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dei cardinali, tanto degna e di persone di qualità eccellentissime, come sono stati li Reverendissimi Roffense (1) Contarini (2), Ghinucci (3) e Simonetta (4). Ma in vero, a chi ben considera e penetra il petto di Paolo, si può far giudizio che, sebbene divulga di volere il Concilio e di non lo temere, pure lo fuggirà volentieri, nè sarà mai per procurarlo effettualmente. E questa è l'opinione universale de' suoi più intimi cardinali, i quali tengono che le voci siano vane e false, e che, sebben l'ha detto e dice volerlo, sebbene ha deputato tre cardinali sopra questa materia e sopra la reformazione loro, tutto però sia finto, nè Sua Santità voglia, per modo alcuno che si potrà, che tal cosa abbia effetto. E non mancano molte ragioni a questo; prima, perchè nè anco Sua Santità manca di opposizioni (chè la sua promozione al cardinalato non fu molto onesta, essendo proceduta per causa oscena; cioè dall' amore e dalla familiarità che avea papa Alessandro VI con la signora Giulia sua sorella; dal che nacque, che per lungo tempo fu chiamato il cardinal Fregnese); poi la vita sua non è stata molto santa; anzi ha continuamente atteso a delizie e piaceri, di sorte che, sebbene è stato per più di quarant' anni cardinale, non ha però molto atteso a cose di stato; e da qui nasce, che ora Sua Santità ha bisogno di chi lo consigli. Occorre poi a chi ben considera, che il Concilio non fa per

(1) Giovanni Fischer, inglese, fatto cardinale da Paolo III, nel maggio del 1535.

(2) Gasparo Contarini, creato cardinale da Paolo III nel maggio del 1535, fu uno dei più grandi uomini del suo tempo. Di lui, come oratore della Repubblica di Venezia, parlano abbastanza il trattato sulla pace di Bologna di Niccolò da Ponte, e la sua propria relazione di Roma. Della sua dottrina e della sua moderazione, come cardinale, fanno fede le altre sue opere a stampa, e ne discorre con rara sensatezza e imparzialità lo storico dei Papi e della Riforma, Leopoldo Ranke.

(3) Girolamo Ghinucci, senese, uomo di molto ingegno e molta prudenza, fatto cardinale l'anno medesimo.

(4) Jacopo Simonetta, milanese, giureconsulto e prelato di grande riputazione, fatto cardinale da Paolo III nel 1535. Giovanni, suo padre, è noto scrittore delle imprese di Francesco Sforza.

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Sua Santità nè forse per quella Sede. Perchè, se vogliam dire che il Concilio bisogni e debba essere per le cose essenziali della fede, questo, pochi che abbiano intelletto, lo posson dire; essendochè gli articoli della santissima fede nostra e le altre cose ordite che da quella dipendono, son così bene e santamente decise e stabilite dai Santi Padri e dai nostri antecessori, che l'alterarle non saria senza male. O che il Concilio bisogni per causa degli abusi della Corte, ove sono molte esorbitanze della Penitenzieria, della Cancelleria, delle composizioni, della Dataria, delle scrittorie e dispense ed altre cose simili; e per tale causa non si può credere che il Pontefice non sia per fuggirlo; perchè, quando col Concilio si venissero a regolare o ad estinguere queste cose, saria torre il vivere a Sua Santità; giacchè di qui si trae la quantità dei danari coi quali si sostenta, e si fanno le spese per il vivere del Pontefice. E se si faccia il Concilio per li beni temporali che ha il papa, e si tengono dai cardinali e dai vescovi e altri prelati, molto meno si può credere che il Concilio sia per piacere al Pontefice. Sicchè per concludere, si può giudicare che il Concilio non debba essere desiderato, ma più presto fuggito da Sua Santità; sebbene, come si vede, dia voce in contrario. Nè tacerò questa parte, che, discorrendo meco il Reverendissimo di Bari (1) (il quale certo fu un sapientissimo cardinale e grandissimo pratico, affezionatissimo a Vostra Serenità) mi disse, che al principio il papa mostrò di temere la venuta di Cesare in Italia; e che, sebbene Sua Santità si moveva a questo per suggestione dei Francesi che, rappresentando questa venuta di Cesare in Italia essere per causa della monarchia, macchinavano di alienare il papa da Sua Maestà; tuttavia, oltre questa causa estrinseca, ve n'era una intrinseca, che

(1) Stefano Gabriele Merino, spagnuolo, arcivescovo di Bari e patriarca delle Indie, fatto cardinale da Clemente VII ad istanza di Carlo V, e morto in Roma nel mese di agosto 1535.

era questa del Concilio, il quale Sua Santità teneva per certo che fosse procurato ed eseguito da Cesare (1).

Ed è da giudicare, principe serenissimo ed illustrissimi signori, che anche in sè questa materia del Concilio contiene delle difficoltà assai; cioè intorno al luogo, ed al tempo ed al modo. Quanto al tempo, non si può pensare che abbia a succedere questo inverno, sebbene molti tengono il contrario; e al tempo nuovo Cesare dà voce di voler essere in Spagna, ed ancora non s' è fatta resoluzione alcuna, e siamo all' inverno; e un moto di questa importanza ha bisogno di molte preparazioni, le quali non si possono fare in poco tempo: onde è da credere che, avendosi a fare, andrà più in lungo assai di quello che molti pensano. Quanto al luogo, prima il Cristianissimo mostrò di contentarsi che si facesse in Germania, in luogo però propinquo e comodo; ma poi ch'egli intese che Cesare se ne contentava, ha mostrato tirarsi indietro. Fu poi ragionato d'Italia; in Verona, Mantova, o Trento; e di Verona, per quel che mi disse il papa, si erano risoluti che no: forse pensando che Vostra Serenità non se ne contentasse. Di Mantova si conghiettura che il Cristianissimo non si contenterà, e nè anco di Trento. Fu detto di Vicenza; ma nè pur quella piace; pure, se si facesse in Italia, se ne ragionerebbe: ma insomma non è cosa sì facile da risolversi (2). Quanto al modo, il Reverendissimo di Capua (3) (da cui in questo maneggio il papa

