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CENNI BIOGRAFICI

INTORNO A MARCO DANDOLO, ANTONIO GIUSTINJANO, LUIGI MOCENIGO

E PIETRO PESARO, ORATORI AD ADRIANO VI.

MARCO DANDOLO

Marco Dandolo, figliuolo di Andrea e di Orsa Giustiniano, nacque in Venezia ai 25 di marzo 1458. Studiò umane lettere sotto Giorgio Merula, indi recossi alla Università di Padova, ove fece assai profitto nella filosofia, e nel diritto civile e canonico. Ritornato in patria, sostenne varie magistrature. Nel 1490 andò ambasciatore straordinario a Ladislao VI re di Boemia e d'Ungheria, per congratularsi a nome della Repubblica del suo avvenimento al trono di Ungheria. E in Ungheria fu ancora spedito nel 1492 insieme con Paolo Cappello, per esortare Ladislao a far la guerra ai Turchi. Nel 1493 fu mandato oratore straordinario a Giovanni Alberto re di Polonia, allora succeduto a Casimiro suo padre. In luogo di Girolamo Lione fu poi scelto legato nel principio dell'anno 1496 a Lodovico Sforza duca di Milano, presso il quale stette venti e più mesi. Ai 3 d'agosto 1501 era stato nominato ambasciatore a Roma, ma nel gennajo dell'anno seguente rifiutò questo carico, perchè il Collegio non gli volle accrescere lo stipendio di cento ducati al mese, da lui richiesti per sopperire alla grande carestia ch'era in Roma. Nel 1501 ottenne la veste di Savio di Terraferma, e l'anno seguente fu scelto per legato ordinario in Francia presso Lodovico XII. Ritornato dalla sua legazione, fu nel 1504 spedito Provveditore nel Polesine, per riparare ai danni prodotti dalle acque. Nell'ottobre del 1506 andò oratore straordinario a Napoli, insieme con Giorgio Pisani, per congratularsi con Ferdinando di Aragona del suo felice arrivo in quella città. Resse la città di Brescia, come Capitano, nel 1507, e vi si trovò allorquando fu presa dalle armi francesi. Sarebbe stato allora in facoltà del Dandolo di partire, attese le capitolazioni fatte dai Bresciani col Re; ma egli si ricovrò nel Castello per difendervi i diritti della Repubblica, disprezzando le offerte fattegli da parte del Re di eleggerlo Gran Cancelliere di Francia. Breve fu però la sua resistenza; e fatto prigione di guerra, i nemici lo condussero in Francia, Il Dandolo spendeva colà la maggior parte del suo tempo negli studii, ai quali giovavano alcuni libri della real biblioteca. Fatta l'alleanza coi Francesi nel 1513 e rilasciati i prigioni, il Dandolo rimase in Francia ambasciatore ordinario della Repubblica. Fu uno dei principali che persuasero il re Lodovico a ripassare in Italia per liberarla dagli avversarii, promettendo l'assistenza dei Veneziani, Ma rimasti interrotti colesti ufficii per la morte di quel re, Francesco I suo successore scese in Italia, seguendolo lo stesso Dandolo. E fu allora che i Francesi coll'aiuto dei Veneziani ottennero la importante vittoria sopra gli Svizzeri,

Nel 1516 fu eletto al governo del Regno di Candia, come Capitano; e nel 1519 ebbe in patria il magistrato senatorio chiamato Sopra gli Atti. Nel 1521 fu uno dei XLI che crearono il Doge Antonio Grimani. Asceso al soglio pontificale Adriano VI nel 1522, Marco Dandolo fu uno dei sei oratori destinati alla solita ubbidienza, e tenne al Papa un discorso col quale assicurava sua Santità, che la Repubblica era disposta alla pace coi principi cristiani, qualora ognuno si accordasse a fare la guerra ai Turchi. Fu poi dei XLI che elessero doge Andrea Gritti nel 1523; e in questo stesso anno fu trascelto con otto altri ambasciatori per rallegrarsi con Clemente VII della sua assunzione alla sede papale; ma non partirono, attesa la guerra che ardeva per ogni lato d' Italia. Intanto il Dandolo fu in patria Savio del Consiglio e Consigliere; finchè nel 1529 ai 19 di dicembre, con altri cinque colleghi recossi a Bologna, col fine di esprimere a Clemente VII e a Carlo V la sodisfazione della Repubblica per la pace stabilita, e rallegrarsi col Papa della sua esaltazione.

