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son piene, che mai parlava di Sua Maestà e della nazione spagnuola, che non li chiamasse eretici, scismatici e maledetti da Dio, seme di giudei e di marrani, feccia del mondo; deplorando la miseria d'Italia, che fosse astretta a servire gente così abietta e così vile. Si aggiungevano a questo le particolari offese fatte a lui cardinale, non gli volendo dare per gran tempo il possesso dell' arcivescovato di Napoli, nè del priorato a Don Carlo, allora, e al presente, cardinale Caraffa suo nepote, e il comandare a tutti i cardinali suoi dependenti, che non lo elegessero papa. L'hanno ancora eccitato assai le ingiurie, che Don Carlo pensò aver ricevute da quel Manriquez spagnuolo. Anco può essere, che la libertà d'Italia (come a me ha detto più volte ) l'abbia mosso; parlando dell'antica armonia di questa provincia in quattro corde: la Chiesa, Vostra Serenità, il Regno di Napoli, e lo Stato di Milano; chiamando infelici le anime di Alfonso d'Aragona e di Lodovico duca di Milano cognati, che furono i primi che guastarono sì nobile istrumento d'Italia; della quale, se altri non voleva aver cura, voleva almeno averla esso; e sebbene i suoi consigli non fossero uditi, avrebbe almeno la consolazione di avere avuto quest'animo, e che si dicesse un giorno: che un vecchio italiano che, essendo vicino alla morte, doveva attendere a riposare e a piangere i suoi peccati, avesse avuto tanto alti disegni. Ma quella che si giudica che sia stata la più prossima e la più potente cagione della guerra, è il disegnare di fare grande con l'armi la casa sua; perchè stando le cose quiete, non poteva sperare grandezze straordinarie di stato, e tali quali potessero cadere nei magnanimi suoi pensieri. Accumulare qualche somma di danaro, aver dell'entrate, pareva assai poco ai discendenti d'un pontefice di casa Caraffa. Per queste cause, subito che fu creato pontefice, disegnò di non lasciare alcuna occasione per venire a quest'effetto di guerra. Privò dello stato Marcantonio Colonna ed Ascanio suo padre, per

cose passate, dicendo che: considerando li mali portamenti di casa Colonna fin da Giovanni e Giacomo cardinali verso Bonifazio VIII, e dopo, quelli di Pompeo cardinal Colonna ai tempi di Giulio II e di Clemente VII; venendo anco alli particolari del signor Ascanio, che ingrato dei benefizii ricevuti, in una causa civile, essendo stato chiamato da Paolo III, non solamente proibisse il cursore a citarlo, ma abbruciasse le case de' suoi avversari e procurasse che fossero ammazzati (il che Paolo III giudicò che fosse abbastanza a privarlo dello stato, come fece); il signor Marcantonio Colonna, avendo cacciato il padre, e avendo avuto dispiacere della elezione di Sua Santità, e avendo appresso data fede di ritornare a Roma, e non vi essendo tornato, anzi essendo andato a sollecitare diversi principi alla guerra contro la Sede Apostolica, e proibiti i formenti che venivano a quella città, e di più, spogliati quelli che venivano con vettovaglie; però, padre e figliuolo, moniti che comparissero, non essendo comparsi, ed esso essendo vicario di Cristo, che può legare e sciogliere ogni cosa sopra la terra, e quello di cui è scritto: super aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem; li priva di tutti i suoi beni, terre, feudi, castella e luoghi, e li applica, come di ribelli, alla Camera Apostolica, con quelle più strette e orribili clausole, che si sogliono usare in simili casi. Di che non contenta Sua Santità, investì il conte di Montorio, suo nipote, del ducato di Palliano, e il figliuolo, del marchesato di Cavi il che fece una mattina all'improvviso, ordinando una congregazione e una cappella, che ognuno rimase confuso; e sebbene si vedeva chiaramente, che di qui erano per nascere molti disordini, non fu però cardinale alcuno che ardisse dir altro; quantunque dipoi il cardinale San Giacomo non volesse sottoscrivere la bolla. Ma prometto ben io alla Serenità Vostra, che nella cappella (la quale era quel giorno molto piena e molto frequente) tutti sta

vano con gli occhi fissi in terra, come presaghi di quello che poteva intervenire. A me disse il papa (volendo escusare questo fatto), che non bastava aver privati dello stato questi nemici di Dio di casa Colonna; perchè, anco altri erano stati privati da altri pontefici, e avevano poi ricuperato lo stato; il che essendo successo, perchè non era stato dato a particolari persone che lo volessero e sapessero difendere; esso perciò aveva voluto fare un passo più avanti, ch'era d'investire suo nepote, il quale lo difenderebbe e torrebbe altrui la speranza di poterlo ricuperare. Dimostravano inoltre questa sua inclinazione a muover l'armi, la ritenzione di diversi spacci imperiali, molti affronti fatti all'ambasciatore cesareo, ch'era il marchese di Sora; il quale, per verità, sopportava con molta modestia la ritenzione del Mastro delle Poste, il Tassis, e quella di Don Garcilasso, mandato dal re Filippo per chieder grazia dello stato di Marcantonio Colonna (1)..

