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e mandò a dimandare il papa che volesse esser con lui, e se era contento che venisse. L'orator nostro aveva commissione di persuadere il papa ad essere col Cristianissimo e colla Signoria nostra: nel che molto si affaticò, ma nulla gli valse. Al papa non piaceva tale venuta, e per via del Tricarico (1), suo oratore, buttò questa profferta al re: che saria bene torre di mano degli Spagnuoli il Reame di Napoli, e darlo al magnifico Giuliano suo fratello, duca di Nemours, che morì, ed era dabbene. E sopra questo si affaticò assai, perchè il papa non si contentava che il fratello fosse duca, ma lo volea far re di Napoli. Il Cristianissimo gli avria dato il principato di Taranto, e altre terre, ma il papa non volle; e sopra questo vennero diversi oratori al papa. Monsignor di Soglier e di... e di Boisi, e il papa diceva: quando il re voglia far questo accordo, saremo con Sua Maestà: e si stette sopra queste pratiche. Il Cristianissimo, avendo la promessa che il papa non gli saria contra, deliberò di venir potente, e così venne; e il papa subito si legò coll' imperatore, col re cattolico, col re d'Inghilterra e cogli Svizzeri ; e così si mostrò apertamente; chè prima pareva volesse esser francese e con la Signoria nostra. E mandò oratori, il vescovo di Veruli (2) per muover li Svizzeri, e all'imperatore, Marco Egidio dell' ordine degli Eremitani (3). Il quale andò con cinque frati del suo ordine vestiti di negro, sotto specie di muovere l'imperatore a far spedizione contro gli infedeli. E quando l' imperatore lo vide, gli disse: pater, ad quid venisti? male fecisti. Credo quod venisti ad faciendum exequias meas; et

(1) Lodovico Canossa, vescovo di Tricarico, poi di Bayeux. Si vede che l'ambasciator veneto era molto bene informato degli ambiziosi disegni di papa Leone, dei quali noi abbiamo presentate al pubblico prove irrefragabili nei documenti inseriti nell' Appendice dell' Archivio Storico, Tomo I, pag. 293 e seg.

(2) Ennio Filonardo, vescovo di Veroli, fatto poi cardinale, quasi decrepito, da Paolo III.

(3) Marco Egidio, viterbese, promosso al cardinalato nel 1517.

quantum ad suscipiendum bellum contra infideles, oportet prius reformare ecclesiam; postea faciemus expeditionem : e con questo lo licenziò. E così, quando uno prega e l'altro scaccia, natura vuole che si aderisca a chi prega: così fece il papa, e si aderì allora coi nostri nemici. E quando si era per venire a conflitto cogli Svizzeri, il papa stava molto ansioso, sperando che i Svizzeri vincessero; e lui oratore gli diceva: padre santo, il Cristianissimo in persona è tutto in ordine con bellissimo esercito marziale; gli Svizzeri sono a piedi, non bene armati; dubito che saranno rotti. Il papa diceva: non sono valenti uomini? e l'oratore rispondeva : padre santo, saria meglio che questi Svizzeri fossero contro infedeli. E in effetto morirono in quel conflitto ventiduemila Svizzeri, come il re scrisse al cardinale Sanseverino (1), che era. nominando bandiera per bandiera, ed il numero. Ora, venne prima la nuova che gli Svizzeri avevano avuto vittoria; onde il cardinal Bibiena (2) fece far fuochi e feste; e così fecero gli Svizzeri che sono alla guardia del papa, ed altri nostri contrarii. Poi, venuto l'avviso che gli Svizzeri erano stati rotti, non fu creduto; gli Spagnuoli millantavano ed il papa stava infra due. Giunsero lettere della Signoria; e subito l'oratore, ben vestito, andò dal papa che era ancora in letto; e non menò troppa comitiva. Pur chi lo vide sì ben vestito diceva: la nuova è vera; e vennero con lui a palazzo alcuni nostri prelati e altri nostri sudditi. E giunto alla camera del papa, trovò Serrapica (3), il quale disse che il papa dormiva; lui rispose: sve

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(1) Galeazzo Sanseverino, grande scudiere di Francia. Può ben darsi però, che, nell'esultanza della vittoria, il re Francesco esagerasse quel computo. Vedi il Guicciardini. lib. XII, cap. V. e il Giovio, Vita di Leone X, lib. III. (2) Bernardo Dovizii da Bibiena.

(3) Cameriere del papa, cui sappiamo da una lettera di Girolamo Negro (Lettere de' Principi) essere stato messo in prigione, dopo la morte del papa, per sospetto che si fosse appropriato certe masserizie preziose del padrone. Fu però assolto, e lo troveremo più tardi, molto mesto e positivo, a una caccia data dal cardinal Cornaro.

