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più presto che venire più oltra. Quivi essi oratori non vollero smontare, ma andarono a Terni; e il Dandolo, dopo desinare, fece lo stesso; e là si trovarono tutti quattro gli oratori riuniti. I quali dissero dei bellissimi apparati e trattamenti fatti loro dalla moglie del signor Orazio Baglioni (1) in un suo castello, nominato Spello; dove capitarono e stettero un giorno e mezzo in grandissimi trionfi e feste, trattati da imperatori, come afferma Niccolò Sagondino segretario. E perchè entrarono di sera, ciascuna fenestra e casa delle strade dove passarono, anzi di tutta la terra, era piena di luminarie, di spari di artiglieria, di rachette, di fuochi artificiali, di fontane di vino, d'archi trionfali; San Marco per ogni loco, per infimo che fusse; cantar versi in lode dei Veneziani; fatte tre orazioni luculentissime agli oratori; instrumenti musici di qualunque sorta; corteggiamenti di donne, e balli; camere adornate, letti soavissimi e profumati. Ma tali delizie costarono care; perchè, avendo trovato il cammino per la gran gente infettato, fu loro necessario pigliare la via di sopra per venire in Assisi per montagne asprissime e fangose; sicchè per fare sole venti miglia, stettero quattordici ore a cavallo senza cavar briglia; dovendo smontare in infiniti luoghi; e nè pure smontati erano sicuri dal precipizio; e li cavalli lo sentirono, che ne morirono quattro; tra i quali una chinea di messer Foscari, assai gentile, e dodici se ne ripresero.

Andarono poi tutti proseguendo il viaggio sino a Castelnuovo, miglia quattordici di qua da Roma, loco sicuro da morbo; e si fermarono in un' osteria di fuori, in bellissimo sito, per aspettare l' orator Mocenigo; essi erano giunti il martedì, e lui giunse la domenica. In quel mezzo passarono di lì gli oratori di Fiorenza, e se ne andaron sotto Roma nella Vigna de' Medici, palazzo bellissimo, per en

(1) La moglie di Orazio Baglioni era figliuola di Pandolfo Petrucci signore di Siena.

Vol. VII.

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trare in Roma inanzi ai nostri. E spacciato qualcuno a Roma, il papa ordinò che i nostri oratori entrassero prima dei Fiorentini. E così, il mercoledì mattina, si avviarono alla sfilata, a prima porta, cinque miglia di qua da Roma, spingendo sempre tutti i carriaggi. E vennero incontro alquanti dei nostri da Roma; e fatti passare prima i carriaggi, si avviarono assai disordinatamente, e incontrarono per cammino vescovi e prelati nostri, e messer Alvise Gradenigo, orator nostro. E cavalcando per alcuni bellissimi prati, vennero ad una vigna del maestro di casa, che fu di papa Leone, mezzo miglio fuori di Roma; dove, passati per un bellissimo giardino, smontarono in una casa buona e onorevole; nella quale erano preparate di tappezzerie e di panni di seta tutte le camere per i detti oratori, a ciascuno la sua, per potersi spogliare: e nella sala due bellissime credenziere di argenti, con una tavola carica di tutti i più nobili rinfrescamenti che in Roma si potessero trovare, e vini preziosissimi di molte sorta. Tutte queste cose furono fatte fare dal papa; il che diede grandissima meraviglia ad ognuno; perchè egli non suol fare così a niun principe che venisse a Roma.

Arrivarono ivi a ore diciotto; e per riposare e mutarsi e rinfrescarsi, consumarono due ore. E gli oratori avevano deliberato di entrare in veste ducale; tuttavia, a persuasione di messer Girolamo Lippomano (1) ivi esistente, e di qualche altro, deliberarono di entrare in roboni, e quasi in zimarre. Il Dandolo aveva una vesta increspata sulle spalle e al collare, con maniche assai larghe di zendado d'oro tirato, con le maniche, una in braccio per la briglia, l'altra fuori del braccio per la berretta; la qual vesta era a opere di fiori granati, lunga fino al collo del piede, fode

(1) D'illustre famiglia veneta, e padre di quel Gerolamo che fu ambascialore a Torino, in Polonia e a Costantinopoli. Vedi la sua relazione del duca di Savoja nel T. V delle Relazioni degli ambasciatori Veneti,

rata di vaio, con una grossa catena sopra, e in testa un berretto di veluto nero. Messer Alvise Gradenigo aveva una vesta ducale di raso nero, foderata di dossi. Messer Alvise Mocenigo, una vesta di alto e basso nero, foderata di raso nero, fatta alla foggia di quella che porta il Paceo (1) oratore anglico, increspata, con un collare dentro alto e largo, maniche corte e faldate, sì da mano come di sopra, e sopra a questa un saione di veluto violetto. Messer AntoDio Giustiniano aveva un robone con bavero dam ascato cremisino a fioretti. Messer Piero da Ca' da Pesaro, una vesta corta e increspata alla genovese, di veluto nero, foderata di dossi. Messer Marco Foscari, una vesta quasi simile, ma più lunga, colle maniche in suso, foderata di pelle nera.

