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stato conferito dal Gran Maestro a Fra Girolamo Adorno, che ora lo possiede. Pareva che il pontefice, essendo cardinale, non l' amasse nè stimasse molto; anzi ho inteso, che avanti il pontificato non lo vedeva volentieri e mentre stava in Roma non lo voleva in casa; forse perchè i costumi, che seguivano quella vita di soldato, non gli piacevano; ora tanto più gli piace quello che ei fa; e sempre che gli viene occasione, parla di questo suo nipote con tanto affetto, che lo dipinge per il maggior uomo che abbia mai avuto la Sede Apostolica. Di qui è che ognuno, in tutte le cose picciole e grandi, fa capo a lui, e tanto spera di potere ottenere, quanto egli vuole e promette; nè a Sua Santità si può fare maggior servizio e piacere, che in tutte le cose riconoscere il cardinale, al quale anco sempre rimette tutti i negozi importanti di stato. È ben vero che in dar benefizii, e molte cose ecclesiastiche, non ha quella compiuta autorità che ha in tutte le altre cose; ma se per avventura inclina a favorire persona, alla quale Sua Santità sia in qualche parte inclinata, le cose di quel tale riescono presto felicemente. Ha giudizio mirabile nel conoscere quello che piace al papa, e conosce mirabilmente le opportunità di condurre i suoi disegni a fine; non può sopportare alcuno che non riconosca ogni cosa da lui, e vuol essere riconosciuto per capo. Mette inanzi i suoi amici e servitori; trova occasione di vendicarsi dei suoi emuli e de' suoi nemici, e secondo l'uso della vita passata, dedito ancora ai piaceri, si diletta di caccia, di giuoco, di dar a mangiare e di mangiare con altri. È riputato da alcuni molto liberale; da altri, che giudicano che la liberalità sia, come è, il dare quanto, quando ed a chi si conviene, è interpretato che sia prodigalità lo spendere in alcune cose in che spende, ed avarizia il togliere a molti molte cose che toglie. Quel che ha da spendere per l'ordinario è cinquemila ducati circa di benefizii in Francia; milleduecento dell'abbazia di Mozzo nello

stato di Vostra Serenità, nel Friuli, ottomila della legazione di Bologna, e cinquecento ducati il mese che gli ha assegnato il papa, di quelli che capitano in mano del datario, per sua provvisione, oltra quello che gli vien donato, che è molto più di quello che si può credere.

Gli altri due fratelli sono, l'uno duca, l'altro marchese, tutti due di stati nuovi: l'uno del signor Marcantonio Colonna, l'altro del conte di Bagno (1). Il duca è molto modesto e gentile, e nel maneggio suo procede di modo che ognuno rimane sodisfatto. Ha costumi molto gentili, usa buone parole con tutti, e buoni fatti, quando può; parla molto bene delle cose; ha per moglie una di casa Aliffe, con la quale ha due figliuole; l'ultima, nata quando era alla corte, al battesimo della quale io fui invitato come ambasciatore di V. S. insieme con l'ambasciatore del re Cristianissimo; ed ha un solo figliuolo, il quale fu investito del marchesato di Cavi, ch'era di Marcantonio Colonna, il medesimo dì che a lui fu dato il ducato di Palliano. Esso si dimostra tanto tenero della moglie e di questi suoi figliuoli, principalmente del marchesino, che molti, quando non fosse napoletano (chè questa troppa tenerezza verso i figliuoli dicono esser propria di quella nazione) lo riprenderebbono, che eccedesse troppo i termini in questa parte. Esso ha carico di capitano generale della Chiesa; per il qual carico riscuote per quartiero novemila e sessanta ducati; cioè, tremila per il capitanato generale; quattromila dugentosettanta per dugento cavalli leggieri; seicento per sessanta alabardieri; e gli altri, che sono mille cento e novanta ducati, per li colonnelli e capitani. Ha da spendere, oltra di questo, quello che gli dà di utile il nuovo ducato; che sono da cinque in seimila ducati, oltra li presenti che sono (1) Giovanni Caraffa, duca di Palliano, tolto con altre terre a Marcantonio Colonna ; e Antonio Caraffa, marchese di Montebello, e d'altre terre nel Montefeltro, delle quali fu spogliato Gian Francesco da Bagno de'Conti

Guidi.

Vol. VII.

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fatti anche a Sua Eccellenza: le quali tutte cose appena suppliscono alle spese che fa della tavola e al trattenimento della signora duchessa, e del marchesino suo figliuolo; il quale, come ho detto, è così teneramente amato dal padre e dalla madre, che chi vuole la grazia loro, bisogna che onori, accarezzi e doni a quel figliuolo. Con quest'arte si dice avere acquistato il signor Vitellozzo Vitelli la grazia loro, intanto che l'hanno condotto al cardinalato, perchè il duca lo domandò in grazia al papa, come per suo figliuolo. Quanto questo signore vaglia nella professione dell'armi, non se ne avendo fatta esperienza, non posso dire cosa alcuna,

Il marchese è collerico in modo che diventa insopportabile a tutti; e potrebbe ben essere animoso nell'eseguire quanto gli fosse commesso, ma nel comandare non lo reputano atto a pigliare i buoni partiti e a lasciare i tristi.

