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Francesco Maria, olim duca d' Urbino, che molto premevano. Santa Maria in Portico, che è molto duplice, raccontava i colloqui avuti col papa, il quale diceva: non so se il re gli dia favore; della Signoria nol credo; e lui viene di lungo per avere il suo stato (1). E il nostro oratore diceva: la Signoria non se ne impaccierà. E giunta la lettera della Signoria, che lo accertava che non gli daria alcun favore, la mostrò al papa, che restò satisfatto. E così venne di questo tenore una lettera del Cristianissimo; eppure il papa stava di mala voglia, e gli pareva gran vergogna della Chiesa, che ad un duchetto basti l'animo di fare queste novità e il papa tremava, ed era quasi fuor di sè. In queste occorrenze sue, e in gran confusione, mandò a far fanti ; mandò per il signor Renzo da Ceri, che voleva ducati ottomila; per Giovan Paolo Baglioni, che voleva ducati novemila; per Troilo Savello, che ne voleva quattromila. E mandò gente in Romagna; e fece mala cosa, come facemmo noi quando fu rotto il campo (2): mandò duemila fanti in Ravenna, mille in Faenza, mille a Rimini, e cosi per quelle terre, e in Ancona. E l'oratore diceva: Padre Santo, che dubbio avete voi di Ravenna? la Signoria non ve la vuol togliere; spera bensì, che un giorno Vostra Santità, o qualche altro papa, gliela darà per i suoi meriti. Rispondeva il papa: non dubitiamo della Signoria; ma Francesco Maria cè la potria torre, e mettere una bandiera ec. E l'oratore replicava la Signoria ha posseduto Ravenna settant'anni. Poi giunsero di nuovo lettere della Signoria e del Re, circa il loro buon volere; del che il papa si cominciò a rallegra

(1) Ognun sa, che papa Leone, con nota d' ingratitudine, tolse lo stato d'Urbino a Francesco Maria della Rovere, per darlo a suo nipote Lorenzo dei Medici.

(2) Cioè l'anno innanzi. Il Cardona e Prospero Colonna erano corsi ardendo e saccheggiando sino alle lagune di Venezia. L'Alviano, condottiere dei Veneziani, assaltò di fianco gli Spagnuoli e i Tedeschi; ma poi volendo troppo inconsideratamente perseguitare i fuggenti, fu cagione che la vittoria si perdesse, e fosse rotto in gran parte l'esercito.

re, facendo provvisioni. Ed un fiorentino, Giuliano Leni (1), ricco di ottantamila ducati, che sta col papa, gli disse: Padre Santo, si vuol chiarire la Signoria di Venezia; e parlò della fusta di Zara, e di voler armare di qua una galea a tutte sue spese; e volle una lettera del papa, che gliela fece per il suo messo, che è questo messer Latino, che venne per questo; ma non allora, perchè il Bibiena diceva: non accade far questa prova, non bisogna; e il Medici diceva: sì, vuolsi mandare; e così hanno fatto questa esperienza, e alla fine l'hanno mandato. E lui oratore diceva: la Signoria ha da fare assai in armare le sue galere; sarà danno l' armare questa galea, perchè non si paga le ciurme che di tre mesi e si tien fuora più d'un anno; e la Signoria dovrà dare tutta la paga; e poi, che non sapeva se le galere erano in ordine. E con questo si scusava, dicendo: è meglio parlare liberamente e dire la causa, per cui non si può servire. E sopra questo, il papa negò di lasciarci fare mille fanti in Romagna; e non valsero malleverie al nostro oratore; anzi il papa fece un editto, che niun banchiere di Roma facesse partita al nostro oratore di più di cento ducati, senza sua saputa, sotto grandissime pene. L'oratore si dolse al papa così: Padre Santo, che cosa è questa? voglio giuocare a primiera ducati duecento; e non lo potrò fare, o fare qualche altra cosa? oh! per l'amor di Dio non si faccia. E il papa disse: non è stato fatto a mal fine; e non è così ec... Sicchè nulla ha potuto ottenere, fuori di qualche perdono (2). Ben è vero che ebbe il breve dei Pievani (3), che è bellissimo; ora si ha

(1) Anche Luigi Gaddi e Bernardo Bini gli prestarono grandi somme, sperandone largo compenso. La morte immatura del papa rovinò ambidue. I Salviati e il Ridolfi ebbero a perder meno.