(1) È incontrastabile, che Paolo III avesse, per la convocazione d'un Concilio, quasi la medesima ripugnanza ch'ebbe Clemente VII. Se non che, parendogli che l'Imperatore fosse determinato a convocarlo da sè, colse il momento in cui i maggiori principi cattolici gli si dimostravano favorevoli, e prevenne l'Imperatore, mandando il Contarini ad annunziargli la gran novella.

(2) Il Concilio fu poi convocato a Trento, nel mese di novembre 1542. Ma per la poca frequenza dei vescovi e pel trambusto delle guerre, non vi fu veramente aperto che nel dicembre 1545.

(3) Frate Niccolò di Schomberg, del quale abbiamo già avuta occasione di parlare, fu fatto cardinale da Paolo III in quest' anno 1535. Egli era svevo e non boemo; nè saprei dove il nostro valente oratore abbia pescato quelle notizie intorno la parentela del cardinale con Martino Lutero. Nè il Ciacconio, nè l'Ughelli, nè gli altri storici, tedeschi e italiani, ne fanno alcuna menzione.

mostra molto dipendere, come da quello che ha maneggiato tale materia anche a tempo di Clemente, e che, per la nazione boema d'onde egli è, pare molto congruo che tal maneggio dipenda) ha discorso, che i modi del concilio sono: o Concilio universale di tutti quei prelati ed altri che de jure hanno da intervenirvi, o Concilio nazionale, di numero determinato di prelati, cioè tanti per nazione. Da poi, o sia universale o sia nazionale, è da vedere se si debbano trattare in quello e disputare le materie, ovvero se prima s'abbiano a trattare e concludere fra il papa e il collegio dei cardinali; e poi, quello che sarà tra loro concluso, s' abbia da produrre in Concilio per esservi accettato, ma non disputato nè ponderato. E questa sola via e forma è stata risoluta fra il papa e il Reverendissimo di Capua con pochi altri, che s' abbia da tenere; in caso però che non si possa fuggire il Concilio. E questo si può o dire o aspettare in questa materia; circa la quale, Sua Santità non manca di usare ogni diligenza ed industria, acciocchè, in caso che non si possa del tutto declinare, almeno si faciliti; e il facilitarla si procura con la via del Reverendissimo di Capua, il quale è cognato di Martin Lutero; perchè Martino tolse per moglie una sorella del detto cardinale, la quale era abbadessa in un monastero; ed ha mezzo appresso questi capi, com'è Filippo Melantone (1) ed altri suoi complici; ed ha autorità da Sua Santità di placarli, riducendoli alla santa Chiesa con promissione di benefizii e vescovadi, e, quando bisogni, anche di cappelli. E già si vede che questi Luterani cominciano a rendersi alquanto men duri, come appare dalli capitoli da loro ultimamente pubblicati; e questa è opera del Reverendissimo di Capua, dal quale in diverse vie ho avuto in questa materia conforme risoluzione a quanto ho detto. E perchè non mi contentavo s'io non aveva l' assoluto suo

(1) Filippo Schwarzerd (terra nera e grecamente Melantone) fu uno dei più dotti e più moderati propugnatori della Riforma in Germania.

animo e quello che Sua Signoria Reverendissima pensava che fosse per succedere da questa trattazione di Concilio, m' ha largamente detto e affermato: che, per l'opinione sua fondata sopra le ragioni dette a Vostra Serenità, tiene che, quanto al futuro Concilio, sia da ragionare, ma non da operare; avendo per certo che, se Concilio alcuno ha da succedere, non sia, salvo che in quel modo e forma che ho detto; regolata prima ogni cosa in Roma e determinata secondo il volere del papa e dei cardinali, e poi presentata al Concilio per essere da quello approvata, senza disputarla altramente ed esaminarla: aggiungendo che, per opinione sua, non si farà nulla, se l'autorità dell' Imperatore non sforza la Santità del papa a continuare nell' animo che ha mostrato di avere in questa pratica. Onde si può credere che il successo di fatto s' abbia da veder presto; essendo cosa certa, che questa risoluzione in gran parte s' ha da regolare dal volere di Cesare, come ho detto; il quale presto avrà da essere colla Santità Sua in colloquio (1).

Quanto a quello che si possa aspettare circa la quiete d'Italia, mi resta ora a parlare; il che mi sforzerò di fare con brevità; e volesse Iddio che, come nella materia del Concilio non si può sperare cosa buona, così in questa non si avesse a temere qualche disturbo; come Vostra Serenità potrà intendere dal mio parlare.

Cosa certa è che, da principio finora, continuamente, il pontefice ha affermato ad ognuno con cui ha parlato, di non voler entrare in lega con alcun principe, nè colla Cesarea Maestà nè col re Cristianissimo; ma volere perseverare in neutralità; e questo, solo a fine di poter più abilmente reprimere quelli che volessero uscire dai termini e produrre zizzanie e moti in Italia, alla quiete della quale in

(1) Ch'ebbe poi luogo in Roma, nel mese di aprile 1536. Il papa pubblicò allora il decreto della convocazione del Concilio, e ne intimò il principio in Mantova, pel maggio dell'anno seguente.

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