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done consumato quattrocento cinquanta in soggiogare l'Italia; così, ora che è ridotta sotto il governo dei pontefici, non si può nè conservare più, nè ricevere maggiore accrescimento, che con la pace. Perchè, oltre che nessuna cosa è più contraria all'arme, che la professione della religione, Roma si può dire che non abbia popolo suo proprio e naturale (1). Quei che l'abitano, e la fanno grande e bella, son tutti forestieri, invitati ad andarvi dalla libertà e dal modo che hanno avendo denari da metter quivi con così grosso utile) da potersi sostentare onoratamente. Oltrechè non vi è uomo, di qual patria, grado o condizione si voglia, che non speri, o con la virtù o con la fortuna, o con l'una o con l'altra insieme, non solamente i maggiori onori di quella corte, ma ancora la suprema dignità; siccome ne sono piene l' istorie, e recente la memoria dell'eccellentissime Signorie Vostre. Per questo ho detto, che nessuna cosa può conservare in maggior grandezza quella città, che la pace; perchè con quella si fa più abitata e più frequentata; e all' incontro, non solamente con la guerra, ma con la sospezione di quella, ognuno non la riconoscendo per patria più che tanto, e fuggendo i pericoli, lascia stare di venirvi, e quegli che vi sono, ritornano alle patrie loro. Ha per confini il pontefice, in questi suoi stati che ho detto, il regno di Napoli, il signor duca di Fiorenza, intanto che si può dire, che sia in mezzo di questi due; perchè, incominciando dalla parte di Campagna, che gli antichi chiamarono Lazio, si può dire fuori delle porte di Roma fino alla Marca, che si estende fino all'Adriatico, confina con il sopradetto regno di Napoli; e dall' altra parte del Patrimonio, poco lontano da Roma, con lo stato del signor duca di Firenze; e tanto più ora, che è fatto padrone

(1) Il popolo c'era (e lo mostrò alla morte del Papa); ma non contava, se non per pagare i balzelli. L'asserzione del Navagero, per quanto sappia d'aristocratico, è in gran parte fondata sul vero e sempre applicabile.

di Siena (1). Ha anche confini questo stato ecclesiastico, dalla parte della Marca e della Romagna, con due illustrissimi duchi, suoi feudatari, l'uno di Ferrara, l'altro d'Urbino; di modo che, occorrendo molte volte gli travagli che occorrono, principalmente per causa di confini, pretendendo l'uno avere azione sopra lo stato dell'altro, accade bene spesso, che il padrone del feudo si ritrova per diversi rispetti mal contento del feudatario, o almeno ne trova occasione.

Dar distinto e particolar conto dell'entrate che si cavano dello Stato Ecclesiastico, non saria difficil cosa, ma tediosa; essendo stato parlato di ciò da tutti i miei clarissimi predecessori, e avendo io da dire di molte altre cose, le quali giudico che debbano essere più grate e più utili. Dirò solamente di questa parte, che dello stato della Chiesa si cava d'entrata intorno a seicentomila scudi; e tanta è la spesa ordinaria, che necessariamente si fa. Tragge il pontefice dello stato che ho detto, uomini molto atti alla guerra; ha alcune fortezze; ma poche, e di non molta importanza; delle quali è la principale Orvieto, forte più per natura che per arte. Ha due porti, l'uno nell'Adriatico, che è il porto d'Ancona, l'altro nel mar Tirreno, che è Civita Vecchia; la quale, quando capitasse nelle mani di chi disegnasse essere inimico della Sedia Apostolica, metterebbe il freno a Roma, e la metterebbe in quella necessità che esso medesimo disegnasse. Vi è anco quella nobilissima città di Bologna, la quale, per diversi rispetti, e anche per avere uno Studio così celebre, come si sa, è reputata una delle prime città d'Italia. Di questa città non si tragge quasi alcuna utilità ordinaria; perchè tutti i denari, che ascendono intorno a centomila scudi, vanno in mano de' medesimi bolognesi; con i quali pagano il legato, le sue guardie, e i magistrati e mantengono lo Studio.

(1) La città e lo stato di Siena furono da Filippo II concessi in feudo al duea Cosimo, ai 3 di luglio 1557.

Se vogliamo considerare il pontefice, non come pontefice con stato, ma come capo della Religione Cristiana, esso è certamente capo di tutti i cristiani, essendo successore di Pietro, che fu instituito vicario da Cristo Signor Nostro. Se vogliamo, dico, considerarlo in questo, si può dire che se i pontefici attendessero a imitare la vita di Cristo e di quei primi padri, sariano molto tremendi al mondo con le scomuniche e con le armi loro spirituali, che non sono ora con le leghe, con gli eserciti e con l'armi temporali; le quali, da non molt'anni in qua, hanno incominciato ad adoperare palesemente; e forse Alessandro VI, di nazione spagnolo, cominciò primo apertamente a disegnare la grandezza del duca Valentino suo figlio, con quei mezzi che sono stati narrati da molti, che hanno scritte le istorie di quei tempi. Il quale desiderio, passando anche in molti dei pontefici successori suoi, ha travagliato e travaglierà sempre questa povera Italia; perchè, non essendo i pontefici romani naturali ed ereditari, nè potendosi con poco tempo acquistare e stabilire un nuovo stato, come disegnano per gli suoi, è necessario che mettano sottosopra il mondo, facendo lega ora con questo, ora con quell'altro principe, per giungere per questi mezzi, non potendo per altro, al loro fine, che è di lasciare i suoi non privati, come erano avanti il loro pontificato, ma con grandezza e con stato nuovo; il che non si può fare senza far torto ad altri. Non vengo a particolari esempi, perchè qualche povera republica d'Italia, e qualche altro stato, ne porta ancora squarciato il volto e i panni. E perchè si vede chiaramente, che un medesimo stato, con le medesime forze e con gli medesimi denari, è stato qualche volta stimato assai e qualche volta poco reputato, secondo il valore o l'ignavia di chi ne è stato padrone; però, oltre alle cose dette, io giudico, che sia necessario dire le condizioni di papa Paolo IV e quelle di chi lo consiglia, ed ha autorità con esso. Dal