(2) Indulgenze e grazie spirituali.

(3) Non saprei propriamente di quali pievani si tratti; ma è fatto singolare che nessuno ambasciator veneto tornasse da Roma, senza aver chieste e ottenute consimili grazie e privilegi ecclesiastici.

il jus patronatus; e il cardinal. . . aiutò a farlo, e rimosse quella parola: quasi jus patronatus; perchè lui oratore gli disse quasi unigenitus a patre non vuol dir genitus; ei vuol esser vero jus patronatus; e così quel cardinale gli fece il breve senza quasi. E al suo partire ottenne un breve, per l'amore che il papa gli portava (vedi come la Signoria gli scrive d'impetrarlo, e dà tante lodi a lui oratore); e il papa è contento di restituire le dette possessioni (1), ma vuole indugiare a più quiete di Romagna. Una volta contava doverle restituire; ma le hanno parte i Rasponi, parte Ramazzotto, parte Carlo da Mozzano; e sulla guerra non vuole il papa fare al presente alcun moto.

Poi disse che ora preme molto al papa questo abboccamento dei tre reali (2), dicendo, che sarà contro di lui e contro la Signoria. L'oratore rispose: contro di noi, Padre Santo, non può essere; il re di Francia ne ha dato lo stato e ultimamente Verona; il re di Spagna è stato il mezzano, e l'imperatore ne fu contento. Il papa aggiunse che, quando fecero l'altra divisione d'Italia (3), l'imperatore volle i Fiorentini per lui: e che, quando il cardinale di Santa Maria in Portico venne fino a Rubbiera per andare all' imperatore, per stare a cavallo sul fosso e tenere da chi vinceva, egli pagò al re Cristianissimo quattromila Svizzeri. Poi disse di aver parlato in casa del

(1) Forse s'intendono le due città di Ravenna e Cervia ed altre terre minori, che i Veneziani dovettero cedere a Giulio II per liberarsi dall'interhdetto. Il Ramazzotto era un ardito condottiere delle genti papali.

(2) Allude probabilmente all' abboccamento stabilito fra il re di Francia, di Spagna e l'Imperatore l'anno 1517; abboccamento che non ebbe poi luogo, per gelosia di Massimiliano. Vedi Guicciardini lib. XIII, cap. I.

(3) Subito dopo la presa di Milano, il papa venne a una confederazione col vincitore, Francesco I, della quale il Guicciardini riferisce gli articoli, lib. XII. cap. V. L'anno dopo, calato in Italia Massimiliano con esercito poderoso, mantenuto in gran parte dal re di Spagna, cui era molesta la grandezza del re di Francia, il papa (per stare a cavallo sul fosso, come dice il Giorgi, più che per adempiere agli obblighi della lega) mandava il Bibiena (cardinale di Santa Maria in Portico) per ispeculare dove inclinavano le cose; e al re Cristianissimo, sorpreso e sdegnato di questo simulato procedere, fece pagare dai Fiorentini lo stipendio d'un mese a tremila Svizzeri.

Vol. VII.

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reverendissimo Sangiorgio con un signor Lodovico di Montalto siciliano, da lui conosciuto quando studiava a Padova, e che era tutto del vicerè di Sicilia, e che era stato al re cattolico; il quale Montalto gli raccontava, che il re cattolico (1) è giovane d'anni diciassette, di poco... e il labbro di sopra signoreggia quel di sotto (il che in fisionomia è cattivo segnale); parla poco, non è uomo di molto ingegno; e monsignor di Clevers (2) lo governa, e gli ha fatto fare l'accordo col re Cristianissimo, acciocchè possa godere quello stato finchè sia grande. Questi non vuole che suo fratello, che è in Spagna, abbia alcun dominio; e neppur dargli i cinquantamila ducati che gli lasciò suo padre, nè alcuno stato per piccolo che sia; ma bensì dargli condotta di gente. E disse che madama Margherita (3) e il cardinal Sedunense sono per la parte dell' imperatore, e Clevers per la parte di Francia; alla quale è venuto anche il cardinal Curcense (4). E disse altre cose sopra queste materie, e concluse: che l'aiuto delle lancie trecento che gli manda Francia, non verrà di lungo; che quel re non si tien sodisfatto del papa; e che il re Cristianissimo è contento che Francesco Maria prosperi (5).

