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RELAZIONE DI ROMA

DI

ANTONIO SORIANO

1535 (1)

(1) Tratta da un codice del Marchese Gino Capponi, e confrontata con

altro della biblioteca Magliabechiana in Firenze.

Serenissimo principe e sapientissimo Senato. Perchè non è molto tempo che, ritornando io la prima volta dalla legazione di Roma, dissi nella relazione mia alla Serenità Vostra e alle EE. SS. VV. quello che allora mi pareva degno di loro notizia, avrò causa di lasciare molte cose allora dette, sì di papa Clemente VII di felice memoria, come di quel Sacro Collegio; non tacendo però questo: che li Cardinali nostri, Cornaro, Grimani, e Pisani, continuano nella vita e nei lodevoli atti loro; di sorte che, per le virtù e degne parti di loro Signorie Reverendissime, il nome veneziano fra li prelati persevera e cresce in autorità grande appresso di ognuno.

Nella presente relazione mia, Serenissimo principe, SS. EE., venendo alle cose più essenziali, restringerò il mio discorso circa due parti principali. La prima sarà: quello che si possa aspettare nella materia del Concilio, del quale da ognuno a questi tempi si ragiona; e seconda, quel che si debba sperare circa la quiete fra i cristiani e principalmente in Italia; considerando in tutti i due passi a parte a parte le condizioni del moderno pontefice, la natura, i costumi, le forze e le dipendenze della Santità Sua. La Serenità Vostra si degnerà, come è solito della somma sapienza di questo gravissimo Senato, prestare al suo servitore benigna udienza; acciocchè, non mi essendo interrotta la gratą

Vol. VII.

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sua attenzione, possa brevemente e quietamente eseguire questa ultima parte che resta dell' ufficio mio.

Quanto al primo passo, è noto ad ognuno che di questa materia di concilio si cominciò a parlare già da molti anni, fino dal tempo di papa Leone X: perocchè allora essendo pullulata l'eresia luterana, e conoscendosi che le radici erano tali da far dubitare di molti gravi ed importanti successi alla religione di Cristo, come si vede essere avvenuto; fu consultato del modo col quale si avesse da occorrere all' imminente morbo, così pericoloso alla cristianità; e fu parlato di convocare fin d'allora il concilio, come rimedio precipuo. E si può credere che saria stato più felicemente sodisfatto al bisogno con tale mezzo; ma il timore che s'ebbe di vedere col concilio alterazione sì in capite come in membris, fu causa che, per fuggire questa materia di concilio, facilmente si persuadesse essere atto instrumento di provvedere a tale bisogno la persona di questo Reverendissimo San Sisto (1), legato nelle parti di Germania. Il quale, che frutto abbia fatto, il mondo tutto ne può rendere buon testimonio; perchè, sebbene quel cardinale avesse notabile dottrina, era però accompagnato da così poca desterità e così debole esperienza delle azioni, colle quali bisognava che fosse congiunta la scienza e la dottrina, che, dove speravasi la estinzione del fuoco, se ne ha veduto e vedesi tuttavia riuscito nocumento e danno maggiore.

Da così fatto travaglio di mente, per vedersi continuamente crescere il pericolo della religione, fu solleci

(1) Fra Tommaso di Vio, cardinale del titolo di San Sisto, detto anche dalla sua patria, il Cardinal Gaetano. La sua disputa teologica con Martino Lutero e le altre inutili ed imprudenti sue operazioni in Germania (1519-1520) sono notissime. Il Ranke dedica un intiero capitolo della sua Storia della Riforma (Vol. I. pag. 383) all'esame di queste operazioni del Vio e di quelle del nunzio Miltitz, mandato poco dopo in Germania da Leone X. presente relazione del Soriano, che offre quasi una storia preliminare del Concilio Tridentino, si servirono opportunamente il cardinale Pallavicino, e il prof. Leopoldo Ranke. Merita poi di esser letto il confronto che fa quest'ultimo fra le due storie del Concilio, di Paolo Sarpi e del Pallavicino.

Della

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