Il Dandolo morì in Venezia d'anni settantasette, ai 15 di maggio 1535. Il suo ritratto dipinto dal Tiziano nella Sala del Maggior Consiglio, fu arso infelicemente con tutti gli altri nell'incendio del 1577. Amico dei letterati, egli lasciò varie sue produzioni, tutte inedite, tranne una, che è: Marci Danduli doctoris et equitis oratio ad Ferdinandum Hispaniae et utriusque Siciliae catholicum Regem, habita Neapoli in Castello Novo, V Kal. ianuarii 1507. (senza luogo, tipogr. ed anno) in 4.o; orazione che fu riprodotta nel 1559 fra quelle impresse nell' Accademia Aldina, ed altrove. Fra le inedite opere, evvi: Oratio in laudem SS. Crucis, ed anche: Cathena in L Psalmos ex graeco versa, cum ejusdem expositione, siccome ci narra il Sansovino. Il Padre Giovanni degli Agostini nel T. II degli Scrittori Veneziani stese le notizie di questo Marco Dandolo, dalle quali furono tratte in succinto le presenti.

ANTONIO GIUSTINIANO

Antonio Giustiniano, figliuolo di Paolo e di Alba Querini, nacque a Venezia nel 1463. Iniziato nelle belle lettere e in tutti gli studii convenienti alla sua condizione, fu nel 1498 lettore di filosofia e di teologia in patria. Nel 1501 fu ammesso nel novero dei Senatori estraordinarii; e ai 9 di febbrajo 1502 fu spedito ambasciatore residente presso Alessandro VI. In Roma stette qualche tempo anche sotto Giulio II; anzi offerse genti al sacro Collegio, perchè fosse libera la elezione del Pontefice perturbata da Cesare Borgia. Sforzossi pure di persuadere Giulio II a non prestare orecchio ai maldicenti della Repubblica circa le terre di Faenza da essa occupate. Nel 1503, appena tornato dalla legazione, fu nominato Avvogadore del Comune, e nel 1504 Savio di Terraferma; cariche ch' ebbe poscia altre volte. Nel 1507 fu mandato Podestà a Bergamo; nel 1509 era Provveditore generale dell'armi a Cremona, quando gli venne ordinato di recarsi a Massimiliano d'Austria, per disporlo

anche con dure condizioni alla pace colla Repubblica. Tutti gli storici dicono che, sebbene giungesse a Trento ov'era l' imperatore, il Giustiniani non potè mai essere ammesso all'udienza: anzi da documenti riferiti dal Baroni nella sua Idea della storia della Valle Lagarina e del Roveretano (70, 85), sembra che il Giustiniano non abbia potuto andare al di là di Rovereto; e così risulta dai libri secreti. Quindi dicono che gli convenne ripatriare senza aver potuto esporre a Massimiliano le sue commissioni, e nè anche parlare col Vescovo di Trento, il quale protestava di non voler avere corrispondenza cogli scomunicati (1). In questo anno medesimo 1509 fu Provveditore generale delle armi nel Friuli, e ricevette dagli abitanti di Pordenone il giuramento di fedeltà colle condizioni notate già dal Palladio nella sua storia (II. 96), e assisteva indefessamente alla difesa di Udine. L'anno 1510 fu spedito Provveditore in Po contro il Duca di Ferrara. Nel luglio del 1511 fu per la seconda volta inviato oratore straordinario a Massimiliano per nuove trattative di pace; ma è certo che, giunto a Feltre, ebbe salvocondotto per dimorare solo otto giorni nei suoi stati; che, avendo intanto il Giustiniano parlato coi ministri imperiali, questi disprezzarono le condizioni che proponeva, e fu licenziato; che poco dopo, chiamato di nuovo a conferire, nulla potè conchiudere: della qual cosa avvisato da lui il Senato, questi lo richiamò a Venezia, senza che abbia potuto vedere, non che parlare a Massimiliano. E il Priuli dice che « l'interesse di stato fu quello che mosse l'Imperatore a non volerlo ammettere, per non rendere con ciò ingelositi i principi confederati » (2).