(1) Carlo arciduca d'Austria, re di Spagna (1516), e poscia imperatore quinto di questo nome (1519), era primogenito di Filippo il Bello duca di Borgogna, figliuolo di Massimiliano I. Suo fratello ebbe poi alla morte dell' avo gli stati ereditarii di Casa d' Austria, e nel 1531 la dignità di re de' Romani.

(2) Guglielmo di Croy signore di Chièvres, fu eletto a governatore di Carlo per insinuazione di Luigi XII. Ebbe sul giovane principe grandissima autorità, e fu principale motore della pace e confederazione perpetua stipulata a Parigi fra il suo allievo, uscito allora dell' età pupillare, e Francesco I di Francia.

(3) Zia paterna di Carlo V, che tenne in di lui nome il governo di Fiandra dal principio del 1508 fino al 1 decembre 1530, in cui morì. - Del cardinale di Sion o Sedunense si è fatto cenno più sopra.

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(4) Matteo di Wellenburg, noto sotto il titolo di Cardinal Gurgense, dalla diocesi di Gurk della quale prima fu vescovo. Fu fatto cardinale da Giulio II nel 1511 per sollecitazione dell'imperatore Massimiliano, del quale fu consigliere primario. Visse settantun' anni e morì a Salisburgo nel 1540.

(5) Nel 1517 Francesco Maria della Rovere, coi fanti spagnuoli e francesi che avean militato sotto Verona, allora ceduta ai Veneziani, riconqui

E poi disse della condizione del papa, il quale è d'anni quarantadue, compiti agli undici di dicembre passato. Ha qualche egritudine anteriore di risoluzione e catarro, e di altra cosa che non lice dire, (cioè una fistola). È uomo dabbene e liberale molto; ha buona natura, e non vorria fatica. E suo nipote Lorenzino è astuto e atto a far cose, non come il Valentino, ma poco manco. Quel magnifico Giuliano, che morì, era degno uomo; e due giorni avanti che morisse (lui oratore era a Fiorenza), chiamato il papa, lo pregò che non volesse fare alcun male nè privar dello stato il duca d'Urbino, dal quale la casa sua aveva ricevuto tanto benefizio, dopo la sua cacciata da Fiorenza; supplicando il papa di questa grazia. Sua Santità diceva: Giuliano, attendi a guarire; nè mai gli volle promettere, aggiungendo: non è tempo da parlare di queste cose. E questo faceva, perchè dall' altra banda Lorenzino gli era attorno per eccitarlo a torre a quel duca lo stato. E a questo proposito raccontò l'oratore, che quando il papa fu fatto, diceva a Giuliano: godiamoci il papato, poichè Dio ce l'ha dato. Sicchè il papa non vorria nè guerra nè fatica; ma questi suoi lo intrigano; e gli piacciono queste nostre terre di Ravenna e Cervia; perchè del sale, col ducato di Milano cioè col re Cristianissimo, ne trae cinquantamila ducati all' anno; il quale lo dette a Giacomo Salviati suo cognato (1). E sopra questo, disse della gran fatica che ebbe il papa per far passar li burchi del sale per le

stò il suo stato d' Urbino. Il re di Francia ne fu contento; ma poi, per non guastarsi affatto col papa, strinse seco una confederazione a difesa reciproca; per cui Francesco Maria perdette nuovamente lo stato.

(1) Il sale era una delle rendite più sicure e importanti per la Curia Romana. Papa Leone aveva promesso ad Alfonso d'Este di restituirgli Reggio nel termine di cinque mesi, se questi si obbligava a non far sale a Comacchio, ma a cavarlo invece dalle saline di Cervia. La promessa del papa non fu mai tenuta, e degli inutili richiami d'Alfonso si ha traccia nelle lettere del cardinal Bibbiena (Lettere di Principi). Affidò Leone questo ramo di finanza a Jacopo Salviati, marito di sua sorella, del quale avremo occasione di parlare anche in questo proposito nelle relazioni seguenti.

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