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una cosa per un' altra. Vorrei una volta che fussero dei vostri tutti questi miei; il cardinal del Monte, Balduino nostro fratello coi suoi figli e discendenti, Ascanio della Cornia e Vincenzo dei Nobili, figli di nostre sorelle, con i suoi. M' intendete bene? ne farete ogni officio per nome nostro con quei Signori ». Io glielo promisi super generalibus, mostrando quasi anch' io di non intendere; ma pur troppo lo intesi: chè vorrebbe che fossero fatti gentiluomini, e me ne fece ricerca il signor Balduino fin da principio, e poi anche più volte me ne ha parlato il segretario Dandino, e ne ho scritto alle EE. VV. Questa è cosa che, se mai fu in pregio, è più che mai in grandissimo ora; ed il Reverendissimo Farnese, la notte del suo partire, fece con molta diligenza cercare il suo privilegio delle EE. VV. e appresentatogli, lo baciò, e se lo pose in seno dicendo: questa è la più vera nobiltà e sicurtà che si possa avere in questo mondo. E dirò anco un forse temerario e arbitrario giudicio mio della persona propria di Sua Santità: che, avendomi detto l'ambasciatore di Fiorenza, che è tutto suo, che posti inanzi a Sua Santità tutti i pericoli che potrebbero occorrere in questa guerra, lei si risolse col dire: « quando anche me ne succedano tutti quei maggiori mali che posson succedere, non mi mancherà mai un buco da andarmi a ricoverare, finchè Dio risolverà lui la causa sua »: da questo e da qualche altro discorso io mi sono indotto a credere, che abbia disegnato di fuggire anche lei qui in un bisogno: e questo lo do per un giudizio arbitrario, e non perchè ne abbia più che tanto; dal che, prego Dio, che ne guardi. E del far gentiluomini i suoi, le EE. VV. faranno quello che alla molta sapienza loro parerà; chè, di manco di scrivere una parola al clarissimo loro ambasciatore di questa mia relazione, non credo che le possino fare.

Io mi partii da Roma il giorno seguente di sera, con desiderio oltra l' ordinario, per il caldo sopraggiunto, che

mi fece pigliare sicurtà dalle EE. VV. e di così presto licenziarmi da Sua Santità e dai cardinali, inanti la venuta del mio successore; pigliando il cammino di Toscana per più breve e più comodo, massimamente la state, che ha migliori alloggiamenti.

In Siena, trovai in mala contentezza (che la peggiore non credo che si possa dare) i Senesi, per la briglia posta loro dall'imperatore colla cittadella che vi ha fabbricata Don Diego, bravissima e grande e già tutta in difesa, che entra nel cuore della Terra; e ciò è avvenuto per le loro voglie divise; perchè una parte di loro voleva l'imperatore in aiuto, che li aiutò come l'uomo aiutò il cavallo contro il cervo, cioè ponendogli il freno (1). In Siena vidi poi quella cosa, che da trent'anni avevo voglia di andare a vedere; cioè la istessa storia di papa Alessandro col Doge Ziani, che, come in questa sala, ho trovata dipinta nella sala della loro Balia: ma con questo divario che, ove nel quadro di Tiziano fu fatto acconciare il papa che alza il piede, acciocchè l'imperatore glielo baciasse più comodamente, lì all'incontro, l'imperatore Federico, colla barba rossa fino alla cintura, sta disteso per terra supino, e il papa gli tiene il piede calcato sopra la gola, con gran stupore dei cardinali, del principe e degli altri circostanti. Il qual papa è Senese; e perciò, come qui, e lì dipinta (2).

(1) La Repubblica di Siena, per turbolenze intestine, si tirò addosso una terribile guerra, che durò molti anni fra Carlo Ve i Francesi, e che fini colla sua caduta. La cittadella era stata posta di fresco, per ordine dato da Carlo V a Don Diego Mendoza, suo ministro. Vedi intorno a cotesta guerra il Successo delle rivoluzioni di Siena, scritto da Alessandro Sozzini, e stampato con molti documenti ed illustrazioni nel tomo II dell'Archivio Storico Italiano, per cura del signor Gaetano Milanesi.

(2) Questo storico monumento conservasi ancora in gran parte. Devo alla cortesia del signor Giuseppe Porri di Siena, le seguenti notizie intorno al famoso dipinto : « Le pitture della sala di Balìa, nel palazzo pubblico di Siena, sono opera di Spinello aretino, e di Martino di Bartolommeo Bolgarini, del 1404 circa. La sala è divisa in sedici compartimenti, dei quali i due più grandi, uno sulla porta d'ingresso, l'altro di faccia; due più piccoli nelle pareti che rimangono di contro alle due finestre, e dodici lunette che circondano da ogni parte la stanza. Una di queste lunette è affatto perduta. I fatti

Venni poi a Fiorenza per un bellissimo paese, tutto pieno di buoni soldati di ordinanze di esso paese, ad imitazione della Serenità Vostra, che dal principiare di lei, tutti gli altri se le hanno fatte (1). Ne ha quel duca ben diciassettemila, e non dà mai loro la corda per il portare delle armi; anzi gliele fa sempre portare e maneggiare; e se fanno male, li fa gastigare, e fa comporre ai loro capi le differenze che nascono tra loro; e se sono di grave querela li lascia combattere agli steccati, e li lascia andare alla guerra ove vogliono, e quelli che restano ha per da poco e li fa castigare; ma i capi non lascia andare senza espressa sua licenza, che dà loro di raro o giammai (2).

