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di Luglio 1499 fosse presa parte in Maggior Consiglio, ch'egli potesse ssere eletto e provato in ogni carica dentro e fuori della città, come se fosse presente. Nell'anno 1501, del mese di Giugno, andò in Francia con Girolamo Donati, per congratularsi col Re Lodovico dell'acquisto del Regno di Napoli; e in questo stesso anno teneva il reggimento di Padova. Nel 1502 fu per la seconda volta del magistrato Sopra gli Atti e Savio del Consiglio; nella qual carica, nota il Priuli, fu trentatrè volte. Per tanti suoi meriti, ai 4 di Agosto del 1503 fu decorato della dignità di Procuratore di San Marco de Ultra in luogo di Andrea Gabrieli. Nello stesso anno ebbe con altri una ambasceria straordinaria a Giulio II, per complimentarlo nella sua promozione al trono pontificale. Ai 24 di Aprile 1507 venne eletto con Paolo Pisani ambasciatore straordinario a Lodovico XII, nel suo ritorno in Italia per recuperar Genova, che gli si era ribellata; e lo trovarono in Milano, e con esso andarono all'impresa di Genova. Accompagnaronlo poscia a Savona, dove intervennero al suo abboccamento con Ferdinando di Aragona. Nel 1508, essendo Savio del Consiglio, e trattandosi se si dovessero o no restituire Rimini e Faenza e altre terre della Romagna al Pontefice, il Trevisano sostenne con grande calore la negativa. Se stiamo al Guicciardini, il Trevisano fece in quell'incontro una orazione, piena di concetti oltraggianti alla Maestà dei Romani Pontefici; ma nulla dicendo di cotale discorso nè il Bembo, nè il Mocenigo, nè Pietro Giustiniano, nè altri, è da credersi che sia dal Guicciardini attribuito al Trevisano senza alcun fondamento. Si sa anzi che i Padri nessuna risposta diedero alle domande che il Papa per altrui mezzo faceva alla Repubblica. Nell'anno 1509, a dì 26 di Giugno, con Leonardo Mocenigo, Luigi Malipiero, Paolo Cappello, Paolo Pisani e Girolamo Donato, fu eletto nuovamente oratore a Giulio II, per rimuoverlo dal suo mal animo verso la Repubblica, e procurare l'assoluzione dall' interdetto. E nel vegnente 1510 fu ordinato, che il Trevisano e Leonardo Mocenigo andassero senza indugio ancora a Giulio II, per la sua venuta a Bologna. Ritornato da questa legazione, tenne il Trevisano il dì 1 di Aprile 1510 la relazione di metodo nel Senato, della quale il Sanuto ci conservò il sommario. Nel 1511 fu stabilito di spedire un ambasciatore al Soldano d'Egitto, che difendesse le ragioni della veneta mercatura non dirittamente amministrata dagli Alessandrini; e fu scelto Domenico Trevisano in luogo di Pietro Balbi, che aveva rifiutata tale legazione. Il Trevisano fu dal Soldano ricevuto con ogni dimostrazione di onore, e facilmente ottenne la confermazione di buona amicizia; e nel 1512 tornò in patria con molti elogi. Nel 1513 a dì 28 di Giugno, con altri nove, fu eletto ambasciatore a Leone X per lo suo avvenimento al trono. Ma sebbene si sappia dal Sanuto, che il Papa abbia gradita la notizia di tale elezione, pure non apparisce che siano partiti; e forse la loro partenza fu sospesa perchè si scoperse l'animo di quel Pontefice avverso alla Repubblica, siccome asserisce il Doglioni (Lib. XII. p. 610.) In quest'anno 1513 con Pietro Balbi fu mandato a Padova per dare ajuto e consiglio al Capitan generale Bartolomeo Alviano. Era Savio del Consiglio, quando nel 1514 fu con Leonardo Mocenigo, suo collega, spedito Revisore e Provveditore in Campo a rivedere gli alloggiamenti

e intendere l'opinione dei Capitani, ed esaminare la qualità del sito, dove voleva trattenersi l'Alviano per essere più sicuro dai nemici; e nel 1515 con Giorgio Cornaro fu di nuovo inviato al campo per accomodare le differenze che insorte erano tra l'Alviano e Renzo da Ceri, non volendo questi sottostare al primo. Quantunque di grande autorità e d'eloquenza fossero i due Senatori, non poterono nondimeno acquietare quegli animi da invidia e da sdegno perturbati, e ritornarono in patria senza alcun frutto. In quest'anno 1515, ai 31 di Agosto, con Andrea Gritti, Antonio Grimani e Giorgio Cornaro, andò legato straordinario a Francesco I re di Francia in Milano, per rallegrarsi della vittoria di Marignano, e per ricercare gli ajuti coi quali ricuperare le terre della Repubblica in esecuzione della Lega. Il Trevisano, come il più giovane, fece il discorso, che in istile oratorio è riportato dal Paruta, e con assai minore eleganza e maggior brevità anche dal Mocenigo (Guerra di Cambrai p. 126, ediz. ital. 1544).

