Sayfadaki görseller
PDF
ePub

tato anco papa Adriano VI, successore di Leone; ma il suo pontificato fu così breve, che nessun rimedio sen' ebbe.

Successe Clemente VII, il quale, mosso dagli stessi sospetti e timori che mossero il cugino e precessore suo, Leone, quanto più potè, fuggì questa materia continuamente; rappresentandosi il concilio come pericolosissimo alle cose sue. Imperocchè si conosceva sottoposto alle medesime opposizioni che pativa Leone, ed altre molto maggiori; com' era il non essere nato legittimo, e l'essere asceso a quel supremo grado per via forse non molto sincera, ma piuttosto per favori e per altro; il che è noto a molti, ed io per buon rispetto tralascio di dirlo: ed oltre di ciò per aver presa la guerra contra la povera sua patria per particolar suo rispetto e dei nepoti; le quali cose ragionevolmente gli facevano temere l'opinione del mondo. Però, essendo già seguito il sacco infelice di Roma, tanto dannoso e di tanta vergogna di Sua Santità e di quella Sede, e desiderando Cesare (come quello che ha sempre dato voce di essere buon cattolico) di liberarsi la coscienza da quel peso, fu facile ridurre Clemente, che d' altro più non temeva che del concilio, a scordarsi di tutto e a riconciliarsi seco coll' istrumento del matrimonio fra la figliuola bastarda di Sua Maestà, ed il duca Alessandro pure bastardo e nipote di Sua Santità. Di qui successe la venuta dell' Imperatore in Italia e la coronazione in Bologna, e la lega fra Sua Santità, Sua Maestà, la Serenità Vostra ed altri; di qui seguì la dura e vergognosa ossidione e debellazione di Fiorenza; non mancando il papa con tutti gli spiriti a perseverare nell' amicizia già principiata con Cesare, nè curando di dispiacere in ciò al Cristianissimo; parendo a Sua Santità di esser sicura dal concilio tanto temuto da lei con l'amicizia di Cesare, confirmata dalla promessa parentela. Nè mai potè accidente alcuno causare discordia o sdegno in papa Clemente contra l'Imperatore; nè potè valere alcun gagliardo ufficio che usasse il Cristianissimo, col mezzo an

che del duca d' Albania (1), il quale fu dal re di Francia mandato a Roma sotto pretesto di ultimare e regolare le cose particolari dello stato della duchessina, nipote di Sua Santità e figliuola della quondam madama di Bologna, essendo stato esso duca, come suo zio, per molto tempo governatore di quella in Francia. Questi, benchè facesse ogni offizio per condurre ad effetto il matrimonio della duchessina col secondogenito del Cristianissimo, non potè però allora conchiuderlo, ritrovando sempre Clemente escusazione sopra l' inabilità della putta, ed altre cose; e questa trattazione durò per molti mesi, quando io era un' altra volta oratore; essendo qui il Mayo e il Mussettola per Cesare, e il Cardidinale d'Agramonte pel Cristianissimo. Dirò più, che venne occasione dalla quale si poteva credere, che dovesse nascere alcun principio d' indegnazione nel Pontefice contro Cesare; e questo fu la sentenza che Sua Maestà diede in favore del duca di Ferrara contro Sua Santità; la quale certo gli fu di grande molestia e perturbazione; tanto più ch' ella la sperava favorevole, ed eragli stata promessa; ma quel povero vescovo di Vasona, che trattava questo negozio, fu ingannato con parole (2). Ed ancorchè tale cosa fosse acerbissima al papa, (massime vedendo che Vostra Serenità aveva fatto consegnare la casa qui in Venezia al signor duca predetto, in esecuzione di quella sentenza ) tuttavia Sua Santità non mostrò mai di risentirsi; anzi andò dissimulando la cosa per rispetto del concilio, per non farsi l'imperatore contrario. Successe un' altra gran causa di sdegno; chè, verso Ungaria, Cesare fece ritenere il Cardinal de'Medici, per le cause ben note a Vostra Serenità, senza

(1) Giovanni Stuardo, duca d'Albania, zio di Caterina de' Medici e affine di Clemente VII.

(2) Il cardinale Girolamo Schio, vicentino. Di questa sentenza Carlo V in favore del duca di Ferrara, si è già parlato nella relazione precedente.

ch'io le replichi altramente (1). Questa cosa indusse il papa in tanto dolore, che (per quanto ho dal cardinale Santiquattro, chè io non era allora in Roma) ne pianse e fece grande dimostrazione di dispiacere. Ma anche questa ingiuria Clemente dissimulò; nè si commosse giammai, se non quando ritornava l'imperatore da Vienna; perchè allora Sua Maestà incominciò a richiedere il Concilio, forse (per quello che si diceva) stimolato dai Luterani. Questa sola fu quella causa che commosse l'animo del papa di sorte, che, inanzi al ritorno dell'imperatore, intendendo Sua Santità ch' egli era per fare tale uffizio, avrebbe desiderato che non fosse tornato così presto nè così gagliardo; anzi sperava il contrario, e fermamente se lo teneva; avendo opinione che due imperatori, uno occidentale, l' altro orientale, e tanto potenti e forti, non dovessero così subito e così facilmente senza danno alcuno essere quietati. Per questo, ritornato Cesare in Italia, andò il papa a Bologna contra sua voglia e quasi forzato, come da buon luogo ho inteso. E fu assai evidente segno di ciò, che Sua Santità consumò da giorni diecinove in tal viaggio, il quale poteva fare in tre giorni; ma pur gli convenne farlo, dubitando di non irritare troppo l'imperatore, se non andava; tanto già se gli era obligato. E fu costretto dalla stessa causa di venire alle tregue dei