Ha avuto due mogli: la prima, di casa Beltrame, colla quale ha avuto Don Alfonso cardinale di Napoli, ora di anni diciotto circa, e Don Gio. Pietro, che quando il cardinal suo fratello andò in Francia, menò con lui. L'altra che ha al presente, è di casa Brancaccia, colla quale non ha figliuoli, e per causa della quale è stato lungamente in poca grazia di Sua Santità, perchè la tolse senza sua licenza; e se non fosse stato l'amore che Sua Santità ha sempre portato a Don Alfonso suo figliuolo, parte per questo, e parte perchè sempre, quando più il pontefice si mostrava sdegnato contra imperiali, esso si dimostrava loro parziale ed affezionato, si crede che avrebbe minor grazia che non ha presso di lei.

Fra questi tre fratelli non vi è mai stata nè vi è buona intelligenza; perchè li due primi, maggiori, difficilmente sopportano che il minore, che è il cardinale, sia il maggiore; oltrechè hanno avuto sempre diversi pareri.

Il duca ed il marchese, come vassalli del re Cattolico, hanno sempre atteso alla pace, disegnando con quella di acconciare le cose loro in modo che potessero vivere ono

ratamente; e il cardinale, non contento della presente fortuna e aspirando a cose maggiori, ha desiderato sempre la guerra. Di qui è nato che, fra loro, ma principalmente fra il cardinale e il duca, sono successe molte volte parole strane, e vi è stato anco pericolo di venire a' fatti. Il marchese, avendo nell'animo anch'esso una mala satisfazione del cardinale, e fors' anche del duca, quando essi vollero dopo molte parole metter mano all'armi in presenza del maresciallo Strozzi, (perchè il cardinale consigliava che il marchesino si mandasse in Francia) andò riservato fin tanto che il pontefice fece cardinale suo figliuolo; dipoi si lasciava intendere apertamente con tutti, e parlava anco con irriverenza del papa che voleva la guerra e del cardinale suo fratello che la consigliava; facendo professione di esser nato vassallo dell'Imperatore e di volere morir tale, dicendo tanto male dei Francesi, che per avventura non si conveniva ad un nipote d'un papa collegato con loro. Le quali cose tutte ardiva forse di dire più liberamente, per il grande amore che conosceva che il papa portava al cardinale suo figliuolo (1); il quale amore è per la verità incredibile, e tale che pare, che il papa abbia collocato in lui tutte le grandezze e speranze di casa sua; avendogli dato finora più di diecimila ducati d'entrata. Lo vuole sempre presso di sè; e per tenerlo più occupato e alla sua presenza, ha introdotto che dica l'uffizio con lui; il che potrebbe produrre per avventura effetto contrario all'amore intenso che gli porta Sua Beatitudine; perchè, essendo il giovane di natura delicato, volendolo astringere a vita così stretta, oltrechè gli leva l'occasione di poter imparare in questa età per via di lettere, o praticando con uomini savii, lo potrebbe far cadere in qualche mala disposizione di corpo. Esso però non parte punto dai cenni di Sua Santità, ed abnegando tutti gli altri suoi piaceri e pensieri, attende solamente a

(1) Alfonso Caraffa, giovane di diciassett'anni, fatto cardinale nel 1557.

compiacere al papa, col quale, nel ricercar grazie e favori per altri, va molto riservato. Il padre di questo cardinale non ha da spendere che tremila ducati, che gli dà il marchesato, e trecento ducati il mese per il carico di Governatore, e quanto gli vien donato. E per concludere questa parte, sembra che il duca di Palliano abbia cercato, nell'assenza del cardinale suo fratello, di abbassarlo in alcune occasioni; e sebbene aveva tanto operato, che il papa proruppe contro di lui in quelle parole che scrissi, in presenza dei cardinali e dell'ambasciatore di Francia, tornò però subito in grazia; forse, oltre l'amor naturale che gli porta, per non aver occasione di consigliarsi e discorrere con nuove persone de' suoi disegni, non gli parendo poter trovare persona di cui si potesse fidare più che d'un nepote; e però ebbe poi, ed al presente ha più autorità che mai avesse con questo pontefice.

Questo principe (Paolo IV), degli anni, condizioni, forze e consigli che ho detto, ho trovato, fino al partir mio dalla corte, venticinque mesi in guerra, e sei in pace; e sebbene potessi dire in sola parola, che la guerra è stata di volontà e la pace di necessità, pure credo che sia bene il dir brevemente le cause dell'una e dell'altra.

La prima causa della guerra (1) è stata giudicata un odio invecchiato contro la nazione spagnuola, e particolarmente contro l'Imperatore; perchè (come ha detto a me) l'ha conosciuto troppo cupido di quel d'altri, e che abbia accresciuto gli errori di Martin Lutero, per estinguere l'autorità del pontefice e per questa via acquistare quel che avanzava d'Italia; e per questo mi ha detto, che parti dalla Corte. Di questa cupidità e permissione di eretici dell'Imperatore, ne sono piene tutte le mie lettere; siccome anco

(1) Di questa guerra tra Paolo IV e il Re di Spagna scrisse una buona storia Pietro de' Nores; la quale vedrà presto la luce nell'Archivio Storico Italiano in Firenze. Un pregevole commentario a cotesti avvenimenti offre pure la Relazione di Francia di Giovanni Soranzo, stampata in questa raccolta delle Relazioni Venete, Vol. II, Serie I, pag. 399-470.

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