Che di quest'anni miei? che di me stesso ?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Sempre caro mi fu quest' ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare. la
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l'anno, sovra questo colle Io venia pien d'angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l'etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l'affanno duri!
Era il mattino, e tra le chiuse imposte Per lo balcone insinuava il sole
Nella mia cieca stanza il primo albore; Quando in sul tempo che più leve il sonno E più soave le pupille adombra, Stettemi allato e riguardommi in viso Il simulacro di colei che amore
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Morta non mi parea, ma trista, e quale Degl'infelici è la sembianza. Al capo Appressommi la destra, e sospirando, Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Serbi di noi? Donde, risposi, e come Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Di te mi dolse e duol: nè mi credea Che risaper tu lo dovessi; e questo Facea più sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu per lasciarmi un'altra volta? Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne?
Sei tu quella di prima? E che ti strugge 20 Internamente? Obblivione ingombra I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Disse colei. Son morta, e mi vedesti L'ultima volta, or son più lune. Immensa Doglia m'oppresso a queste voci il petto.25 Ella seguì: nel fior degli anni estinta, Quand'è il viver più dolce, e pria che il core Certo si renda com'è tutta indarno L'umana speme. A desiar colei
Che d'ogni affanno il tragge, ha poco andare L'egro mortal; ma sconsolata arriva La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è spenta. Vano è saper quel che natura asconde Agl'inesperti della vita, e molto All'immatura sapienza il cieco Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss' io, che tu mi schianti Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma Provar dovesse, a me restasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
non vivi, e mai Non avverrà ch'io ti ritrovi al mondo, Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s'addimanda? Oggi per prova Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre. Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza; La qual pavento, e pur m' è lunge assai. Ma poco da vecchiezza si discorda Il fior dell' età mia. Nascemmo al pianto,55 Disse, ambedue; felicità non rise
Al viver nostro; e dilettossi il cielo De'nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Soggiunsi, e di pallor velato il viso Per la tua dipartita, e se d'angoscia Porto gravido il cor; dimmi: d'amore Favilla alcuna, o di pietà, giammai Verso il misero amante il cor t'assalse Mentre vivesti? Io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni; Oggi nel vano dubitar si stanca
La mente mia. Che se una volta sola Dolor ti strinse di mia negra vita, Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
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