(1) Per rintuzzare i minacciosi assalti di Solimano, Clemente VII aveva promesso di contribuire ai collegati cristiani quarantamila ducati al mese durante la guerra, e aveva mandato a Vienna, in qualità di Legato, Ippolito de' Medici suo nipote con trecento archibusieri. Cessata quasi subito quella impresa per la spontanea ritirata di Solimano, l'Imperatore, desideroso dí ritornare in Ispagna, ordinò che i fanti italiani andassero a respingere sempre più i Turchi nell' Ungheria. Ma questi, o di propria deliberazione, o eccitati dai loro capi, si ammutinarono, e presero il cammino d'Italia; ardendo molte ville e terre dell'Austria « per vendetta (secondo dicevano) degli incendii fatti dai tedeschi in Italia ». Innanzi a loro si spinsero il capitano Piermaria Rossi, e il cardinale de' Medici, insofferente di seguire la corte di Cesare che pur scendeva in Italia. L'imperatore sdegnato, attribuendo forse la causa dell' ammutinamento al Legato, lo fece arrestare; ma poi, temendo le conseguenze di quell' arbitrio, lo liberò. - A cotesta ingiuria fatta al cardinale e al pontefice, accenna appunto il Soriano.

diciotto mesi col duca di Ferrara; perchè il papa allora nou aveva seco il re di Francia, non aveva la Serenità Vostra. E benchè fosse in poco amore con Cesare che lo reggeva e menava alla via che voleva, gli conveniva, non per volontà ma per necessità e, come a dire, quasi per vera forza, consentire a quanto Cesare voleva e gli fosse piaciuto, senza mancargli punto; e questo tutto per il timore che Sua Santità aveva del già pullulante Concilio. Considerando adunque Clemente a questi tali casi suoi e, per così dire, alla servitù nella quale egli si trovava con Cesare, e molto più al pericolo per la materia del Concilio, la quale Cesare non lasciava di stimolare, incominciò a rendersi più facile al re Cristianissimo; il quale, intendendo la mente del papa, e come si trovava malcontento con Cesare, sebben per lo avanti non avesse mancato di fare officii per acquistarsi Sua Santità (benchè in vano, come ho predetto), ora trova la via più facile e con più caldi ufficii persevera. E qui si tratta l'andata di Marsiglia (1), ed insieme si torna sopra la pratica del matrimonio, essendo già la nipote abile. L'imperatore all'incontro non opera niente nè si intertiene; ma, sapendo quanto Clemente temeva del Concilio, piglia pel suo fondamento lo stimolarlo con questa materia, pensando con questo timore di divertirlo dal passaggio e dal matrimonio; ma nulla giova, essendo il papa già risoluto nell' uno e nell' altro, e scusandosi di non poter fuggire il viaggio e l'abboccamento col Cristianissimo: perchè la Maestà Sua si doleva ed era piena d'infinita sospezione, che il papa già due volte s'era abboccato con Sua Cesarea Maestà, e seco nessuna; non avendo fatto così il precessore suo Leone; nè si poteva il Cristianissimo condurre a Bologna o in altro

(1) L'abboccamento tra Clemente VII e Francesco I in Marsiglia ebbe luogo dagli 11 ottobre ai 12 novembre 1533. In quell'occasione si fece solennemente il matrimonio già stipulato, fra Enrico, figlio del re, e Caterina, nepote del Papa.

luogo d'Italia, come avea fatto Cesare; perchè il passare in Italia gli era da più parti vietato; onde bisognava che Sua Santità si conducesse a Marsiglia, come a luogo più commodo ed opportuno. Si scusa anche di non poter fuggire il matrimonio, essendone tanto sollecitato e pregato dal Cristianissimo; nè avere Sua Santità più modo di differire, perchè la putta era abile, come ben chiaramente si sapeva; l'inabilità di lei era stata la scusa, colla quale sin allora era stato intrattenuto. Così, contro la voglia di Cesare, fu pur concluso l'andata e risoluto il matrimonio, ed anche la putta condotta a Marsiglia. Non voglio però tacere questa parte, che tal matrimonio fu fatto contra il parere di Giacomo Salviati, e molto più della Signora Lucrezia sua moglie, la quale, anche con parole ingiuriose, si sforzò disuadere Sua Santità, forse perchè pareva che il Salviati tenesse piuttosto le parti cesaree; e forse parendogli che il sangue non fosse conveniente a figliuolo di re, per molte ragioni; serbando l'antico esempio di Cosimo de'Medici, che non volle mai apparentarsi con grandi, benchè gli fossero proposti partiti assai dai principi e dai re di Napoli. E mi ricordo avere inteso in Fiorenza, quando io v'era oratore, che, essendo a Cosimo stato proposto un tale partito di matrimonio d' una sua figliuola con un gran principe, mandò sopra ciò a richiedere il parere di Neri del Nero, suo emulo e contrario in Fiorenza, ma sapientissimo uomo, forse per tentarlo; il quale saviamente rispose, benchè burlando : « dì a Cosimo, ch'ei s'inganna, se pensa che alla serratura della sua figliuola manchi chiave in Fiorenza ».

S'immaginò Clemente, con questa parentela della nipote nel figlio del Cristianissimo, di fondare due colonne alla casa sua e alle cose sue, massime nella tanto temuta materia del Concilio; l' una volontaria e spontanea, l'altra sforzata. La prima era il Re cristianissimo; il quale, avendo fatto credere a Clemente che da lei dipendessero quei prin

« ÖncekiDevam »