Smontarono le scale l'un dietro all' altro, accompagoati dal patriarca di Aquileia, Marino Grimani (2), dall'arcivescovo di Nicosia (3), figliuolo del conte di Pitigliano, di casa Orsini, e da molti altri arcivescovi, prelati, protonotarii, la maggior parte delle terre e luoghi nostri. E al Dandolo, benchè avesse un perfettissimo cavallo e tre mule benissimo guarnite, fu appresentata una bellissima mula, guarnita di veluto nero tutto imbroccato d' oro, dagli agenti del cardinal Cornelio (4). E montò sopra a quella; e lo stesso fecero il Mocenigo e il Giustiniano, che ne aveano due altre, non si sa da chi. Usciti del giardino, precedeva tutta la famiglia grossa, e innanzi quarantacinque muli di carriaggio, tutti coperti di scarlatto, con sopra le armi degli oratori. Seguivano li gentiluomini nostri, e forestieri in

(1) Riccardo Pace, detto Paceo, adoperato da Arrigo VIII in varie importanti missioni. Fu anche uomo di molta dottrina.

(2) Marino Grimani divenne patriarca d'Aquileja nel 1517, per la rinunzia del cardinal Domenico, suo zio. Nel 1527 fu creato cardinale da Clemente VII. e adoperato da esso e da Paolo III in parecchie legazioni importanti. Morì in Orvieto nel 1546.

(3) Aldebrando degli Orsini, il quale rinunciò l'anno seguente l'arcivescovado a Livio Podacataro, uomo di molta dottrina.

(4) Del cardinale Marco Cornaro abbiamo fatta menzione altra volta.

numero di otto, che accompagnarono gli oratori. I nostri erano: Agostino Foscari, Vincenzo Pasqualigo, due Malipieri, cioè Marino e Leonardo (zio e nepote) venuti per andare a Napoli per loro facende, Andrea Loredano, Agostino da Pesaro, e Matteo Dandolo, figlio di Marco dottore e cavaliere, uno degli oratori. I segretarii Niccolò Sagondino e Daniele dei Ludovici, con cappellani, venivano dietro agli oratori. Tutti erano benissimo in ordine di cavalcature, come di vestimenti. Poi venivano i dieci staffieri degli oratori, due per uno, vestiti di seta colle loro livree. Finalmente gli oratori, il Dandolo in mezzo al maestro di casa del papa ed un altro della famiglia del pontefice, auditore di Camera; poi il Gradenigo con un gran prelato; e così gli altri. Poi seguiva gran numero di prelati e di cortigiani. E usciti appena del giardino, venne loro incontro la mula d'un cardinale, colla famiglia sua; e uno d' essi fece le parole; e il Dandolo rispose sì a lui come a tutti gli altri dei cardinali, che molti ne erano su quei prati che aspettavano (in tutto ventotto cardinali). E a chi parlava latino (chè molti ne furono), rispondeva latino; e a chi parlava volgare, volgare; e sempre veramente con grandissima sua lode. E a cavalcar dieci passi si stava un'ora grossa: e i principali di loro, nunzii de' cardinali, rimanevano a dietro; e il resto della famiglia, con la mula, se ne andava avanti, secondo l' ordine suo. Vennero loro incontro, sì fuor della casa come per cammino, molti ambasciatori; tra i quali quelli dell' Infante, Arciduca d' Austria (1), del Serenissimo re d' Ungheria, di Ferrara, di Siena, di Lucca ec. Poco fuor della Terra, venne loro incontro tutta la guardia di cinquecento cavalli leggieri, capitano di essa uno

(1) Ferdinando Arciduca d'Austria, fratello di Carlo V. — Il re d' Ungheria (e di Boemia) era Lodovico II, morto in battaglia contro i Turchi nel 1526. Le due corone passarono allora a Ferdinando e alla casa d'Austria, che le possiede tuttora,

spagnuolo, uomo di gran conto, ch' era sopra un bellissimo giannetto liardo, pomato, e guarnito di velluto nero imbroccato d'oro, con una roba indosso di raso tanè, foderata di bellissimi zibellini: e dopo aver fatte alcune parole, spinse la guardia inanzi a tutti ch'erano avanti, cioè immediatamente dietro ai muli; e lui col maestro delle ceremonie si pose immediate avanti l'orator Dandolo. Erano poco dinanzi a lui molti signori romaneschi, la maggior parte di casa Orsini; i quali, dopo di avere usate alcune parole, si acconciarono nell' ordine degli altri, con grande dimostrazione di amore, come se della propria nazione fossero stati e così continuarono tale ufficio, finchè gli oratori stettero in Roma. Essendo poi per entrare in Roma, venne loro incontro la guardia degli Svizzeri (trecento, per quanto dicono), tutti vestiti di una livrea bianca, verde e gialla, con mirabile ordine; gente fiorita e di estrema bellezza. I quali si spinsero inanzi, e vollero star tutti immediatamente inanzi agli staffieri, dicendo: che la giornata era di loro, e che quello era il loro loco di onore, gridando sotto voce: vifa Marca (1); e così entrarono in Roma. E sebbene ci fosse gran cammino dalla porta all' alloggiamento deputato, i carriaggi giungevano nella corte, che gli oratori erano ancora alla porta di Roma. Fu stimato che ci fossero di certo più di duemila cavalli; perchè la loro aspettazione in Roma era grandissima; e da ognuno se ne parlava quindici giorni avanti.

Nel Castello, sotto il quale passavano, andò il papa; e acconciossi per vederli ad alcune finestre coperte di gelosie, alte da terra come i balconi d' una corte; nè per principe che sia venuto, il papa si mosse mai dalle stanze sue per vederlo; sicchè questo diede gran favore ai nostri, e molto che dire in onore della Signoria nostra per tutta Roma:

(1) Che in loro gergo voleva significare viva San Marco,

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