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Reumont, 1 il Braun, 2 il Bartsch, 3 per tacere gli altri. Nè basta. Quel brav'uomo del professore Filippo Mercurj la pensava in un modo tutto proprio; ei negava addirittura che tale opera fosse del Boccaccio, e così alla spiccia dava fine ad un'eterna questione. 5

E quali argomenti usò per sostenere simil tesi! Dopo aver detto che tale scritto è un'impostura affibbiata al Boccaccio da Vindelin da Spira, editore della Commedia sulla fine del secolo decimoquinto, mentre abbiamo molti codici più antichi tutti concordi nell'attribuzione, si fa scappar di bocca, che lo stile << puro, facondo e naturale dello scrittore del Decamerone mal consuona con quello dello scrittore qualsiasi della supposta vita. » A tali parole non fo commenti; si legga la supposta vita e si giudichi.

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1 Annuario Dantesco. Lipsia, 1860.

2 L'Inferno di Dante Alighieri. Berlino, 1863.

3 Divina Commedia. Lipsia, 1877.

4 Veggasi da chi ne ha voglia un catalogo degli oppositori della vita scritta dal BOCCACCIO nelle note di CAMILLO ANTONA-TRAVERSI alla vita del Certaldese di MARCO LANDAU.

5 Nel Giornale Arcadico. Vol. 129, anno 1852.

6 I Codici Fiorentini, Milanesi e Veneti della Vita di Dante scritta dal Boccaccio sono notati dal WITTE (Dante-Forschungen, vol. I, p. 88), cui rimando il lettore. In Roma ve ne sono altri, due dei quali, uno Chigiano (L, V, 176) e l'altro Corsiniano (44, G. 10), più antichi senza dubbio dell'edizione Vindeliniana della Divina Commedia.

Non parlo del ritrovamento dei sette canti da parte di Gemma, messo in dubbio e giustamente dal Mercurj, perchè ciò non mi riguarda; solo mi fo lecito d'osservare, che Benvenuto da Imola, numerato da lui fra gli oppositori di simil notizia, al contrario la narra egli pure, non nominando nel fatto, forse più per inavvertenza che per altro, la moglie del poeta.1

Se si fosse un po' più positivi ed esatti nello scrivere, non se ne darebbero a bere di così grosse, nè si dubiterebbe dell'autenticità o meno di opere così certe, vissute sempre

1 Nel Murat. Ant. Ital., I, 1042: "Ad Cant. VIII, vers. 1. Antequam descendam ad expositionem literae, ad claram intelligentiam istius continuationis est presciendum quod Dantes, quando expulsus fuit de patria, sicut plene iam patuit supra Cant. VII fecerat de opere suo solummodo septem capitula praecedentia. Quum autem more exulum, incertus suae fortunae, pluribus annis vagns, moraretur cum diversis dominis, noluit Divina Providentia, quod tam egregium opus perderetur. Accidit ergo, quod quum quidam rimaretur inter certas scripturas Dantis, in quibusdam cofinis portatis ad loca sacra, quando ingrata turba magis avida praedae quam justae vindictae, concurrerat ad domus eius, reperit dicta septem capitula. Quibus cum admiratione lectis et inspectis, subtraxit sagaciter de loco, ubi erant, et portavit ad quemdam civem nomine Dinum, eo tempore famosum eloquentia in Florentia. Et breviter pro perfectione operis imperfecti, miserunt ista capitula Marchioni Marcelo Malaspinae, cum quo tunc Dantes erat. Quae ille satis intelligens Dominus bene notata ostendit fideliter Danti, rogans ut non dimitteret sine fine opus, cui fecerat tam altum principium. Dantes opere viso, fertur dixisse: Redditus est mihi maximus labor cum honore perpetuo. n

senz'ombra di contrasto sotto il nome di un autore e presso i suoi contemporanei e presso i posteri. Ma per buona sorte l'epoca in cui i critici avevano il nobile mestiere di pescare corbellerie pur di non istarsene colle mani in mano sembra oramai passata. Dio l'accolga in pace e noi procediamo.

