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chè è stimato intender meglio le cose della Corte, e non ha alcuna nobiltà di sangue, chè appena si sa chi è, e dove è nato: la qual cosa, dopo la morte d'un pontefice che ha messo sottosopra il mondo per rispetto dei nepoti, confidato nei gran parentadi che avea nel regno di Napoli, si crede che gli gioverà assai. Sono anche alcuni che discorrono del cardinal Cesis, cardinale vecchio, ricco e di molti parenti; ma come ho detto, non si può affermar cosa alcuna; perchè una o due promozioni di cardinale, o come dice quello: nox interposita, mutat omnem rationem consiliorum. Pare che questo pontefice attenda a non volere per successore nè il cardinal Polo, nè il cardinal Morone, avendoli voluti notare tutti due d'eresia. Ma chi sa quello che possa fare la potente mano di Dio! Disegnò papa Alessandro VI di non volere per successori nè il cardinale di Siena, che fu papa Pio III, nè il cardinale San Pietro in Vincola, che fu Giulio II; nientedimeno, l' uno e l'altro gli succedettero. In conclusione, siccome non posso affermare chi sia per essere papa dopo di questo, se non per quelle congetture che ho detto; così parmi di poter affermare, che, per ragione di stato, quello che sarà pontefice, sarà sempre o grande amico palese o non aperto nemico della Serenità Vostra; e più degli altri, quelli che saranno nati più bassamente e che avranno manco parenti.

Resta a dire di me e di quelli che mi hanno servito in nome di Vostra Serenità. Il segretario è stato messer Autonio Milledonne (1); il quale, ancorchè sia stato la maggior parte del tempo indisposto, ha tanto ben sodisfatto all' uffizio suo che non avrei potuto desiderar meglio; e però è molto ben degno della grazia di Vostra Serenità; ed io gli ho promesso in quelle tante sue fatiche di scrivere tante mani di lettere (chè sono stati, in tempo della mia lega

(1) Fu poi segretario dell' ambasciator veneto al Concilio di Trento, del quale scrisse una storia lodata dal Foscarini e dal Ranke. Del Milledonne havvi pure a stampa la vita, composta da Pietro Arduino, segretario del Senato.

zione, scritti quaranta registri di carta) che sarà dalla benignità della Repubblica riconosciuto il servizio suo; e sono certo che la Serenità Vostra gli farà conoscere all' occasione che ho detto il vero, e con l'esempio suo ecciterà gli altri ad usare la medesima diligenza che ha usato.

È stato mio coadiutore messer Ettore Ottobuono, giovane molto modesto e molto studioso, che ha sempre atteso diligentemente all' ufficio suo, di modo che esso è degno della grazia di Vostra Serenità; e certo spero che non sarà degenere dal magnifico messer Giovan Francesco, suo zio (1).

Di me dirò poche parole; non essendo più scrupolosa cosa che il parlare di sè stesso. Se in questa legazione ho fatta cosa alcuna, secondo il mio desiderio (che è di procurar sempre la grandezza di questa eccellentissima Repubblica ) rendo infinite grazie alla bontà di Dio, il quale si è degnato d' indirizzare al bene questa mia volontà in tempi di tanta importanza. È stata opera di Sua Divina Maestà, se io sono stato causa di alcun bene; e se io ho mancato (come, considerando me stesso e le forze mie, credo di avere mancato) è stata imperfezione mia. E certo, per quanto ha potuto stendersi la diligenza, fatica ed industria mia, mi sono sforzato di mostrarmi non indegno ministro di questa eccellentissima Repubblica; nè ho mai pensato a quella poca roba che avevo, nè al bisogno che potessero avere i miei figliuoli; stimando di non poter lasciare più ampio patrimonio, che avere speso il loro nel servizio di questo Stato. E certo, serenissimo principe, lo spendere è una delle più necessarie parti che si ricerchi in un ministro pubblico; perchè i principi e le repubbliche sono tanto stimati quanto li fa stimare chi li rappresenta; non dicendosi mai il nome o il cognome dell' ambasciatore, ma solamente chiamandosi ambasciatore dell' Imperatore, del re di Francia e della Signo

(1) Che fu uomo dotto e prudente, e Cancellier Grande della Repubblica.

ria di Venezia. Chi veste splendidamente, chi tiene stalla e famiglia onorata, chi alloggia in palazzi d'importanza, e finalmente chi dà da mangiare a chi ne vuole, fa grandissimo beneficio al suo principe. Con questi mezzi si conservano gli amici vecchi, se ne acquistano di nuovi, si confondono gli invidi, e si mostra che il suo principe è degno d'esser messo in considerazione. Io, se avessi avuto forze conformi all' animo, avrei del tutto, anche in questa parte, sodisfatto al debito mio. Ho almeno questa consolazione, che, eccedendo di gran lunga le forze mie, mi sono sforzato di conservare la dignità di questo illustrissimo Stato. Ho da ringraziare, come faccio, il Signore Iddio che, ritrovandomi il più obbligato cittadino che sia in questa Repubblica, per tanti e così continuati beneficii ricevuti in ogni tempo dalla Serenità Vostra, abbia riservata la mia legazione di Roma, pacata e quieta per il più, a tempo d' un' orribile carestia, di pericoli, di saccheggiamenti, non solo dai nemici di fuori, ma da quelli ancora di dentro, e ad una innondazione del Tevere, di tanto danno e pericolo, quanto è stata l'ultima. Convenivano a me ed al mio tempo questi travagli insoliti; perchè è stata anche insolita la cortesia e liberalità della Serenità Vostra verso la persona mia e dei miei. Sono qui, vedo quello che ho desiderato, la faccia del mio Principe e la faccia di questa eccellentissima. Repubblica; in beneficio della quale (come sono obbligato) non sarà cosa si grande ch' io non ardisca di fare, nè si piccola, ch' io non accetti allegramente.

·

APPENDICE

ALLA RELAZIONE

DI

BERNARDO NAVAGERO (1)

(1) Vedi la nota a pag. (400). Il seguente documento è tratto da un Codice originale della Collezione Capponi, segnato col num. CCXXIV, di carte 18 in-8°.

Vol. VII.

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