Scopriva il pontefice questa sua volontà in fatti, facendo preparazione di esercito, e con parole, inveendo spesso contro l'imperatore ed il re suo figliuolo; dicendo in presenza di molti che era venuto il tempo, che sarebbero castigati dei loro peccati; che perderebbero li stati, e che l'Italia saria liberata. Il servirsi nei consigli ed aver per carissimi e confidentissimi dei fuorusciti appassionati, come erano monsignor della Casa, e Silvestro Aldobrandini, fiorentini, e monsignor Bozzuto napoletano, e tutta la famiglia del cardinal Caraffa, che è di senesi e di fiorentini, accresceva questa inclinazione di Sua Santità alla guerra. La quale scoprì poi palesemente, mostrando mala sodisfazione della tregua di cinque anni (2) della quale, la sera avanti che ne venisse la

(1) Giovanni de'Taxis, la cui famiglia, oggidì principesca, possiede ancora in gran parte il privilegio delle Poste in Germania. Garcilaso della Vega. Di questi atti si dolse il duca d' Alva nel manifesto di guerra pubblicato a Napoli ai 21 d'agosto 1556.

(2) La tregua di Vaucelles.

nuova in Roma domandando io al papa e al cardinal Caraffa, se ne avevano avviso alcuno, si guardarono l'un l'altro ridendo; quasi volessero dire (come mi disse poi apertamente Sua Santità) che questa speranza di tregua era assai debole. Nientedimeno, ne venne il giorno seguente la nuova; la quale, siccome consolò tutta Roma, così diede tanto travaglio e tanta molestia al papa ed al cardinale, che non lo poterono dissimulare. Diceva il papa, che queste tregue sarebbero la rovina del mondo, se non succedeva la pace; la quale esso voleva ad ogni modo introdurre tra questi due principi, per aver occasione con quel pretesto di mandare il cardinal suo nipote in Francia per disturbarla; a coprire la qual cosa, elesse anco il cardinal di Pisa legato al re Filippo, pel medesimo effetto; e giunto a Mastricht (sotto colore che aveva inteso, essere stato ordinato dal re che egli fosse ritenuto), lo mandò a rivocare. Il cardinal Caraffa, avuta questa nuova della tregua (la quale condusse a fine il Contestabile, nel tempo che il cardinal di Lorena era in Italia e trattava lega con Sua Santità) fu veduto stare parecchi giorni molto sdegnato; che non poteva vedere alcuno, ed ogni cosa gli faceva fastidio.

Dimostrò il papa inclinazione alla guerra e disegnò di farla con molto vantaggio, sollecitando, come ha fatto, la Serenità Vostra, offerendole la Sicilia, mostrando la facilità dell'impresa, li disegni che avevano l' imperatore e il re Filippo di farsi padroni del mondo; che estinta quella Sede, non v'era più riparo alla libertà della Serenità Vostra; che, lasciata questa occasione, non tornerebbe mai; che i figliuoli del Re (che si disegnavano fare, l'uno duca di Milano, l'altro re di Napoli) sarebbero in poco tempo italiani, e che quando si volesse, sarebbe facil cosa il cacciarli e liberarsene; perchè, dalla esperienza delle cose passate si aveva conosciuto, che i Francesi non sapevano nè potevano lungamente fermarsi in Italia; il che non fa la nazione spa

gnuola, che è come la gramigna, che dove si attacca, sta ferma: che s'ingannavano, se credevano di avere maggiori nemici degli Spagnuoli, che avevano tanta parte d'Italia e che desideravano anco il resto; e che il solo muoversi di Vostra Serenità condurrebbe la cosa a fine, per la riputazione sua e pel credito che ha nel regno di Napoli, e massimamente in quelle marine dell' Adriatico, che furono già sotto il governo di questa Repubblica. E perchè forse gli pareva aver detto troppo, mi disse in conclusione: che consigliava Vostra Serenità, in tanto moto del mondo, a star bene armata; chè non era cosa da prudente (come è riputato questo illustrissimo Dominio) lo stare a discrezione di eserciti armati e naturalmente poco amici. A questo effetto di eccitare la Serenità Vostra, furono anco in questa città Don Antonio, nipote del papa, il vescovo di Zante, e il Reverendissimo cardinal Caraffa.

Tre sono stati, a questi disegni del regno di Napoli e dello stato di Milano, i collegati: il papa, il re di Francia (che, persuaso dal cardinal Caraffa, ruppe la tregua) e il duca di Ferrara. Non fu veramente gran cosa il muovere il re di Francia con partiti del Regno di Napoli e dello stato di Milano, ai quali ha sempre aspirato quella Corona, per le ragioni che pretende avere; e molto più il presente re, dopo i felici successi sinora avuti, con tanti figli che ha, ai quali bisogna che pensi, fondandosi anche su ciò, che il re Filippo era fatto debole, per quanto si poteva giudicare, dalle tregue concluse per cinque anni (1) con tanto suo disavantaggio, offerendoglisi una lega d' un papa e d'un duca di Ferrara, dai quali aveva forse maggiori promesse, che non hanno atteso poi. Dico, che non fu gran cosa il muovere un re di Francia con queste cause e con questi disegni;

(1) Ai 15 di febbrajo 1556 era stata conclusa fra Carlo V ed Enrico II la pace di Vaucelles, e in quella occasione l'Imperatore aveva rinunziato i regni di Spagna e di Sicilia a Filippo suo figlio.

Vol. VII.

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