Eccoci da molti, poco inchinevoli a dar fede al Boccaccio, eccoci presentato un Dante tutto 'd'un pezzo e tutto d'un colore, sempre simile a sè stesso ab ortu ad occasum, filosofo da' capelli a' piedi, amico della giustizia, lontano dalle frivolezze mondane, dagli amori, dai trastulli, marito perchè uomo, marito amorevole ma non troppo caldo, perchè così s'ha da essere. Egli è venuto al mondo fra le tenebre della notte e vi ha menato la luce di un sole, è nato appena, e già il suo cervello sogna Aristotile e Gesù. Figura barocca, idolo senz'anima, effigie di un essere mezzo uomo e mezzo Dio che dà nel manierato e nello sconcio, sorta d'immagine come quelle de' numi di molti paesi dell'Asia, grossi, tronfi, soprannaturali e ridicoli.

A questo Dante non è permesso amare se non la sapienza, non è permesso essere fanciullo, garzone, uomo, avere un cuore, un'anima come gli altri; ei deve concentrare tutto

sè stesso nella forza dell'intelletto, dev'essere lo sprezzante solitario, il poeta della giustizia. Non così ce lo mostra il Boccaccio. Uomo più degli altri, l'Alighieri si anima ne' racconti del Certaldese di tutti i colori che lo circondavano. La sua figura è snella, gentile, l'animo suo capace di sentire un amore ed anche un odio. La precocità dell'ingegno gli sviluppa nel cuore le passioni prematuramente, e l'addentellato della vita, di quella vita nuova che abbatte i sogni ingenui e volatili della fanciullezza e risveglia la coscienza di mille beni e mille mali, segna i suoi teneri anni con orme che nè si cancellano, nè chiaramente si distinguono. Segue la gioventù, seguono sventure, guerre, lunghi giorni di spensieratezza, a traverso de' quali le idee man mano si assottigliano, sfumano, svaniscono, si perdono, e Dante è fanciullo di nuovo, fanciullo a trent'anni egli che a men di due lustri aveva cominciato ad esser uomo. Ma ora è fanciullo magagnato, è allegro compagnone de'vizi, è giovane che si fa prendere al laccio da mille donne; Dante filosofo, Dante teologo, Dante poeta della giustizia è un'ombra, ombra che dovrà richiamare ad alte cose il Dante d'oggidì, giovane elegante ed alla moda. Eccoci quindi al Dante ravveduto, esiliato, eccoci al

Dante della Commedia, figura robusta e gigantesca, che nelle sfere più alte del cielo ricorda sempre l'aiuola che ci fa tanto feroci, e che sino nell'austerità della sua vita raminga non sa tenersi lontano da qualche piccolo amore.

Il lettore fra i due ritratti avrà poco da scegliere; più simpatico, più bello, perchè più umano, è il secondo; ma non è forse anche il più vero? Se noi non avessimo la biografia del Boccaccio, quante date della vita del nostro maggior poeta sapremmo? Poche assai. Orbene i denigratori di quelle pagine non possono fare a meno di trarne qualche notizia, la traggono anzi dove l'opporsi sarebbe ridicolo od imbarazzante, e poi gridano contro ciò che vi si dice su Gemma de' Donati, gridano dell'umanità che vi si attribuisce a Beatrice, perchè queste cose non fanno loro gran comodo.

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Che Gemma sia stata modello di moglie lo metto un po' in dubbio, che Dante la abbia amata, o che almeno fra i coniugi sia nato quell'amore solito a venir fuori dalla continua unione, lo nego addirittura. Si legga il ragionamento del Witte, si legga la conclusione di quelle pagine tutte nerbo e sostanza, e poi mi si dica quanta concordia dovea esservi fra

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