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più; che sono circa ottomila ducati al mese: e questi li spende in doni, e in giuocare a primiera, di che molto si diletta (1). E la cagione per cui l'oratore non ha dimandato quella decima, si è perchè non si conviene passare i mandati; ma ritiene che, pregato, la concederà. Ha concesso decime e in Spagna, e in Francia e in Ungheria, le quali quei re si godono; colla Francia permise di usarne con questo, che ne darà altrettante, andando contro infedeli. Poi v'è il cardinal di Sorrento (2), uomo d' ingegno, della razza di papa Alessandro, d'anni quarantasette. Poi il cardinale Farnese, romano, e i cardinali Aginense, Adriano (da Corneto), e Fiesco che è genovese. E questo Fiesco, che è il primo fra i quattro predetti, è arcivescovo di Ravenna, e vuol far battere monete; dice che ha il temporale e lo spirituale; e per questo non vorria la Signoria nostra che avesse Ravenna. Poi v'è il reverendissimo di Volterra, fiorentino, di parte contraria ai Medici, cardinale degno; il quale offerse alla Signoria li ducati duemila; ma non li volle accettare. Come scrisse, ama molto la Signoria (3); vuol venire in questa Terra, e andare a Vicenza al suo vescovato per mutar aria; che è malsano, ed è bene accarezzarlo e onorarlo. Poi v'è Aragona, disceso da quella casa reale; si dà titolo di reverendissimo e d'illustrissimo; è bizzarro molto; ha d'entrata ventiquattromila ducati. Il papa non si portò bene con lui; perchè questi fu uno di quelli che lo fecero papa: e non gli ha dato che adesso quattromila ducati sull' abazia di Chiaravalle. Il cardinale Adriano fu in questa Terra, ed era segretario di Giulio; e la Signoria l'ajutò a far cardinale; ma pare che aderisca

(1) Vedi intorno a queste cose il Giovio ed il Roscoe.

(2) Di questo e della maggior parte dei seguenti cardinali si è fatto cenno nelle relazioni che precedono.

(3) L'animo del cardinal Soderini verso la repubblica di Venezia si era mutato di molto, giacchè sette anni prima il Trevisano lo annoverava fra į gran nemici della Signoria. Vedi la relazione precedente.

Vol. VII.

alle voglie dell' Imperatore, e fa le sue facende. L'Aragona è nemico dei Francesi, e mostra amare la Signoria nostra. Poi v'è il nostro cardinal Cornelio (1), cui laudò sommamente; e il suo clarissimo padre, messer Giorgio, si può ben gloriare di tanto figliuolo. È giovane di anni.... ma cardinale eccellentissimo, dotto e liberale, e attende a cose di stato, e non cessa mai di affaticarsi per la Signoria nostra. È ben voluto dal papa, il quale non può stare senza di lui; e spende assai in caccie, di che il papa ha gran piacere. Può assai col papa; se Dio gli dà vita, questo stato potrà sperare assai di lui. Il cardinal Petrucci (2), giovane d'anni ventisei, è cervello senese. Poi vien Sauli (3) genovese, che pratica di mercatanzia come i suoi, ed è buon mercante. Del cardinal di Ferrara (che adesso è a Ferrara) disse, essere più atto alle armi che ad altro; ed è ricco. Il cardinal di Mantova è grasso, gottoso, mangia volentieri ostriche, ed ha mal francese. L' Arborense è vecchio e sta malissimo, e si può dire spacciato. Di Pietro Bembo (4), segretario del papa, nulla disse.

