lascio, d'industria, tutto il particolare, per non incorrere nelli inconvenienti, i quali nel principio del mio parlare dissi di volere schifare: le SS. VV. EE. sono memori del tutto. Rimase Sua Santità fermissima nel suo proposito di avere Ravenna e Cervia; e non potendole riavere, non si risolse mai di accostarsi alla lega. Aggiungendosi poi le difficoltà ch' ella aveva col duca di Ferrara e colla Repubblica di Fiorenza, ed essendo stata così grandemente offesa dalli cesarei, non aveva volto l' animo all' amicizia loro. Onde, rimanendo Sua Santità così irresoluta, non cessava l' oratore Musettola ( uomo ingegnoso e di valore assai, ma di lingua e di audacia molto maggiore) di sollecitare la Santità Sua all'amicizia con Cesare; e massime, che la ritornasse a Roma colla corte; parendo a Cesare, essere di grande ignominia sua, che il pontefice da lui fosse espulso da Roma, e se ne stesse a Viterbo, quasi come esule dalla Chiesa Romana. Il pontefice non si sapeva risolvere, ma aspettava il successo dell'esercito dei Francesi, il quale teneva assediato Napoli, ed aveva acquistato già quasi tutto il regno.

Ora, essendo Sua Beatitudine in questa irresoluzione, venne finalmente l' inaspettata nuova della rotta di essi Francesi sotto Napoli, e dello esterminio di tutto quello esercito (1). Per la qual nuova Sua Santità cominciò a dare orecchio alli cesarei circa la ritornata sua a Roma; la quale finalmente si conchiuse con promissione, che presto gli fossero resti

mente per ubbidire al decreto del Senato veneto, che richiamava in vigore l'antica legge di deporre nella Cancelleria segreta le relazioni in iscritto.

(1) Lautrec, che comandava l'esercito dei Francesi e dei collegati nel reame di Napoli, era morto di peste, durante l'assedio di questa città. Il Marchese di Saluzzo, succedutogli nel comando, levò l'assedio ai 29 di Agosto, e giunto il giorno dopo in Aversa, fu sorpreso e sbaragliato dal principe Filiberto d'Oranges. In quella battaglia caddero col Saluzzo molti valorosissimi capitani; e le celebri bande nere, guidate da Ugo de' Pepoli. vennero intieramente disfatte.

tuite Ostia e Civitavecchia, che erano in mano dei cesarei, per li patti fatti in Castello col pontefice: e così alli 6 di ottobre 1528 giungemmo a Roma.

Aveva però Sua Santità, avanti che partisse di Viterbo, fatto segretamente cardinale il generale di san Francesco, spagnuolo (1); il quale, molti mesi avanti aveva negoziato l'accordo del pontefice con Cesare, e lo aveva mandato segretamente in Ispagna.

Giunti a Roma, si stette in grande aspettazione della ritornata di questo cardinale di Spagna; il quale finalmente ritornò, ma non riportò altro che buone parole. E tutto questo maneggio fu rimesso al principe d' Oranges (2), vicerè di Napoli e capitano generale cesareo in Italia; e a lui si conferì da Roma il prefato cardinale; insieme col quale il pontefice mandò l' arcivescovo di Capua (3).

Subito di poi il papa si risentì, ed infermossi d'una egritudine lunghissima e pericolosissima; la quale tenne Sua Beatitudine molti e molti mesi, e lo condusse fino al punto della morte: anzi fu divulgato da molti ch' egli era morto. Nelli quali mesi, in verità, gravissimo Senato, tutti si ritrovarono in grandissimo pericolo e travaglio; essendo in Roma carestia incredibile: chè il rubbio di frumento (cioè due stara e mezzo, o poco più, delle veneziane) si vendeva venti ducati d'oro e più; nè si trovava da comperare ogni altra cosa pertinente al vivere. Ostia e Civitavecchia, come ho detto, erano in mano dei cesarei; l'esercito, discolo ed uso a rubare e saccheggiare, era intorno a Napoli; e molte altre cose

(1) Francesco Quignonez, figliuolo del duca di Luna, molto conosciuto anche prima che fosse cardinale, per la sua esperienza nel trattare negozii politici, e per la bontà dei costumi.

(2) Filiberto di Chalons principe d'Oranges, fuggito di Francia per avere partecipato alla cospirazione del contestabile di Borbone, e divenuto poscia capitano generale e vicerè di Napoli al servizio di Carlo V, moriva ai tre di Agosto 1530 a Gavinana, durante l'assedio della città di Firenze, che, dopo una generosa resistenza di dieci mesi, ai 12 d'Agosto apriva le porte all'esercito imperiale e papale.

(3) Niccolò di Schomberg.

perturbavano grandemente gli animi d'ognuno. Pur finalmente Sua Santità migliorò; e con una certa somma di danari che si sborsarono, si riebbe prima Civitavecchia, e poi Ostia.

E a questo modo, a poco a poco, il pontefice si andava accostando più a Cesare: e per ultimo, nel principio della state ovvero nel fine della primavera, mandò in Ispagna, nunzio a Cesare, il vescovo di Vasona, vicentino, suo maestro di casa (1); il quale, di giugno, a Barcellona concluse la pace e confederazione tra Cesare ed il pontefice: i capitoli della quale, raccolti in memoria, io scrissi a Venezia subito allora. Imperocchè, sebbene segretamente mi fosse mostrato la copia di essi, ad literam, come la stava, non potetti però averne esempio alcuno; sicchè mi valsi della memoria. Pochi giorni dopo, venne di Francia la trattazione e poi la conclusione della pace fatta tra Cesare e il Re cristianissimo in Cambrai (2); per la quale fu esclusa questa illustrissima Repubblica, e tutti gli altri confederati.

Cesare, in questo tempo, si pose sull'armata sua; e sopra le galere di Giovanni Andrea Doria imbarcò la persona sua a Barcellona, e venne in Italia. Giunse a Genova li 12 di agosto, circa il tempo nel quale il campo del Turco giunse in Ungheria ed in Austria, e veniva sotto Vienna. La Santità del pontefice allora, così ricercata da Cesare, creò cardinale il gran cancelliere di Sua Maestà, Domenico Mercurino Gattinara; e si ragionò di andare a Bologna, per vedersi con Cesare; il che finalmente si risolse e si concluse.

(1) Gerolamo Schio, fatto cardinale più tardi.

(2) Questa pace tra Carlo V e Francesco I, trattata a Cambrai da due donne (Madama Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e Margherita d'Austria zia di Carlo V) fu fatale a molti principi italiani e specialmente alla Repubblica di Firenze, che, quantunque collegata con esso, Francesco abbandonò al suo destino. La pace fu conchiusa e fermata ai 5 d'Agosto 1529.

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