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Ed èssi gloriosa 1 in loco degno.
Chi non la piange, quando ne ragiona,
Core ha di pietà, sì malvagio e vile,
Ch'entrar non vi può spirito benegno 2.
Non è di cor villan sì alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto,
E però non gli vien di pianger voglia;
Ma vien tristizia è doglia
Di sospirare e di morir di pianto 4,
E d'ogni consolar l'anima spoglia,
Chi vede nel pensiero alcuna volta 5
Qual ella fu, e com'ella n'è toita.

6

Dannomi angoscia li sospiri forte,

Quando il pensiero nella mente grave
Mi reca quella che m'ha il cor diviso 7:
E spesse fiate pensando la morte,

8

Me ne viene un disio tanto soave,

Che mi tramuta lo color nel viso ;

E quando 'l 'maginar mi tien ben fiso,

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1 Invece di gloriosa ho anche trovato collocata, coronata.

-

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2 Fra le varianti di questo verso può aggiungersi questa del codice Barb. XLV, 47: Che non gli po intrar spirto benegno. 3 Il Fraticelli ed il Giuliani leggono: Ma n'ha; i codici però hanno tutti: Ma vien. Questo verso ed il precedente così si leggono nel codice Barb. XLV, 47: ma de tristeza doglia e ragionar e consumar de pianto. 5 Il codice Barb. XLV, 129, legge: Chiede nei sospiri alcuna volta. 6 Trovasi anche: Donami. 7 Nel codice Barb. XLV, 129: conquiso con evidente corruzione. XLV, 47, e XLV, 129, leggono: E spesse volte. XLV, 129, legge: tanta angoscia.

8 I due codici Barb.

- Il codice Barb.

Ch' i' mi riscuoto per dolor 1 ch'i' sento;

E sì fatto divento,

Che dalle genti vergogna mi parte.
Poscia piangendo, sol nel mio lamento
Chiamo Beatrice; e dico: Or se' tu morta !
E mentre ch'io la chiamo mi conforta.
Pianger di doglia e sospirar d'angoscia
Mi strugge il core ovunque sol mi trovo,
Sì che ne increscerebbe a chi m'udesse 2:
E qual è stata la mia vita, poscia
Che la mia donna andò nel secol novo,
Lingua non è che dicer lo sapesse

E però, donne mie, per ch'io volesse,
Non vi saprei ben dicer quel ch'io sono,
Si mi fa travagliar 4 l'acerba vita;

La quale è si invilita,

Ch'ogni uom par che mi dica: Io t'abbandono 5,
Vedendo la mia labbia tramortita.

Ma qual ch'io sia, la mia donna sel vede,

Ed io ne spero ancor da lei 6 mercede.

1 Il codice Barb. XLV, 47, legge: per pena. 2 m'udesse. È la lezione del codice Cas. d. V, 5. L'Udisse di quasi tutti i codici non può essere, come vorrebbe il D'Ancona, uno scrupolo" di chi non trovava convenevole che si vedesse lo struggimento del cuore, o forse il pianto e i sospiri „, perchè l'illustre Professore egli stesso osserva che qui se non è indifferente, è forse più logico il vedesse; a me sembra che la lezione m'udesse possa senza difficoltà adottarsi, poco curandoci del duro mutamento dell'i in e in grazia della rima. I due cod. Barb. XLV, 47, e XLV, 129, hanno: lo potesse. Il. cod. Barb. XLV, 47, legge: mi fa gire. 5 Il cod. Barb. XLV, 47,

-

legge: che ciascun giorno par che m'abbandoni. — Il cod. Barb. XL V, 47, ed il Vat. Urb. 687, leggono: trovar mercede.

Pietosa mia canzone, or va piangendo;

E ritrova le donne e le donzelle 1,
A cui le tue sorelle

Erano usate di portar letizia;

E tu, che sei figliuola di tristizia,
Vattene sconsolata, a star con elle 2.

§ XXXIII.

Poi che detta fù questa canzone, si venne a me uno, il quale secondo li gradi d'amistade, è 3 amico a me immediatamente dopo il primo: e questo fu tanto distretto di sanguinità con questa gloriosa, che nullo più presso l'era. E poi che fu meco a ragionare, mi pregò che io gli dovessi dire alcuna cosa per una donna che s'era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d'un'altra, la quale morta era cortamente. Ond' io accorgendomi che questi dicea solo per quella benedetta, dissi di fare ciò che mi domandava lo suo prego. Ond'io poi pensando a ciò, proposi di fare un sonetto, nel

1 Il codice Barb. XLV, 129, legge: troverai le nonne e le donzelle. 2 Nell'edizione principe del Sermartelli seguono a quest'ultima strofa i seguenti tre versi:

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Di': Beatrice, più che l'altre bella,
N'è ita a piè d'Iddio immantenente,
E ha lasciato Amor meco dolente.

Gli editori Pesaresi, il Fraticelli ed il Giuliani leggono: era; ma i codici hanno è.

quale mi lamentassi alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciò che paresse, che per lui l'avessi fatto, e dissi allora questo sonetto, che comincia : Venite a intender 1.

Questo sonetto ha due parti: nella prima chiamo li fedeli d'amore che m'intendano; nella seconda narro della mia misera condizione. La seconda comincia quivi: Li quai disconsolati.

Venite a intender li sospiri miei
O cor gentili, chè pietà il disia;
Li quai disconsolati2 vanno via,
E, s'e' non fosser, di dolor morrei.
Però che gli occhi mi sarebbon rei
Molte fïate più ch'io non vorria,
Lasso di pianger 3 sì la donna mia,
Ch'io sfogherei lo cor piangendo lei.

3

Voi udirete lor chiamar sovente

La mia donna gentil, che se n'è gita
Al secol degno della sua virtute;
E dispregiar talora questa vita,
In persona dell'anima dolente,
Abbandonata dalla sua salute.

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1 Segno qui queste parole come le ho segnate innanzi alla canzone precedente. La ragione colà esposta valga anche in seguito.

" Il Fraticelli ed altri leggono: Li quali sconsolati; lezione che trovasi anche in alcuni codici. 3 Il Torri ed il Fraticelli leggono: Lasso! di pianger.

§ XXXIV.

Poi che detto ebbi questo sonetto, pensandomi chi questi era, cui lo intendeva dare quasi come per lui fatto, vidi che povero mi pareva lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa. E però innanzi ch' io gli dessi il soprascritto sonetto, dissi due stanze di una canzone, l'una per costui veracemente, e l'altra per me, avvegna che paia l'una e l'altra per una persona detta, a chi non guarda sottilmente. Ma chi sottilmente le mira, vede bene che diverse persone parlano; in ciò che l'una non chiama sua donna costei, e l'altra sì, come appare manifestamente. Questa canzone e questo sonetto gli diedi, dicendo che io per lui solo fatto l'avea.

La canzone comincia: Quantunque volte, ed ha due parti: nell'una, cioè nella prima stanza, si lamenta questo mio caro amico, distretto a lei; nella seconda mi lamento io, cioè nell'altra stanza che comincia: E' si raccoglie. E così appare che in questa canzone si lamentano due persone, l'una delle quali si lamenta come fratello, l'altra come servidore.

Quantunque volte, lasso! mi rimembra

Ch'io non debbo giammai

Veder la donna, ond'io vo sì dolente,

Tanto dolore intorno al cor m'assembra

La dolorosa mente,

Ch'io dico: Anima mia, chè non ten vai?

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