(1) È celebre la orazione che il Guicciardini dice tenuta in quest'anno 1509 da Antonio Giustiniano a Massimiliano imperatore; dalla quale in sostanza apparisce, che il Giustiniano per ottenere la pace abbia, in nome del Senato, offerto all'imperatore, non solo tutte le terre che i Veneziani tolsero all'impero, ma anche tutto il dominio loro di Terraferma; e di più un perpetuo tributo di ducati cinquantamila, promettendo inoltre obbedienza ai decreti dell'impero ec. ec. Sono non meno celebri gli scritti che contro alla verità di questa orazione e in pro dei Veneziani furono dati alle stampe. (Leggasi fra gli altri il Foscarini. « Della Letteratura Veneziana p. 264-266; e il Daru, libro XXII p. 62 e seg. ediz. di Capolago 1833.) Ma a dir vero i difensori della Repubblica, e quindi gli oppositori al Guicciardini, presero la faccenda con troppo calore; imperciocchè se è vero che il Giustiniano non fu ammesso a colloquio coll'imperatore (e quindi non avrebbe mai potuto tenere dinanzi a lui quella o consimile orazione) è certo però che tanto le sue commissioni, quanto quelle di frate Giovanni tedesco, priore della Trinità, mandato in istretto incognito a Trento (perchè se il Giustiniano, come ambasciatore, non potesse avere udienza, procurasse di averla egli, come l'ebbe, travestito da semplice privato), contenevano in sostanza i concetti esposti con ampollosità oratoria dal Guicciardini. E ciò viene provato non solo dalla storia del Bembo (dell'edizione fatta sull'originale per cura dell' abate Morelli nel 1790, non già delle edizioni latine e italiane anteriori, le quali sono tutte mutilate ); ma eziandio dagli autentici libri secreti e misti, che col superiore permesso ho più volte examinati nell' Archivio diplomatico di Venezia. Dai quali in sostanza si rileva, a quanto dure condizioni si sarebbe sottoposta la Repubblica, se Massimiliano avesse voluto esaudire le sue preghiere; come avrò a spiegar meglio nelle Iscrizioni veneziane, ove tratterò di Antonio Giustiniano.

(2) Il conte Litta non sarebbe lontano dal credere, che la predetta orazione, poVol. VII.

11

Ai 19 di ottobre 1511, fu eletto oratore in Ispagna; ma non partì, e andovvi in suo luogo Giovanni Badoero. Seguita la ricuperazione di Brescia, il Giustiniano nel febbrajo del 1512, vi fu spedito come Provveditor generale; ma ripresa poco dopo dai nemici, vi fu fatto prigione insieme con Andrea Gritti, ed amendue furono mandati in Francia. Il Giustiniano, mediante un grosso riscatto, potè nello stesso anno ripatriare, e fu fatto Savio del Consiglio; e nel 1513 deputato dal Senato alla trattazione della lega coi Francesi. Ai 19 di agosto 1513 fu eletto ambasciatore straordinario a Costantinopoli, per rallegrarsi con Selimo della sua successione all'impero, e per confermare con esso la pace; per ratificare la quale fu accompagnato nel ritorno da Alim bei ambasciatore di Selimo. Nel 1514 ebbe la carica di Capitano in Candia. Nel 1517 ai 14 di maggio fu eletto ambasciatore ordinario a Francesco I, re di Francia; e nel seguente anno conchiuse tra l'Imperatore Massimiliano e la Repubblica una tregua duratura per anni cinque. Nel 1520 fu scelto a Consigliere del sestiere di Cannaregio; nella qual carica, essendo il più giovine de' suoi colleghi, incoronò nel 1521 il doge Antonio Grimani. Nel 1522 era stato inviato con altri ambasciatore a papa Adriano VI per prestargli la solita obbedienza. Fu rieletto consigliere nel 1523, e più volte negli anni antecedenti ebbe la carica di Savio del Consiglio. Venne a morte in Venezia d'anni sessantacinque nel 1528.

LUIGI MOCENIGO

Luigi Mocenigo, sopranominato dalle gioie, fu figliuolo di Tommaso e di una figlia di Andrea Morosini. Fu eletto Savio agli Ordini nel 1501; e nell'agosto del 1502 oratore al Re dei Romani. Vi stette quattordici mesi, e fu nel 1504 creato cavaliere da Massimiliano. Tornato in patria, riferì le sue gesta nel giugno dello stess' anno, e ne riscosse applauso. Nel giugno del 1505 fu nominato ambasciatore in Francia; e nel 1508 Vicedomino a Ferrara, poi Savio di Terraferma; poi nel 1509 oratore al Re dei Romani per trattare accordo, ma non fu ricevuto; e questo gli avvenne un'altra volta nell'anno medesimo, mandato per lo stesso oggetto con Giovanni Cornaro. Negli anni 1509 e 1510 fu Provveditore a Treviso con grande autorità; e in più incontri diede prove della sua maestria nelle cose militari, e per lui poteronsi ricuperare alcune terre. Non potè però isfuggire alcune taccie dategli intorno all' amministrazione della guerra; e nel settembre 1510 fu chiamato a giustificarsi, e fu assolto. Nel 1511, eletto Provveditore generale del Friuli, di

