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Sua Santità tutti questi; ma ha deliberatamente lasciato la Corte, ed attende al suo vescovato. Costui ha sempre tenuto la parte francese, ed è affezionato a Vostra Serenità; ma a me pare sopra tutto ottimo religioso e vero vescovo; avendo veduto che, nè la persuasione dei cardinali di Vostra Serenità (la quale io feci per di lei nome), nè il papa, lo hanno potuto tenere in Corte, lontano dal suo vescovato.

L'entrata ordinaria del papa è molto poca; essendo stati obbligati da papa Leone quasi tutti i dazii e l'entrate e gli uffizii che aveva nuovamente fabricati e venduti. Ma le entrate estraordinarie sono varie. Ora ha posto una gran quantità di sale nel paese della Chiesa a prezzo grandissimo; dal quale, si fa stima che sia per cavare una grossa entrata. Vi sono poi le imposizioni che importano assai, o bene o male che si faccia; ma sono incerte, e perciò non si può dire particolarmente e con verità cosa alcuna delle entrate del pontefice. E ciò basti, per quanto appartiene a questa parte.

Verrò ora alla Maestà Cesarea; intorno alla quale io sarò breve, avendo altre volte riferito ampiamente, quando ritornai dalla legazione di cinque anni continui presso di lei. (1). Dirò tuttavia in che mi pare che sia mutata.

L'età di Cesare è di anni 30, finiti alli 24 di febbraro preterito. Di corpo, se non gagliardissimo, è però sano e benissimo disposto; nè ha altra parte che lo disconci, che il mento. È prudente, riservato, ed attende con ogni diligenza alle sue faccende: talmentechè scrive ora di sua mano alla moglie in Ispagna e al fratello in Germania lettere lunghissime. Il papa mi ha detto, che, negoziando con lui, portava un memoriale notato di sua mano di tutte le cose che aveva

(1) La relazione di questa lunga ambasceria del Contarini presso a Carlo V, fu stampata e annotata da Eugenio Alberi. Vedi le Relazioni degli Amb. Veneti, Serie I. vol. II. p. 9-75.

da negoziare, per non lasciarne qualcuna indietro. Non è dedito molto a piacere alcuno; va a caccia qualche volta, massime dei cinghiali: benchè a Bologna non sia uscito di casa che rare volte, e per andare a messa in qualche chiesa. È religioso più che mai; parla molto più e divisa di quello che faceva in Ispagna. Io qualche volta ho negoziato due ore continue con Sua Maestà; il che non facevo in Ispagna. Non è più così fermo nelle opinioni sue, come già la natura lo inclinava. Un dì, liberamente ragionando meco, Sua Maestà mi ha detto, essere di natura fermo nelle opinioni sue: e volendo io scusare, dissi: « Sire, l' esser fermo nelle opinioni buone è costanza, non ostinazione »; ed egli mi rispose subito: « e qualche volta son fermo nelle cattive ». Onde a me pare che, colla prudenza e buona intenzione, Sua Maestà abbia smorzato il difetto della naturale inclinazione. Quanto alla intenzione sua, a me pare buonissima, attendente massime alla conservazione della pace.

Verso questa Repubblica, ancorchè, per le cose passate, non si possa credere che abbia buona intenzione, pure a me pare che Sua Maestà abbia accettato le giustificazioni fatte, e compreso il giusto e ragionevole timore di Vostra Serenità. Ed io gliene ho parlato liberamente, ed essa è stata molto ben capace, a giudizio mio, delle ragioni da me adotte.

Verso il re di Francia ha ed avrà sempre somma diffidenza, tenendo sempre certissimo che, ad ogni occasione che si porgesse al suddetto re, esso non mancheria di fargli danno e vergogna.

Anche al re d'Inghilterra porta Sua Maestà Cesarea mal animo; pretendendo il detto re di fare il divorzio colla sua amida (zia); il che egli si reputa a disonore assai.

Al re Ferdinando, suo fratello, porta grandissimo amore;

e fra di loro è grandissima congiunzione.

Del re Giovanni d'Ungheria non è da parlare; percioc

chè a ciascuno è noto, che Cesare non gli può essere amico; se non per altro, almeno per rispetto al fratello. (1)

Al pontefice (ora che ha fatto questo parentado col duca Alessandro suo nepote, e che rimedia alle ingiurie passate col dargli l'esercito suo ) fa grandissimo onore e somma dimostrazione di riverenza; e così è credibile che sia per fare nel futuro.

Contro il duca di Milano aveva per lo avanti pessimo volere; perchè molti dei suoi lo avevano posto grandemente in odio di Sua Maestà. Ora, per la dimostrazione che ha fatto il duca di confidarsi in lei e di rimettersi tutto nelle sue mani, mi pare che si sia fatta ben disposta verso di lui. Similmente l' ha molto bene disposto la confidenza che ha dimostrata il duca di Ferrara, il quale gli dette in mano le città di Modena e Reggio, e quasi sè medesimo.

Al marchese di Mantova naturalmente è Sua Maestà affezionata.

Del duca d'Urbino fa gran conto, tenendolo molto perito nell' arte militare, come veramente è; nè credo che gli abbia mal animo, ma buono. E questo è quanto alla persona di Cesare.

I consiglieri suoi sono: il Gran Cancelliere, (2) ora cardinale, inimico per natura dei Francesi. È buono italiano; nel negoziare è alquanto duro.

