La rimembranza or che il futuro è tolto 70 Ai nostri giorni. E quella: ti conforta, O sventurato. Io di pietade avara Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Che fui misera anch'io. Non far querela Di questa infelicissima fanciulla. Per le sventure nostre, e per l'amore Che mi strugge, esclamai; per lo diletto Nome di giovanezza e la perduta
Speme dei nostri dì, concedi, o cara,
Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d'affannosa Dolcezza palpitando all' anelante Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle fauci stava La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi
Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, Disse, che di beltà son fatta ignuda? E tu d'amore, o sfortunato, indarno Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi, E mai più non vivrai: già ruppe il fato
La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia 95 Gridar volendo, e spasimando, e pregne Di sconsolato pianto le pupille, Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Pur mi restava, e nell'incerto raggio Del Sol vederla io mi credeva ancora.
Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno Di questa notte, che mi torna a mente In riveder la luna. Io me ne stava Alla finestra che risponde al prato, Guardando in alto: ed ecco all'improvviso Distaccasi la luna; e mi parea
Che quanto nel cader s'approssimava, Tanto crescesse al guardo; infin che venne A dar di colpo in mezzo al prato; ed era Grande quanto una secchia, e di scintille 10
Vomitava una nebbia, che stridea
Si forte come quando un carbon vivo Nell'acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo La luna, come ho detto, in mezzo al prato Si spegneva annerando a poco a poco, E ne fumavan l'erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso
Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia, Ond'ella fosse svelta; in cotal guisa, Ch'io n'agghiacciava; e ancor non m'assicuro.
E ben hai che temer, che agevol cosa Fora cader la luna in sul tuo campo.
Chi sa? non veggiam noi spesso di state Cader le stelle?
Egli ci ha tante stelle,
Che picciol danno è cader l'una o l'altra 2 Di loro, e mille rimaner. Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno Cader fu vista mai se non in sogno.
La mattutina pioggia, allor che l'ale Battendo esulta nella chiusa stanza La gallinella, ed al balcon s'affaccia L'abitator de' campi, e il Sol che nasce I suoi tremuli rai fra le cadenti Stille saetta, alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi risveglia; E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli augelli susurro, e l'aura fresca, E le ridenti piagge benedico:
Poichè voi, cittadine infauste mura, Vidi e conobbi assai, là dove segue Odio al dolor compagno; e doloroso Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna Benchè scarsa pietà pur mi dimostra Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Verso me più cortese! E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli affanni, alla reina Felicità servi, o natura. In cielo, In terra amico agl'infelici alcuno E rifugio non resta altro che il ferro. Talor m'assido in solitaria parte, Sovra un rialto, al margine d'un lago Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo,30 Nè farfalla ronzar, nè voce o moto Da presso nè da lunge odi nè vedi. Tien quelle rive altissima quiete;
Ond' io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte 35 Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co'silenzi del loco si confonda.
Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, 40 Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
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