sta in bocca al Giustiniano nel 1509, potesse spettare invece all' anno 1511; cioè, quando per la seconda volta il Giustiniano fu spedito a Cesare per trattare la pace. In effetto, se il Giustiniano avesse potuto presentarsi, i concetti delle sue nuove commissioni erano anche questa volta molto umilianti per la Repubblica. Ciò appare manifestamente dalla suddetta storia del Bembo (ediz. 1790 vol II. P. 272); e dai libri secreti da me pure esaminati; dei quali farò più lunga menzione a tempo opportuno.

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fese quanto potè Gradisca, ma fu costretto di arrendersi. Non è però vero che sia rimasto prigione, come dice il Guicciardini; poichè venne a Venezia nel mese stesso, ch'era il settembre; fu processato per avere abbandonato il luogo, e fu anche nel 1512 pienamente assoluto (Sanuto XIV. 82.) Nell'anno stesso 1512 era stato eletto oratore al Duca di Urbino; e nel 1513 oratore in Francia; ma per circostanze familiari non accettò. Era Capo del Consiglio dei X, allorchè nel dicembre 1515 fu eletto ambasciatore straordinario a Selimo, per rallegrarsi degli acquisti da lui fatti in Persia. Vi stette un anno, e ripatriò nel 1518. Varii ufficii senatorii ebbe in patria negli anni seguenti 1519, 1520, 1521, è varie volte fece udire la sua eloquenza nelle diverse materie trattate. Nel 1522 fu scelto legato straordinario ad Adriano VI per la sua elezione al papato; e nel 1523 fu dei tre Senatori inviati a Cesare per trattare della lega contro i Turchi. Anche del 1524, 1528, 1529 parlò varie volte in Senato, e gli storici Sanuto, Parula e Morosini registrano le sue concioni. In quest'ultimo anno fu uno degli ambasciatori in Bologna a Clemente VII e a Carlo V; dal quale, come gli altri, venne magnificamente regalato. Finalmente quest' illustre senatore morì in Venezia nel dicembre del 1540 o 1541. Altre particolarità intorno ad esso trovansi nel Volume II delle Iscrizioni Veneziane, pag. 154-156.

PIETRO PESARO

Pietro Pesaro, della contrada di San Benedetto (della quale illustre famiglia sussiste ancora colà il palazzo di bella architettura gotico-lombarda del secolo XV) era figliuolo di Niccolò e d'una figlia di Giovanni Cappello. Sembra dalle Genealogie di Marco Barbaro, che nel 1502 egli sia stato approvato per l'ingresso nel Maggior Consiglio; nel quale anno egli si sposava alla figlia di Luigi Priuli. Il Pesaro diedesi, nei suoi prim'anni, alla mercatura, come la maggior parte dei nostri patrizii; e avendo per questo mezzo incontrata molta dimestichezza con Arrigo VIII re d'Inghilterra, ebbe la permissione dal Senato di spedirgli un gran numero di archi e cinquecento botti di malvagia, siccome attesta lo storico Bembo, all'anno 1511. Il Sanuto, a questo proposito, dice: che ai 4 di settembre 1510 venne da Londra il Pesaro, recando una lettera del Re d'Inghilterra alla Signoria, colla quale la pregava a lasciargli « trarre archi quarantamila; e fu accordato contro la legge che ne mandasse una partita ». Era dei Pregadi, quando nel 1520 fu eletto Provveditore a Salò; ed era Capo del Consiglio de'X, quando ai 22 di agosto 1522 fu scelto con Antonio Giustiniano, Luigi Mocenigo, Marco Dandolo, Marco Foscari e Vincenzo Cappello, ambasciatore ad Adriano VI, per congratularsi della sua creazione; se non che giunti a Bologna, convenne che ritornassero a cagione della pestilenza: sedato però il malore, v' andarono e furono con ogni onorificenza ricevuti. In questo medesimo anno, ai 6 di luglio, giusta la parte del Maggior Consiglio dei 15 giugno precedente, fu uno dei tre eletti alla carica di Procuratore di

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