Ci è poi il commendatore Covos, spagnuolo, gentil

(1) Ferdinando d'Austria, fratello di Carlo V, eletto l'anno seguente (1531) re dei Romani, pretendeva alla corona d'Ungheria, per avere sposata la sorella dell'ultimo re Lodovico, morto nel 1526 nella battaglia di Mohacz. Intanto, coll'assistenza dei principali baroni del regno, riusciva a Giovanni Zapolya di farsi re d'Ungheria; nè potendo da sè solo resistere alle armi di Ferdinando e a quelle dei Turchi, si pose sotto la protezione di Solimano, e si mantenne in istato sino alla morte, seguita nel 1540.

(2) Mercurio di Gattinara. Di questo accorto ministro abbiamo toccato altrove. Dei seguenti consiglieri di Carlo V ci asterremo dal favellare, trovandosi copiose notizie di ciascuno nel testo e nelle note della citata relazione del Contarini, e in quella del Tiepolo e del Navagero, contenute nello stesso volume II, Serie I delle Relaz. degli Amb. Veneti.

persona; il quale è fatto grande, dopo la partita mia di corte. Credo che anche costui ami la pace d' Italia, e che non sia mal disposto verso questa serenissima Repubblica; sebbene non le abbia affezione particolare, come non l'ha alcuno degli altri consiglieri; non essendo stipendiati da lei, come sono dagli altri principi.

Il terzo consigliere è monsignor di Granvella. Costui è fiammingo e dottore legista; nè io l'ho conosciuto prima, perchè a mio tempo fu in Inghilterra ed in Francia. Egli ha fama di essere uomo di buona mente.

Il conte di Nassau e monsignor di Bervien sono fiamminghi, ambedue amatissimi da Cesare; ma però non s'impacciano molto nelli negozii.

L'arcivescovo di Bari è spagnuolo, nudrito lungo tempo nella corte di Roma, costui è prudente, gentile e buono. Ci è poi il vescovo d' Osma, suo confessore; il quale ha lo spirito molto alto, e dimostra di essere ben disposto verso la Serenità Vostra e verso le cose di questo dominio.

Ci è di più monsignor di Prato, fiammingo, uomo da bene e molto versato nelle lettere latine; ed ha fama universale di andare pel buon cammino.

Ci è anche Don Garzia di Padiglia, commendatore maggiore di Calatrava e dottore in legge, che ha un cervello un poco di sua voglia; ma è però un buon gentiluomo.

Questi sono quelli che entrano nel consiglio della Maestà Cesarea; ed ho giudicato di loro quel tanto che sia degno della scienza di Vostra Celsitudine e di voi altri illustrissimi e sapientissimi signori. Onde, già pervenuto alla fine delle parti proposte in principio di questa mia relazione, mi resta solamente a dire alcune poche parole dell'illustrissimo signor duca di Milano.

A me pare, per quella poca pratica che io ho avuta con Sua Eccellenza, che il duca sia uomo di buono ingegno

e molto pronto e benissimo disposto verso questo eccellentissimo Senato; il quale egli giudica essere, dopo il signore Iddio, il suo unico sostentamento; e da esso dice vivamente di riconoscere la recuperazione del suo ducato. L'animo suo verso Cesare, sebbene da prima non lo era, ora credo che sia buono; sì perchè ha riavuto lo stato, come perchè è mal disposto verso i Francesi, ed inclina a questa parte imperiale per natura. Verso il marchese di Mantova non ha buona inclinazione, per il tentativo che ha fatto di avere da Cesare lo stato suo (1); siccome allora io ne scrissi a Vostra Serenità. Cogli altri principi d'Italia non so ch'egli sia intimo. Riguardo a quelli che sono fuori d'Italia, Vostra Sublimità può giudicare meglio di me. Ai Francesi non può il duca essere amico, nè aver punto buon cuore, pretendendo il re Cristianissimo ragioni sopra quel ducato, come fa cogli altri. Ma sopra di ciò io non posso dare a Vostra Serenità più particolare informazione, essendo stato poco tempo con Sua Eccellenza. Appresso la quale è il primo d'amore il conte Massimiliano Stampa, poi Angelo Riccio, e messer Domenico Sauli: il Taberna è pure in ottima estimazione, e così il Ghilino suo segretario, uomo dabbene (2). Il resto dell' informazione del predetto signor duca, io lo lascierò al chiarissimo oratore, messer Gabriele

1

(1) Vedi il Maneggio della pace di Bologna, pag. 189 di questo volume.

(2) Il Conte Massimiliano Stampa era allora castellano del castello di Milano. Morto il duca Francesco Sforza, andò a Carlo V per prestargli l'ubbidienza a nome della città; e Carlo lo riconfermò nell'ufficio e gli donò il marchesato di Soncino.

Francesco Taverna, conte di Landriano, gran cancelliere del duca Francesco Sforza, fu anch'egli confermato nella sua dignità dall' Imperatore, e mori a Milano nel 1560.

Camillo, figlio di Giangiacomo Ghilini, fu adoperato dallo Sforza in varie importanti negoziazioni, e morì in Sicilia nel 1535, siccome credesi, di veleno, fattogli propinare da Antonio di Leyva.

Altri valenti uomini ebbe lo Sforza presso di sè in qualità di segretarii; e fra questi sono più conosciuti Galeazzo Capella, lo storico, e Stefano Robbio. D'Angelo Riccio e del Sauli non trovo particolare memoria.

Vol. VII.

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