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nelle quali, a lei parlando, significassi la cagione del mio trasfiguramento, e dicessi che io so bene ch'ella non è saputa, e che se fosse saputa, io credo che pietà ne giugnerebbe altrui: e proposi di dirle, desiderando che venissero per avventura nella sua audienza; e allora dissi questo sonetto:

Con l'altre donne mia vista gabbate,

E non pensate 1, donna, onde si mova,
Ch'io vi rassembri sì figura nova,
Quando riguardo la vostra biltate 2.
Se lo saveste, non potrìa pietate

Tener più contra me l'usata prova 3;

Chè quando Amor 4 sì presso a voi mi trova
Prende baldanza e tanta sicurtate,

Ch'el fier tra mïei spirti paurosi,

E quale ancide, e qual pinge 5 di fuora,
Sì ch'ei solo rimane 6 a veder vui:

Ond'io mi cangio in figura d'altrui ;
Ma non sì ch'io non senta bene allora
Gli guai de' discacciati tormentosi.

---

2 biltate per beltate

1 Il codice Barb. XLV, 47, legge guardate. nel maggior numero dei codici. 3 Si noti come il codice Barb. XLV, 47, legge questo verso: più vedermi tener l'usata prova. Il Fraticelli ed il Giuliani leggono Ch' Amor, quando; ma la lezione da me adottata è in tutti i codici. 5 pinge per caccia è nei due

codici Barb. XLV, 47 - XLV, 130. L'autorità del primo e la bontà della nuova lezione, la quale fu anche ricordata dal D'Ancona, mi spinge a sceglierla. Si che solo rimango; nei due codici ora

ricordati.

Questo sonetto non divido in parti, perchè la divisione non si fa se non per aprire la sentenzia della cosa divisa: onde, conciossiacosa che, per la su ragionata cagione, assai sia manifesto, non ha mestieri di divisione. Vero è che tra le parole, ove si manifesta la cagione di questo sonetto, si trovano dubbiose parole; cioè quando dico, ch' Amore uccide tutti i miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori degli strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simil grado fedele d'Amore; ed a coloro che vi sono, è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole; e però non è bene a me dichiarare cotale dubitazione, acciò che lo mio parlare sarebbe indarno, ovvero di soperchio.

§ XV.

Appresso la nuova trasfigurazione mi giunse un pensamento forte, lo quale poco si partia da me; anzi continuamente mi riprendea ed era di cotale ragionamento męco: Poscia che tu pervieni a così schernevole vista quando tu se' presso di questa donna, perchè pur cerchi di vederla? 1 Ecco che se tu fossi domandato da lei, che avresti tu da rispondere? ponendo che tu avessi libera ciascuna tua virtute, in quanto tu le rispondessi. Ed a questo 2 rispondea un altro umile pensiero, e dicea: Se io

Il D'Ancona: di veder lei. 2 Altri: costui.

non perdessi le mie virtudi, e fossi libero tanto ch'io potessi rispondere, io le direi, che sì tosto com'io immagino la sua mirabil bellezza, sì tosto mi giugne un desiderio di vederla, lo quale è di tanta virtude, che uccide e distrugge nella mia memoria ciò che contra lui si potesse levare; e però non mi ritraggono le passate passioni di cercare la veduta di costei. Ond' io, mosso da cotali pensamenti, proposi di dire certe parole, nelle quali, iscusandomi a lei di cotal riprensione, ponessi anche di quello che mi addiviene presso di lei; e dissi questo sonetto:

Ciò che m'incontra nella mente, more

Quando vegno a veder voi, bella gioia, E quand'io vi son presso, sento Amore, Che dice: Fuggi se 'l perir t'è noia 3. Lo viso mostra lo color del core,

4

Che, tramortendo, ovunque può s'appoia;

E

per l'ebrietà del gran tremore

Le pietre par che gridin: Moia, moia.

-

1 Scrivo di invece di da, lezione più comune ed accettata dal Fraticelli e dal Giuliani, perchè mi sembra forma più antica. 2 Questo di, omesso da molti editori, è quasi in tutti i codici. Il Serafini legge se'l fuggir t'è noia, combattendo aspramente la lezione se'l partir t'è noia; la sua però non val meglio di questa. Il codice Barb. XLV, 130, legge sol per ira e noia. ✦ L'asprezza della elisione per la cesura dopo tramortendo non è ragione bastante a far accettare la lezione del D'Ancona, benchè questa si trovi anche in tre codici.

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4

Peccato face. chi allor mi vide,

Se l'alma sbigottita non conforta,
Sol dimostrando che di me gli doglia, ·
Per la pietà, che 'l vostro gabbo uccide,
La qual si cria nella vista smorta

Degli occhi, c'hanno di lor morte voglia.

Questo sonetto si divide in due parti: nella prima dico la cagione, per che non mi tengo di gire presso a questa donna; nella seconda dico quello che m'addiviene per andare press0 di lei; e comincia questa parte quivi: E quand'io vi son presso. E anche si divide questa seconda parte in cinque, secondo cinque diverse narrazioni; chè nella prima dico quello che Amore, consigliato dalla ragione, mi dice quando le son presso; nella seconda manifesto lo stato del cuore per exemplo del viso; nella terza dico, siccome ogni sicurtade mi vien meno; nella quarta dico, che pecca quegli che non mostra pietà di me, acciocchè mi sarebbe alcun conforto; nell'ultima dico perchè altri dovrebbe aver pietà, cioè per la pietosa vista che negli occhi mi giugne; la qual vista pietosa è distrutta, cioè non pare altrui, per lo gabbare di questa donna, la quale trae a sua simile operazione coloro, che forse vedrebbono questa pietà. La seconda parte comincia quivi: Lo viso mostra; la terza: E per l'ebriëtà; la quarta: Peccato face; la quinta: Per la pietà.

§ XVI.

Appresso ciò che io dissi, questo sonetto mi mosse una volontà di dire anche parole, nelle quali dicessi quattro cose ancora sopra il mio stato, le quali non mi parea che fossero manifestate ancora per me 1. La prima delle quali si è, che molte volte io mi dolea, quando la mia memoria movesse la fantasia ad immaginare quale Amor mi facea: la seconda si è, che Amore spesse volte di subito mi assalia sì forte, che in me non rimanea altro di vita se non un pensiero, che parlava di questa donna 2: la terza si è, che quando questa battaglia d'Amore mi pugnava così, io mi movea, quasi discolorito tutto, per veder questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quella che per appropinquare a tanta gentilezza m'addivenia; la quarta si è, come cotal veduta non solamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggea la mia poca vita; e però dissi questo sonetto:

Spesse fiate vegnonmi alla mente

3

L'oscure qualità 3 ch'Amor mi dona;
E vienmene pietà sì, che sovente

Io dico: lasso! avvien egli a persona?

1 Trovasi anche: non mi pareano ancora manifestate per me.

2 Molte edizioni hanno della mia donna. La lezione da me scelta col D'Ancona è quella di tutti i codici.

3 Il Serafini difende qui l'uso

del singolare con ragioni che potranno sembrar belle ad alcuni, ma

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