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Squallide piagge, ahi d'altra morte degni,
Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadre a squadre

Semivestiti, maceri e cruenti,

Ed era letto agli egri corpi il gelo. 145
Allor, quando traean l'ultime pene,
Membrando questa desiata madre,
Diceano: oh non le nubi e non i venti,
Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,
O patria nostra. Ecco da te rimoti,
Quando più bella a noi l'età sorride,
A tutto il mondo ignoti,

Moriam per quella gente che t'uccide.
Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve.
Così vennero al passo,

E i negletti cadaveri all' aperto

Su per quello di neve orrido mare
Dilaceràr le belve;

E sarà il nome degli egregi e forti
Pari mai sempre ed uno

Con quel de' tardi e vili. Anime care,
Bench'infinita sia vostra sciagura,
Datevi pace; e questo vi conforti

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Che conforto nessuno

Avrete in questa o nell'età futura.

In seno al vostro smisurato affanno
Posate, o di costei veraci figli,

Al cui supremo danno

Il vostro solo è tal che s'assomigli.

Di voi già non si lagna

La patria vostra, ma di chi vi spinse
A pugnar contra lei,

Sì ch'ella sempre amaramente piagna

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E il suo col vostro lacrimar confonda. 175
O di costei ch'ogni altra gloria vinse
Pietà nascesse in core

A tal de' suoi ch'affaticata e lenta
Di sì buia vorago e sì profonda

La ritraesse! O glorioso spirto,

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Dimmi: d'Italia tua morto è l'amore?
Dì: quella fiamma che t'accese, è spenta?
Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto
Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male?
Nostre corone al suol fien tutte sparte? 185
Nè sorgerà mai tale

Che ti rassembri in qualsivoglia parte?

In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine?

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Io mentre viva andrò sclamando intorno,
Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio;
Mira queste ruine

E le carte e le tele e i marmi e i templi;
Pensa qual terra premi; e se destarti
Non può la luce di cotanti esempli,
Che stai? levati e parti.

Non si conviene a sì corrotta usanza
Questa d'animi eccelsi altrice e scola:
Se di codardi è stanza,

Meglio l'è rimaner vedova e sola.

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VI.

IL PASSERO SOLITARIO.

[1819.]

D'in su la vetta della torre antica, Passero solitario, alla campagna Cantando vai finchè non more il giorno; Ed erra l'armonia per questa valle. Primavera dintorno

Brilla nell'aria, e per li campi esulta,

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Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,

Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,

Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi

Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,

Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.

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Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s'allegra. 35 Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell'aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume

Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

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La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all' altrui core,

E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,

Che parrà di tal voglia?

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