Qualche bene o contento Avrà fors' altri; a me la vita è male. O greggia mia che posi, oh te beata, 105 Non sol perchè d'affanno Ch'ogni stento, ogni danno, 110 Ogni estremo timor subito scordi; Ma più perchè giammai tedio non provi. E gran parte dell'anno Senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra, La mente, ed uno spron quasi mi punge 115 Si che, sedendo, più che mai son lunge 120 Da trovar pace o loco. E pur nulla non bramo, E non ho fino a qui cagion di pianto. Non so già dir; ma fortunata sei. Ed io godo ancor poco, O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno. 125 Se tu parlar sapessi, io chiederei: Dimmi: perchè giacendo A bell'agio, ozioso, S'appaga ogni animale; 130 Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? 18 Forse s'avess'io l'ale Da volar su le nubi, E noverar le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in giogo, Più felice sarei, candida luna. O forse erra dal vero, 135 139 Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero: Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, È funesto a chi nasce il dì natale. XXVII. LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA. [Dec. 1828 maggio 1830.] Passata è la tempesta: Odo augelli far festa, e la gallina, Tornata in su la via, Che ripete il suo verso. Ecco il sereno E chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Torna il lavoro usato. L'artigiano a mirar l'umido cielo, Con l'opra in man, cantando, Fassi in su l'uscio; a prova Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua Della novella piova; E l'erbaiuol rinnova Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride Del passegger che il suo cammin ripiglia. Si rallegra ogni core. Si dolce, sì gradita 5 10 15 20 25 Quando con tanto amore L'uomo a' suoi studi intende? O torna all'opre? o cosa nova imprende? Quando de' mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d'affanno; Gioia vana, ch'è frutto 29 Del passato timore, onde si scosse E paventò la morte 35 Chi la vita abborria; Onde in lungo tormento, Fredde, tacite, smorte, Sudar le genti e palpitàr, vedendo Mossi alle nostre offese Folgori, nembi e vento. O natura cortese, Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena 40 45 49 Pene tu spargi a larga mano; il duolo D'alcun dolor; beata Se te d'ogni dolor morte risana. XXVIII. IL SABATO DEL VILLAGGIO. [Dec. 1828 maggio 1830.] La donzelletta vien dalla campagna, Col suo fascio dell'erba; e reca in mano Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Su la scala a filar la vecchierella, Solea danzar la sera intra di quei Ch'ebbe compagni dell'età più bella. 13 15 5 |