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mese è ivi Tismin, il quale a noi è Ottobre. E secondo l'usanza nostra, ella si partì in quello anno della nostra indizione, cioè degli anni Domini, in cui il perfetto numero nove volte era compiuto in quel centinaio, nel quale in questo mondo ella fu posta: ed ella fu de' cristiani del terzodecimo centinaio. Perchè questo numero fosse tanto amico di lei 1, questa potrebb'essere una ragione: conciossiacosa che secondo Tolomeo e secondo la Cristiana verità, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune opinione astrologica li detti cieli operino quaggiù secondo la loro abitudine insieme, questo numero fu amico di lei per dare ad intendere, che nella sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile verità, questo numero fu ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così: Lo numero del tre è la radice del nove, però che senz'altro numero, per sè medesimo moltiplicato, fa nove, siccome vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se il tre è fattore per sè medesimo del nove, e lo fattore dei miracoli per sè medesimo è tre, cioè Padre, Figliuolo e Spirito santo, li quali sono tre ed uno, questa donna fu accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere che ella era un

1 Gli editori Pesaresi, il Fraticelli ed il Giuliani leggono: le fosse tanto amico.

nove, cioè un miracolo la cui radice è solamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sottil persona si vedrebbe in ciò più sottil ragione; ma questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace.

§ XXXI.

Poi che la gentilissima donna fu partita da questo 1 secolo, rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova e dispogliata di ogni dignitade, ond'io, ancora lagrimando in questa desolata cittade, scrissi a' principi della terra alquanto della sua condizione, pigliando quello cominciamento di Geremia profeta: Quomodo sedet sola civitas! E questo dico, acciò che altri non si maravigli, perchè io l'abbia allegato di sopra, quasi come entrata della nuova materia che appresso viene. E se alcuno volesse me riprendere di ciò che non scrivo qui le parole che seguitano a quelle allegate, scusomene, però che lo intendimento mio non fu da primcipio di scrivere altro che per volgare: onde, conciossiacosa che le parole che seguitano a quelle che sono allegate, sieno tutte latine, sarebbe fuori del mio intendimento se io le scrivessi: e simile intenzione so che ebbe questo mio primo amico 2, a cui io scrivo, cioè ch'io gli scrivessi solamente in volgare.

1 Il D'Ancona col codice Chig. legge: di questo. 2 Il Fraticelli, il Giuliani, il Torri e l'editore Pesarese leggono: mio amico.

§ XXXII.

Poi che gli occhi miei ebbero per alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano ch'io non potea disfogare la mia tristizia, pensai di volerla disfogare con alquante parole dolorose; e però proposi di fare una canzone, nella quale piangendo ragionassi di lei, per cui tanto dolore era fatto distruggitore dell'anima mia; e cominciai allora: Gli occhi dolenti 1.

Acciò che questa canzone paia rimanere vie più vedova dopo il suo fine, la dividerò prima ch'io la scriva 2: è cotal modo terrò da qui innanzi. Io dico che questa cattivella canzone ha tre parti: la prima è proemio; nella seconda ragiono di lei; nella terza parlo alla canzone pietosamente. La seconda comincia quivi: Ita n'è Beatrice; la terza quivi: Pietosa mia canzone. La prima parte si divide in tre: nella prima dico per che mi muovo à dire; nella seconda dico a cui voglio dire; nella terza dico di cui voglio dire. La seconda comincia quivi: E perchè mi ricorda; la terza quivi: E dicerò. Poscia quando dico: Ita n'è Beatrice, ragiono di lei, e intorno a ciò fo due parti. Prima dico

1. Frase di tal genere, da me ovunque taciuta, qui la segno per il distacco che la partizione premessa alla canzone fa tra questa ed il fine della prosa. 2 Quindi è che gli editori prepongono giustamente questa divisione alla canzone stessa. Si osservi che in tutta questa seconda parte le divisioni sono preposte alle rime.

la cagione perchè tolta ne fu; appresso dico come altri si piange 1 della sua partita, e comincia questa parte quivi: Partissi della sua. Questa parte si divide in tre: nella prima dico chi non la piange; nella seconda dico chi la piange; nella terza dico della mia condizione. La seconda comincia quivi: Ma vien tristizia e doglia; la terza: Dannomi angoscia. Poscia quando dico: Pietosa mia canzone, parlo a questa mia canzone, designandole a quali donne sen vada, e steasi con loro.

Gli occhi dolenti per pietà del core
Hanno di lagrimar sofferta pena,

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Che appoco appoco alla morte mi mena,
Convenemi parlar traendo guai 4.

E perchè mi ricorda ch'io parlai
Della mia donna, mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui 5,
Non vo' parlare 6 altrui,

1 Gli editori Pesaresi, il Fraticelli ed il Giuliani leggono: altri piange. 2 Il codice Barb. XLV, 129, legge: Sì che puniti. — Il codice Barb. XLV. 47, legge: Or mo ch'io voglio sfocar lo dolore. Il codice Barb. XLV, 47, legge: Convienme ragionar traendo guai. 5 Il codice Barb. XLV, 47, legge: Donne e donzelle amorose con vui, ripetendo qui il penultimo verso della prima stanza della canzone: Donne, ch'avete intelletto d'amore. Scrivo parlare invece di parlarne, perchè ai due codici osservati dal D'Ancona con la prima di queste lezioni posso aggiungere l'autorità di altri quattro manoscritti.

Se non a cor gentil che 'n donna sia;
E dicerò di lei piangendo, pui

Che se n'è gita in ciel subitamente,
Ed ha lasciato Amor meco dolente.
Ita n'è 1 Beatrice in l'alto cielo,

Nel reame ove gli angeli hanno pace,
E sta con loro, e voi, donne, ha lasciate.
Non la ci2 tolse qualità di gelo,
Nè di calor, siccome l'altre face,
Ma sola fu sua gran benignitate:
Chè luce della sua umilitate
Passò li cieli 4 con tanta virtute,
Che fè maravigliar l'eterno sire,
Sì che dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute,
E fella di quaggiuso a sè venire 5;
Perchè vedea ch'esta vita noiosa
Non era degna di sì gentil cosa 6.
Partissi della sua bella persona
Piena di grazia l'anima gentile

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1 La lezione degli editori Pesaresi Ita se n'è trovasi nel prezioso codice Barb. XLV, 47. 2 I codici Barb. XLV, 47, e XLV, 129, leggono: Non ce la tolse. 3 Il codice Barb. XLV, 129, legge: E lume. Il codice Barb. XLV, 47, legge: Passò nel cielo. - 5 Il codice Barb. XLV, 129, legge: E fella di quaggiù lassù venire. Il codice Barb. XLV, 47, che per la sua importanza ed antichità dovrebbe essere molto studiato, legge altrimenti questi ultimi cinque versi. Ecco ad litteram la sua lezione: E si dolce dexire a chiamar tanta salute Che la fe da quaggiuso a se vinire · vedea ben che sta vita nugliosa Non era degna di si nobel cosa.

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Condusse

Che

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