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patissima, io non parlerò degli altri cardinali, nè delle entrate loro nè delle altre loro qualità; essendo certissimo ch' ella ne è informata per altre vie dai chiarissimi suoi oratori ritornati da Roma. Questo non voglio tacere, che io non potrei parlare altro che onoratissimamente di tutte le Signorie loro Reverendissime; come di Signori che vivono da costumati e onorati gentiluomini; chè non li voglio già appellar Santi. E questo aggiungo, ch'io li ho trovati tutti molto inclinati a Vostra Serenità; eccettuati però Trani e Cesis (1), li quali trovo molto mal contenti per causa di questi benedetti possessi. Ed invero l'uno e l'altro sono sempre stati sinora inclinatissimi a Vostra Celsitudine, per la fazion guelfa che l'uno e l'altro mantengono; ed ho sentito dire, che il magnifico Angelo de'Cesis, padre del cardinale, al tempo degli affanni di questo illustrissimo Dominio, di estremo cordoglio piangeva, nè poteva alleviare il dolore ch' egli portava per la jattura delle cose nostre. Il medesimo animo ha sempre avuta tutta la famiglia del cardinal di Trani; e il signor Giovanni Giordano fu sempre inclinatissimo a quest' inclita Repubblica per la casa Orsina. E certo, parlando colla debita riverenza, dirò che Vostra Celsitudine dovria concedere questi possessi; e tanto più che ogni disturbo ed agitazione della mente del papa col nostro Stato, si vide nascer da questo, che Sua Santità ritiene che le sia fatto un espresso torto. Vede Vostra Serenità, che l'imperatore non solo concede possessi, ma conferisce pensione e larghi beneficii ai cardinali che non hanno dipendenza da lui, come ha fatto ultimamente ai Reverendissimi Cesarino, Valle, Napoli, Cesis e Santiquattro, e persino a quel di Madera (2) e al Sanseverino e ad altri; e la

(1) Paolo Emilio de' Cesi e Gian Domenico de' Cupis, che Clemente VII aveva nominati a benefizii ecclesiastici nello stato veneto; dei quali però la Repubblica negava allora il possesso.

(2) Probabilmente il cardinale Matteo Palmieri, arcivescovo di Acerenza e Matera.

Vol. VII.

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Serenità vostra non vuole neppur concedere quello che spetta alle Signorie loro; che sono questi possessi del vescovato di Adria al cardinal di Trani, il quale ebbe il detto vescovato, senza che alcun nostro nobile od altri fosse ballottato in Senato; e similmente l' Abazia di Cerreto, che per la maggior parte, e specialmente la chiesa di essa Abazia, è sotto il dominio milanese. Onde ripeto colla debita riverenza, che la Serenità Vostra non dovria negare tale possesso. Ben dico, che per gratificare i Cardinali si deve fare ogni cosa come fanno altri principi più grandi. Ai buoni tempi i nostri santi progenitori si sforzavano di tenere ai voleri e ai bisogni loro quei più che potevano del Sacro Collegio, e ne risultava ai loro principi utile e decoro; ora non ci si pone più pensiero. Che il Signore Iddio si degni, per sua divina clemenza, mettere un dì buon sesto a coteste esorbitanze; e la Serenità Vostra perdoni all' affetto mio « quia zelus domus tuae comedit me ».

Circa le entrate del pontefice io non dirò cosa alcuna, avendo Vostra Serenità inteso tutto abbondantemente da molti oratori che hanno fatto per tempora residenza presso la Corte di Roma. E vero che di tempo in tempo, per gli urgenti bisogni di quella sede, si mette qualche nuova imposizione; come ultimamente occorse, d'un fiorino per fuoco; del che so di aver data notizia a Vostra Serenità.

Circa la mente del pontefice verso i principi cristiani, noterò che con Cesare sta benissimo; e in questo congresso di Bologna si ha visto, che non si poteva fare tra loro dimostrazione di unione maggiore. Non dirò già che non vi sia qualche occulta radice di sospizione, perchè certo questa casa de' Medici ha sempre avuto peculiare disposizione a questo; e dicesi che papa Leone, soleva dire che quando aveva fatto lega con alcuno, non si doveva restare di trattar coll' altro principe opposto. E causa di tal sospizione nella mente del papa ha dato Cesare ultimamente, colla sentenza

portata in favore del duca di Ferrara (1). Si aggiunge a questo il pensiero del Cristianissimo, che colla pratica del matrimonio fra la nipote del pontefice e il duca d' Orleans, tiene continuamente Sua Santità divertita da Cesare.