Morto nel 1521 il Doge Leonardo Loredano, concorse al principato anche Domenico Trevisano; e ben ne sarebbe stato degno, se la sorte non avesse favorito Antonio Grimani. Nel 1522 fu eletto generalissimo del mare, e con l'armata veneziana spedito verso Capo Malio, per osservare i progressi della turchesca, che apparecchiavasi ad assalir Rodi. Le istruzioni date in quest'incontro al Trevisano leggonsi nel Paruta (I. 353–354).

Anche nel 1523, per la morte del Grimani, concorse al principato; ma venne proclamato Doge Andrea Gritti. Savio ancora del Consiglio nel 1524, persuadeva in Senato la lega con Francesco I contro Carlo V; e i sentimenti del Trevisano esposti in tale quistione ci furono conservati dallo storico Paruta in un apposito discorso; e fu gloria per l'oratore di vincere l'opinione, poichè nel principio del 1525. fu stabilita e conchiusa la pace e la lega coi Francesi. Ma allorquando nel 1528 agitossi in Senato, se si dovessero restituire a Clemente VII Ravenna e Cervia, parlando il Trevisano a favore della restituzione, vinse l'opinione contraria di Luigi Mocenigo; ed ambedue le orazioni furono registrate dal Paruta (I. 487 ec.)

Finalmente, ai 28 di Dicembre 1335, Domenico Trevisano passò all'altra vita più che ottuagenario, come si vede dall' epigrafe sul suo monumento in San Francesco della Vigna. Il ritratto di lui, fatto dal Tiziano, vedevasi nella Sala del Maggior Consiglio innanzi l'incendio. Ma se grande uomo di stato era il Trévisano, non era meno riputatissimo letterato. Apostolo Zeno, ove parla di questa illustre famiglia (Lettere. vol. I. p. 197, 198. ediz. 1785) notava la testimonianza di Battista Egnazio nel libro' degli Esempli memorabili, che il Trevisano occupava nello studio tutte le ore che aveva libere dai pubblici affari. Dalle lettere del Bembo appare ch'era suo amico. Da quelle di Pietro Delfino e di Bernardino Gadolo Camaldolesi si ha testimonio della insigne letteratura del Trevisano; e Filippo Callimaco Esperiente lo ripone fra i più chiari ed eruditi personaggi dell'età sua. Lo Zeno attesta eziandio di avere vedute moltissime lettere originali indirizzate al nostro Domenico da gran principi e letterati. Esse erano nella famosa biblioteca di Bernardo Trevisano.

Disse, che, giunt a Roma, il papa non li volle udire, per stare sulla riputaione; e poi dette loro quelli reverendissimi cardinali per uditori, come scrissero. E dimandò il papa quattro cose: il pssesso dei benefizii; che le cause andassero a Roma; chele decime al clero non si mettessero; e per le entrate riscose dalle terre della Chiesa, si armassero contro gli infede certe galere: e tutto si trattava a casa del reverendissiro di Napoli (1). Concesse queste petizioni dalla Signoria nostra, trovò due altre proposizioni: del Vicedomino di Errara, che fosse levato, e del Golfo; le quali due cose erno molto disoneste, ed accerta l'oratore, che lui e il Daato, disputarono assai de jure davanti li auditori. Ora il paa, non potendo far di meno, fu contento; onde, avuto til ordine, secretissimamente trattò col signor Franco degli Uberti, familiare del papa; perchè il papa prima aveva detto di far lega, se la Signoria lo compiaceva. E allor finalmente gli parve di levar la scomunica; ma prima fu bisogno di aver nuova forma de validitate mandati. (omissis aliis). L'assoluzione fu fatta con grande onore di questo stato, ed in pubblico; e alcuni dubitavano che li volesse sulle banchette, e colle cinture al collo; ma non ne fece nulla; anzi vestiti di scarlatto, baciarono il papa tre volte; e fu letto l' istrumento tanto piano che niuno l'intese.

(1) Cardinale Oliviero Caraffa.