Esso duca pare che sia molto riverito ed amato; è molto predicato di giustizia e solerzia, e molto stimato da tutti i grandi della corte. Io andai di lungo a dismontare all' osteria, solita casa mia da molti anni; e dopo desinare, andai sconosciuto a veder la Terra, e la mattina me ne partii per tempo. Non mi parve altramente di visitare Sua Eccellenza, non avendo avuto alcun segno di visitazione da lei; e ho inteso esserne stata causa, perchè egli ebbe per male che, dei clarissimi quattro ambasciatori di ritorno da Roma, fatti visitare e presentare da lei, nessuno lo andò a visitare. Io così non gli avrei mancato; chè questa cortesia mi sarebbe parso convenire massime a me, di tanto manco autorità delle Magnificenze loro.

principali della vita di papa Alessandro III, che Spinello rappresentò nei varii spar timenti di questa sala, sono: la vestizione dell'abito certosino; la coronazione del pontefice; il pontefice in veste da pellegrino, riconosciuto in Venezia da' pellegrini; la presentazione della spada al doge Ziani; il gran combattimento navale; il principe Ottone a' piedi del pontefice; la edificazione d'Alessandria; il ritorno del Pontefice a Roma, servito alla briglia e alla staffa dallo Ziani e dall' imperatore. Tra queste storie è l'imperatore Federigo, steso in terra supino, col capo presso al trono del pontefice, che gli tiene il piede sopra il collo, appunto come qui dice il Dandolo. >>

(1) Vedi la nota a pag. 344.

(2) Vedi a questo proposito la relazione di Firenze di Lorenzo Priuli (Relazioni degli Ambasciatori Veneti, T. II).

Vol. VII.

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Venni poi a Bologna, incontrato a Scaricalasino dal capitano Annibale del conte Girolamo de' Pepoli, molto stringendomi per nome suo, della moglie e dei figli, a dismontare in casa sua; per il che venne poi il suo maggiore con onorata compagnia a trovarmi a Pianoro; e lì nel cammino il Campeggio, fratello del reverendo Vescovo di Parenzo (1); e poi il capitano della guardia dei cavalli leggieri, non per nome di Sua Santità, ma come suddito e vassallo della Serenità Vostra, con alquanti dei suoi cavalli; il quale è da Salò, ma bandito di terra e luoghi. Venne poi con alquanti il nipote di messer Ercole poeta (2); e poi ancora molti di questi popoli in diverse squadre; ed anco nel borgo e dentro della porta molti gentiluomini di etade, sopra le mule, chè mi pareva quasi d'entrarvi podestà o capitano; e quasi avevo paura di entrare ambasciatore in Roma; così era onorevole l'incontro di quasi trecento cavalli. Io, oltrechè sapevo esservi tristissime le osterie e piene di soldati e di molti signori convenuti lì per causa di questa guerra; oltre il mio comodo particolare, mi parve più onore di questo glorioso Stato lasciarmi condurre così onoratamente in un palazzo, che si può dire dei primi gentiluomini d'Italia. E tutto questo fu per semplice onore della Serenità Vostra; perchè non mi fu fatta parola nè per nome di Sua Santità, nè del signor Giambattista suo nipote, che era lì, nè del Reverendissimo cardinal Legato, nè del Governatore. Onoratamente trattato, di lì partii la mattina con cinque o sei cocchi che mi erano preparati nella corte; e il giorno del Corpus Domini, poco inanzi mezzodì, arrivai a

(1) Girolamo Pepoli era stato al servigio della Repubblica di Venezia, e per essa governatore di Verona, di Vicenza e di Brescia. Morì a Bologna l'anno medesimo, 1551. Non saprei quale dei molti prelati della famiglia Campeggio, fosse il vescovo di Parenzo. Il Giordani e il Cicogna non ne fanno menzione.

(2) Ercole Poeti (non poeta) bolognese, fu milite valoroso, e capitano dei Veneziani.

Ferrara, e vi trovai serrate le porte, con dire, essere così solito sino al finire della processione; e che il duca era andato a Modena. A me fu gradito di trovarmi sbrigato d' ogni ceremonia; sicchè, subito desinato nella predetta casa mia, me ne venni in un cocchio a Francolino; e di lì, quanto più presto, ai piedi della Serenità Vostra, con quel desiderio che le Eccellenze Vostre possono pensare, dopo due anni così lunghi e stretti, come sono stati questi.

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