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teggio del figlio con letterati italiani, noti per sentimento di patriottismo, contribuisse a quel pervertimento, fu istituita in casa sul povero giovane una censura domestica per vigilare, sorprendere e all'uopo intercettare la sua corrispondenza. Ond' egli, ignaro delle condizioni economiche della casa, che dai genitori, fors' anco per boria, erano tenute a tutti occultissime come un profondo segreto di governo politico, irritandosi ognora più, divenne aspro, cupo e taciturno, sino a che nel luglio di quell' anno risolse di fuggire dalla casa paterna e fuori dello stato romano. Scopertosi il tentativo, la divisata fuga fortunatamente andò a vuoto; e Giacomo restò in casa a mordere la catena, senza speranza di uscir mai da Recanati. Ma finalmente, mercè l'interposizione del marchese Carlo Antici suo zio, datagli dal padre la sospirata licenza, nel novembre del 1822 partito alla volta di Roma, traversava quegli Appennini, che da tanti anni sospirava di varcare,

. arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver suo.

D'allora in poi, dei quindici anni che potè trascinare la vita dolorosa, ne passò la massima parte fuori di Recanati. La sua più lunga dimora in questa città fu dopo il suo primo ritorno, dal maggio del 1823 fino al luglio del 1825, in cui potè ripartire senza aggravio della famiglia, recandosi a Milano presso il tipografo Antonio Fortunato Stella, col quale si accordò a fargli de' lavori letterari per una retribuzione mensile di diciotto scudi. Più che Milano però gli fu soggiorno prediletto Bologna per la grande stima in che ivi era tenuto, per care amicizie e teneri affetti; onde dal settembre del 1825 vi si trattenne fino al novembre dell'anno seguente, e, passato l'inverno a Recanati, nell'aprile del 1827 vi ritornò. Venutogli poi desiderio di veder la Toscana, si trasferì dopo due mesi a Firenze, di là nell'ottobre a Pisa, 6 nel giugno del 1828 a Firenze di nuovo; donde nel novembre a Recanati per l'ultima volta, accompagnato in quel viaggio da un giovane che dovea del suo nome riempire il mondo, Vincenzo Gioberti, il quale soffer

Leopardi.

C

mossi in casa de' Leopardi un pajo di giorni.

Quando, uscito la prima volta da Recanati, si condusse a Roma, in mezzo al frastuono, alle grandezze ed al fasto di quella metropoli cominciò ben presto a sentire il desiderio della piccola città natale e della famiglia; e similmente appresso nelle dimore a Bologna e a Firenze; del che fa esuberante testimonianza il suo Epistolario. Erasi figurato (e questa immaginazione in Recanati lo riassaliva sempre) di poter trovare fuori del paese natio quella felicità, alla quale ardentemente aspirava; e poichè questa gli fuggiva sempre davanti, e i malori che lo avevano reso infelicissimo, anzichè cessare, ognor più si aggravavano, spesso risospirava i luoghi che prima aveva odiati. Se non che nell' ultima dimora a Recanati, egli che nelle maggiori città d'Italia aveva ammirazione dal fiore dei dotti e dei letterati, doveva ben più di prima indignarsi contro i suoi concittadini per quella noncuranza e per quei dispregî, dei quali in tante sue lettere si lamenta. Anche

quel soprannome che gli davano popolarmente, chiamandolo il gobbo de Leopardi e scherzandoci sopra, riusciva a lui fieramente nojoso. Indi quell'ira, che a lungo compressa scoppiò alfine splendidamente nel canto delle Ricordanze, scritto ivi da lui prima dell' ultima partenza sua e forse prima ancora di averne la speranza. Dopo la pubblicazione di tale poesia, doveva anche per ciò sentire più forte che mai la ripugnanza di ritornare in quella città, che nella lettera del dicembre 1830 Agli Amici suoi di Toscana chiamava « sepolcro dei vivi; » ed effettivamente risolse di non rivederla mai più. Ma il desiderio del ritorno da esso negli ultimi anni della sua dimora in Napoli manifestato al padre più volte, e segnatamente con tanta affettuosità nella lettera scritta pochi giorni avanti alla morte, non posso indurmi a credere che non fosse sincero. Nè a Recanati mancarono a lui vivo estimatori, benchè niuno conoscesse appieno la sua grandezza; la quale nel natío luogo come da per tutto ha giganteggiato dopo la morte.

IV. - Essendogli già cessata fin dall'estate del 1828 la retribuzione mensile, che gli passava il tipografo Stella, aveva tentato altre vie a poter vivere fuori di casa senza aggravio della famiglia, e fatto pratiche, o piuttosto rinnovatele, per ottenere nello stato romano qualche impiego e specialmente una cattedra universitaria. Ma dal governo papale non potè ottenere mai nulla. Bensì, per opera del celebre medico Tommasini, gli fu fatta la proposta della cattedra di storia naturale a Parma, ch' egli, come di materia troppo aliena da' suoi studi, non volle accettare; e avrebbe potuto avere una cattedra fuori d'Italia, anche in Germania, dove per il suo sapere filologico era altamente pregiato; ma con quella salute come avventurarsi a un clima sì rigido, e per lui sicuramente micidiale? Se non che, saputosi a Firenze il misero stato e il desiderio di lui, Pietro Colletta con altri generosi amici gli procurò e offerse una somma di danaro a titolo di ricompensa per una nuova edizione delle sue Poesie, da loro medesimi architetta

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