Poi furono accompagnati in chiesala quattro cardinali, tra i quali i penitenzieri; e poi accomagnati a casa dalla famiglia del papa e dei cardinali, cc giubilo di tutta Roma e suoni e canti, che fu un grandismo trionfo. E addì 25, il papa mandò a chiamare tutti cine essi oratori, e i due nostri cardinali, i quali si sono ponti benissimo. E giunti, disse: « magnifici domini oratores non vi paia strano, se siamo stati tanto a levar l' interdett: quella Signoria n'è stata causa; dovea compiacere alle ptizioni nostre; e ci doliamo delle censure alle quali ci fu orza di sottometterla; e le ricordiamo che stia bene coi patefici, che si suol dire: pietra santa ti caccia in casa. Dpo questo atto avrete assai beni; e da noi non mancherà oni beneficio. Vogliamo andare a Civitavecchia, e lì staremoqualche dì; e per non dar sospetto, il Donato verrà con noi. Onde risposero, assicurando Sua Santità della filiale oservanza di questo Stato. E perchè questo colloquio è stato quasi cambiato, e lo stare in Roma era quasi infruttuoso, gli altri quattro oratori determinarono di partirsi per Veneza; dicendo, che Messer Girolamo Donato tratterà meglio solo: di questo venir via, il Trevisano si scusò assai. E andati adì 28 a torre licenza, il papa disse loro: saluterete quel primipe e la Illustrissima Signoria in nome nostro; e comunicè loro alcuni avvisi, come scrissero. E vennero in Ancona; e lì stettero alcuni dì, sinchè venne la galea Polana a levarli: e se montavano in galea, actum erat di loro, per la fortuna che si levò; e cessata, giunsero salvi in questa Terra.

Quanto a quello che si può sperare dal papa, tiene che il papa non farà lega colla Signoria, se il re di Francia non viene in Italia; il quale venendo, certo vien contro il papa; e di questo ha gran paura: ma ben aiuterà questa Signoria con brevi e parole; e desidera molto che essa abbia Verona e che siegua l' accordo con Massimiliano; e mandò alla Dieta il vescovo de' Grassi a questo effetto. E il papa comunicò ad

essi oratori, che il signoAlberto da Carpi (1), oratore di Francia a Roma, gli dis che il re suo verria in Italia ad aiutare l'Imperatore peraver le sue terre, giusta i capitoli della lega di Cambre che il papa gli rispose: bisogna che il re venga. Il ja vorria che la Signoria si accordasse con Francia, faclolo sicuro che non voglia andar più oltre di Peschiera ecnoltre, quando quel Nunzio del re d'Ungheria (ma più sto della Dieta) venne a Roma a dimandar aiuto per to a noi la Dalmazia, il papa gli disse: non vogliamo darvlcun aiuto contro cristiani, ma bensì contro infedeli; e via adoperare quel re per capitano dalle parti di terra (2).

Disse come stava il tefice coi principi cristiani. La Francia gli vuole malissi per causa di un benefizio di cinquecento ducati d'entr, dato dal papa a uno suo (3). E in concistoro il cardinan Malò parlò lungamente contro il papa; onde il re sose le entrate di tutti i prelati ch'erano a Roma; perchèɔapa non volle dare il cappello al cardinal d'Albi, nipotel Roano: e si convenne levare questa sospensione; e il cnal di Lucemburgo promise di dar lui circa ducati venti che mancavano, in caso che il re non restituisse ovvervasse. Tuttavia pare che ab

(1) Alberto Pio, conte di Carjersona di grande spirito e destrezza; al quale, secondo il Guicciardini, no date in quella occasione dal re di Francia << amplissime commissionin solo di offerire in tutti i casi al pontefice le forze ed autorità del ma di comunicargli sinceramente tutte le cose che si trattavano e le rich fattegli dal re dei Ronani, e di ril'aiumettere finalmente in arbitrio suo assare o non passare ʼn Italia, tare più lentamente o più prontam le cos di Cesare. Gli fu ancora commesso di dissuadere l'assoluzidei Verziani; ma il pontefice l'aveva, alla sua venuta, già deliberata e pessa.

(2) I principi di Germania radu a rlamento in Augusta parevano propensi alla pace coi Veneziani. Il dedomani verò era d'avviso contrario; e seppe, di conserva col re di Fçiaccitare a re d'Ungheria a togliere e l'aveva comperata da Ladislao la Dalmazia alla Repubblica di Vem, per centomila ducati, durante la groi Turchi, e trentamila da pagarglisi ogni anno.

(3) Il re di Francia fondavasi se diritto concessogli prima dallo stesso papa Giulio, di conferire ad o suo i vescovati di qua dai monti; ara il primo vescovato vacante. e il papa ora aveva dato a una sua"

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