Laudo Andrea dei Franceschi, stato suo segretario, dicendo che è povero e bisogna dargli più salario; e Girolamo da Canale suo cogitore (5): concludendo che egli, oratore, è stato due anni legato in travagli; ed ora che la Signoria nostra è tornata in riputazione per la ricuperazione del suo stato, il suo clarissimo successore Marco Minio

(1) Vedi la nota ottava al sommario della relazione di Paolo Cappello (1510) (2) Alfonso dei Petrucci, figlio di Pandolfo signore di Siena, fatto cardinale da Giulio II e strangolato nel 1517 in Castel Sant' Angelo, per ordine di Leone X; contro la vita del quale, secondo tutti gli storici contemporanei (tranne il Garimberti), vuolsi che congiurasse.

(3) Bendinello Sauli, patrizio genovese, fatto cardinale da Giulio II, condannato a perpetua carcere, come complice della congiura del Petrucci contro Leone X; ma poi liberato, mediante una grossa somma di danaro. Morl in Roma l'anno seguente.

(4) Di Pietro Bembo, creato cardinale da Paolo III nel 1539, sono piene le storie.

(5) Vale a dire scrittore.

potrà negoziare meglio di quello che ha fatto lui; che per sua mala sorte, nulla ha potuto ottenere dal papa in questa sua legazione. E laudò l'orazione che fece il suo successore al papa nella prima udienza; e ciò disse in mezzo al suo arringo a certo proposito, aggiungendo che quegli sarà gradito a Sua Santità. Ed essendo disceso dalla tribuna, il Principe, giusta al solito, lo commendò molto dicendo: questi sono uomini da mandare attorno come legati; ed altre parole che non occorre scrivere.

E nota, che io di sopra ho tralasciato, come nella detta relazione il prefato messer Marino Giorgi parlò di tre altri cardinali, cioè: del cardinal d' Ancona (1), che fu quello che ha gran fantasia alla giurisdizione del Golfo, per far benefizio agli anconitani, a' fiorentini e ad altri sudditi del papa, e soprattutto a Ferrara. Tuttavia ci ha fatto il breve dei pievani, che è bella cosa. Poi del cardinal del Monte, il quale. . . . (2); e del cardinal de' Grassi (3), bolognese, stato in questa Terra; che sono tre savi cardinali. Inoltre disse di quel di . . . . . ferrarese (4), il quale ebbe tre sentenze conformi in Rota, nè gli bisogna altro che la sentenza esecutoriale contro la Signoria nostra, per le diecimila staia di frumenti, che furono tolti, a' tempi di guerra, dai nostri che erano e voleva scomunicare ec. e il detto cardinale trovò tale espediente che era stato preso Giustobello. E così lui oratore tolse a provare, ed è vero, che questo avvenne mesi quattro avanti la pace fatta con tutta Italia, nella quale si rimettono hinc inde li danni fatti; dun

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(1) Pietro degli Accolti, di Arezzo, vescovo di Ancona, fatto cardinale da Giulio II.

(2) Antonio del Monte Sansovino, fatto cardinale da Giulio II, e zio di un altro cardinale di questo nome, che fu poi Giulio III.

(3) Achille dei Grassi, del quale abbiamo già fatta menzione.

(4) Credo che si accenni al cardinale Ippolito d'Este, il quale voleva dai Veneziani un risarcimento dei danni cagionati al di lui fratello Alfonso nelle scorrerie del 1516. Nè d'Antonio Gennari, nè della scomunica della comunità di Chioggia, trovai memoria.

que costui non può dimandare; e bisognerà che il papa faccia qualche scrittura. Inoltre, di quell' Antonio Gennari di Salò, il quale, per sentenze avute in Rota, scomunicò la comunità di Chioggia. È già tanto tempo che il detto cardinale trovò questo espediente di dar sicurtà per ducati cinquecento, che a lui tocca di pagare alla cassa; del resto non gli si faccia contra; e a questo modo si sospende la detta scomunica.

SOMMARIO

DELLA

RELAZIONE DI ROMA

DI

MARCO MINIO

2 GIUGNO 1520 (1)

(1) Diarii inediti di Marin Sanuto, Vol. XXVIII. pag. 463. (Biblioteca di San Marco).

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