che nascerà quest' utile all' eccellentissime Signorie Vostre, che, conoscendo la natura sua e dei suoi disegni, potranno più facilmente trattenersi e accomodarsi al tempo e alla natura sua, e conservarsi amica Sua Beatitudine; il che anco per benefizio comune d'Italia importa assai.

Il pontefice è napoletano di patria, e di casa Caraffa; la quale si dice essere venuta da Pisa in Napoli, l'anno MCCCXV, ed essere una istessa con la casa Caracciola; perchè siccome si legge in una sepoltura a San Domenico in Napoli, nel 1315 morì il signor Matteo Caracciolo, detto Caraffa. In questa famiglia, insino a questi dì, son nati molti signori, con titoli di marchesi, di conti, di principi, e duchi, e vi sono sin ora sette cardinali: il cardinal Giovanni, che fu vescovo di Bologna; il cardinal Oliviero, il cardinale Vincenzio, tutti e due chiamati cardinali di Napoli; il cardinal d'Ariano, Don Diomede, che vive; Don Carlo, figliuolo d'un fratello del pontefice, che ha il governo ora, ed è chiamato il cardinal Caraffa; e Don Alfonso, figlio del marchese di Montebello, il quale ha titolo di cardinal di Napoli, ed è appresso questo pontefice; il quale, oltre all' essere stato cardinale, ha portato in questa casa il grado del pontificato. Egli ha ottantun' anno, nato del signor Gio. Antonio, secondogenito del signor Diomede, primo conte di Matalone; il quale ebbe un altro fratello, che si chiamò il signor Don Alfonso conte di Montorio, il quale ebbe cinque figli maschi: il primo è il signor Don Ferrante, che è morto; il secondo, il signor Don Giovanni conte di Montorio, duca di Palliano e generale della Chiesa; il terzo, il signor Don Antonio marchese di Montebello; il quarto, il signor Don Francesco, che è medesimamente morto; e il quinto il signor Don Carlo, che è cardinale Caraffa: due femmine, nominate l'una Donna Branda, marchesa di Palliano, l'altra maritata nel signor Giovanni Antonio Torado, capitano generale delle battaglie dello stato ecclesiastico. Ha

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avuto anco il pontefice cinque sorelle: una monaca nella Sapienza; una maritata in casa Leonessa, che vive ancora; una in casa Carbona; una in casa della Tolfa al barone di Samo; la quinta in casa Cantelma al Conte di Popolo. Nacque Sua Santità nell' anno 1477, la vigilia di S. Pietro; e però, siccome disse a me un giorno ragionando domesticamente, essendo nato fra le feste di san Giovanni e di San Pietro, gli fu posto nome Giovan Pietro; e il Duca di Palliano mi disse un giorno, che la Signora Vittoria, madre del papa, alcuni giorni avanti che partorisse, diceva pubblicamente che aveva il papa in corpo. Entrò d'anni sedici nel Monastero di S. Domenico di Napoli, e ne fu cavato per forza dal padre. Nell' anno 1496 venne a Roma in casa del cardinale Oliviero, suo zio; il primo anno di Giulio II fu fatto vescovo di Chieti; dell'anno 1513 andò Nunzio in Inghilterra; richiesto da Madama Margherita, reggente di Fiandra, zia di Carlo V Imperatore, con buona grazia di Leone, passò in Ispagna con

esso Carlo, e da Sua Maestà Cesarea ebbe l'arcivescovado di Brindisi. Dell' anno 1522, fu chiamato da Adriano pontefice a Roma, col quale aveva avuta stretta amicizia in Ispagna, ed ebbe cura fino d'allora della riforma; e per la subita morte del papa, non fu fatto cardinale, secondo che questi ne aveva avuta intenzione. Dell' anno 1525 renunziò le sue due chiese liberamente in mano di papa Clemente, facendo una vita riformata con alcuni pochi preti: tra i quali era D. Bernardino, ora cardinale di Trani. Dell' anno 1527, dopo il sacco di Roma, venne in questa nostra città; dove fu tanto ben veduto e onorato, quanto molte volte mi ha detto, ed io l'ho scritto alla Serenità Vostra.

Stette in questa città fino all' anno 1536, che fu chiamato a Roma, e fatto cardinale da papa Paolo III. d' anni 59 della sua età. Dell' anno 1555, la vigilia dell' Ascensione, nell'anno della sua vita 79, fu creato pontefice, contro al

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