La mente del papa verso il re dei Romani è tale, che Sua Beatitudine ha sempre dubitato e dubita che il detto re faccia qualche moto in Italia, massime cessata la guerra col Signor Turco; perchè è noto, il detto re essere di natura gagliarda dell' animo, e tendere ad inquietudine verso allo stato di Milano; e tanto più che si afferma, esso re dei Romani non amar molto intrinsecamente Cesare, anzi essere di natura contraria.

Circa alla casa d'Ungheria, il papa vorrebbe che fosse all'ombra della Fede cattolica, come furono sempre per lo passato; ma ci vede difficoltà dopo queste mutazioni, e dopo che il Vaivoda ha tolto la protezione dei Turchi (2).

Col Cristianissimo è in quella dipendenza che è stato detto; e per contrapesare alla sospizione che ha contro Cesare, il papa si va intratenendo con Francia; e tanto più per rispetto del duca Alessandro nello stato di Fiorenza; il quale, quantunque abbia la protezione di Cesare per la figlia datagli in matrimonio, tuttavia non intende già il papa distaccarsi per questo dal Cristianissimo, che ha in Firenze quel piede e fondamento che è noto a ciascuno.

Sua Santità era congiuntissima col re d'Inghilterra prima che facesse la pazzia di volere il divorzio colla regina. Ora però si vive con molta simulazione, e Dio voglia che questa

(1) La controversia fra il duca Alfonso d' Este e Clemente VII per la sovranità di Modena, Reggio e Rubiera, compromessa nell' Imperatore, fu da questo decisa in favor dell'Estense, con grande risentimento del papa che si credeva sicuro di quei dominii. Vedi a questo proposito il Giovio in fine alla vita di Alfonso d'Este.

(2) Giovanni Zapolia, vaivoda di Transilvania, per istabilirsi sul trono dell' Ungheria, si era fatto vassallo e partigiano dei Turchi. Di esso abbiamo parlato precedentemente.

materia non termini male contro il re d'Inghilterra; dal che abbiano anche a succedere scandoli grandi per la cristianità coi principi d'Italia (1).

Sua Santità sta col duca di Milano in quella relazione che si conviene ad un principe che si trova in mali termini, povero, infermo, e non con molta obbedienza. Di Ferrara poco ho da dire, essendo seguita la sentenza contro Sua Santità e in favore di esso duca, per le cose di Reggio e di Modena.

Finalmente, di questa illustrissima Repubblica Sua Santità mostra di tenere gran conto, come di quella che è il precipuo fondamento della quiete d'Italia e della Cristianità. E Sua Santità, per quanto più volte ho inteso, ha ferma intenzione di fare che il duca Alessandro, suo nipote, abbia la protezione della Signoria nostra, più confidandosi in quella che in niun altro suffragio di principe che oggidì viva nella cristianità. Ed io per me sono di questa opinione, che, se la Serenità Vostra non mancherà di satisfare al pontefice in quello che di giustizia gli spetta, egli sarà unitissimo con questo Stato.

Io non mi estenderò circa quanto ho negoziato in questa mia legazione, perchè la Serenità. Vostra: ha potuto intendere ogni cosa dalle mie lettere scrittele di tempo in tempo; come della materia dei titoli, e dell' abito dei clerici sacri alli quattro minori, della materia dei cinquanta canonicati, e infine di quella delle denominazioni. Supplico dunque la Serenità Vostra che, se in questi maneggi ho operato secondo i voti di questo Stato, la si degni di attribuire il tutto al Signore Iddio largitore delle grazie. Questo dirò bene

(1) I principi d'Italia non ebbero punto a risentire le conseguenze questo divorzio di Enrico VIII da Caterina d'Aragona, e quantunque si potesse ragionevolmente temere una rappresaglia da Carlo V, di cui la rejetta era zia, tuttavia la materia non terminò male contro il re d'Inghilterra : quanto agli scandoli, che ebbe a patirne la Cristianità, l'oratore fu ottimo

presago.

ch'io non ho mancato di quella larghezza d'animo e di cuore che si conviene ad un buon servitore della Repubblica, quale son io, che conosco di averle obbligo infinito. Che se in tutto non ho satisfatto al suo desiderio, sarà supplicata di accettare l'ottima mia volontà; essendo noi, come uomini, proclivi ad errare. Non mi resta che di parlare onoratissimamente del mio segretario Giovanni Antonio Novello, il quale per la prudenza, integrità, fede e letteratura, parmi sia degno della buona grazia di Vostra Serenità, alla quale flexis genibus mi raccomando.

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