gliatelo; questi non voleva; e l'oratore riprese fate quel che vi dico. E così svegliato, e non vestito intieramente, il papa venne fuora e l'oratore gli mostrò la lettera della Signoria; vista la quale, cominciò a credere; e massime viste le lettere di messer Marco Dandolo e di messer Piero Pasqualigo, oratori nostri, e di Andrea Rosso segretario, che Sua Santità conosceva; e così si confermò che la nuova era certa. Ma prima, quando il papa venne fuora, l'oratore gli avea detto: Padre Santo, ieri Vostra Santità mi diede una cattiva nuova e falsa; io gliene darò oggi una buona e vera: gli Svizzeri sono rotti. Allora il papa, lette le lettere, disse: quid ergo erit de nobis, et quid de vobis? L'oratore rispose: di noi sarà bene, chè siamo col Cristianissimo re; e Vostra Santità non avrà male alcuno; e tolse licenza. Poi andò da Santa Maria in Portico (1), che la credette subito, dicendo: la Signoria non scrive il falso; poi dal Cornaro lì appresso; poi dal Grimani (2) ch'era lontano, e a Santa Maria del Popolo a pregar Dio per li morti. E venuto a casa, fece un poco di allegrezza di mangiare insieme con molti prelati nostri; e fu rotta una botte di vino, per darne a chi ne voleva qualche boccale per l'anima dei morti: nè altro suono o fuoco fu fatto. E questo notò, perchè il papa gli disse il giorno dietro: avete fatto festa; e l'oratore rispose: Padre Santo, in palazzo di Vostra Santità l'altrieri fu fatta, e non da me. Il papa disse: non siamo stati noi; è stato Santa Maria in Portico, senza nostra saputa. E raccontò l'oratore, che gli Svizzeri della guardia del papa minacciarono di ammazzarlo; e stette due dì che non andò a palazzo; e così fece Andrea dei Franceschi suo segretario, per timore di loro. E il papa disse poi: domine orator, vedremo quel che farà il re Cristianissimo; ci metteremo nelle sue mani, dimandando misericordia. L'ora

(1) Il cardinal Bibiena.

(2) Due cardinali veneti, già notati.

tore rispose: Padre Santo, Vostra Santità non avrà danno alcuno, nè questa Santa Sede; il re è figliuolo di essa (1).

Questo papa, che è savio e pratico di stato, si pensò di venire ad abboccarsi col re di Francia in Bologna, con vergogna della Sede. Molti cardinali, fra i quali il cardinal Adriano, lo sconsigliavano; pure vi volle andare. E venne a Bologna, ove arrivò il Cristianissimo; e lui oratore lo seguì con gran spesa e fatica; sì che ha preso strane malattie, delle quali si risente ogni dì. E lì a Bologna il papa e il re fecero gli articoli che allora non sigillarono, ma al presente li sigillano. L'oratore in questo viaggio stette fuora di Roma cinque mesi. Il papa ed i suoi medici non hanno altra fantasia che di far grande la prosperità della casa; e i suoi nipoti non si contentavano di esser duchi, ma pretendevano che uno di loro fosse re.

Poi raccontò, come l'imperatore venne con grande impeto in Italia; e indubitatamente i Francesi erano espulsi dallo stato di Milano, se non era che perse tempo ad Asola (come ieri riferì il clarissimo Gritti) e se non erano le nostre genti. E a questo il papa diceva: o, che matteria ha fatto quel Senato a lasciar andare a Milano coi Francesi le vostre genti, e a passar otto fiumi? che pericolo è il vostro? L'oratore rispondeva: la Signoria vuol per sempre essere a una fortuna coi Francesi, e non si dubita. E difatti quella fu la maggior cosa che fece questo stato; di mettere tutto l'esercito nostro in man dei Francesi, e non dubitare di lasciare scoperto il nostro stato. E il papa allora mandò subito gente in favor dell' imperatore, e sottomano, dicendo

(1) Da queste espressioni si può dedurre quanto fosse l'abbattimento del Pontefice alla nuova di quel disastro. Il Giovio, da vero panegirista, ci presenta a questo proposito papa Leone, siccome esempio d'imperturbabilità filosofica, e ne dice: « che coperse il suo dolore e compose il volto in modo, che graziosamente in pubblico e largamente rise, motteggiando gli Svizzeri della guardia, i quali allegri alla prima nuova della vittoria, facendone festa innanzi tempo, avevano molto piacevolmente in una collazione bevuto tutta la volta di vino dell' ambasciator di Milano ».

che Marcantonio Colonna era capitano libero e avea soldo dall'imperatore. Di questo gli oratori gallici si dolevano; e il papa si scusava; e il re Cristianissimo ebbe a dire in Francia al Tricarico: li capitoli fatti col papa sono da osservare tempore pacis et non tempore belli. Ora l'imperatore si levò, quando era aspettato a Milano, e suol far questo, che al bisogno volta le spalle, come disse a Roma un grand'uomo e gli oratori francesi e l'orator nostro instavano che il papa levasse monsignor di Veruli dalli Svizzeri, e mai volle farlo, anzi gli mandò denari per muoverli, e così fece il re d'Inghilterra, che gliene mandò buon numero: e negli Svizzeri ha speso il papa ducati cinquantottomila. Ora venne a Roma il vescovo di Lorena (1), uomo degnissimo, oratore del re di Francia, e amico della Signoria nostra, alla quale ha fatto sempre buoni ufficii; e l'oratore ha visto sue lettere scritte a monsignore di Lautrec, esortandolo a prender Verona, sì calde, che uno di questo Senato non l'avria tanto eccitato; dicendogli, che l'aver Verona era più beneficio del Re che della Signoria; e saria vergogna al Re a non l'avere, chè era la porta d'Italia. Ma per quanto gli oratori francesi e il nostro, e poi altri francesi ancora, in numero di otto, instassero presso al papa, tutto fu inutile. E non poterono questi oratori francesi ottenere la conclusione de' capitoli, chè il papa li mandava in lungo, e spediva messer Latino (2) in Francia a concluderli col Re; del che gli oratori s'ebbero a male: e ultimamente furono suggellati, come il papa disse all' orecchio dell' oratore, astringendolo che nol dicesse ad alcuno; e questo acciò nol sapessero gli oratori francesi.

Il terzo tempo è stato quello delle perturbazioni di

(1) Giovanni di Lorena, fratello di Claudio primo duca di Guisa. Vedi la nota 4, pag. 192 del vol. I delle Relazioni Venete.

(2) Latino Giovenale, adoperato in varie importanti missioni anche in seguito. Nel 1517 era Nunzio a Venezia, e Bartolomeo Bibiena lo teneva informato delle cose di Roma. (Vedi, Lettere de' Principi)

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