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lei che sembrava femmina della barbagia di Sardigna, e l'uomo che riprendeva le donne Fiorentine dell'andar mostrando colle poppe il petto.

III.

Quando all'esame estetico ed ideale della Vita Nuova si è contrapposto l'esame storico e positivo, allora Beatrice Portinari ha dovuto ceder campo ad un simbolo, sia esso religioso, filosofico, morale, poco importa. E questo simbolo, ricavato dalla fredda e paziente anatomia di quell'opera, si è venuto componendo, come delle sue molecoli naturali, di parole, di frasi, di aggettivi qua e là raccolti e ridotti

1 La Barbagia, detta per similitudine di quella di Sardegna,. alla quale allude FORESE DONATI nel canto XXIII del Purgatorio : Tant'è più cara a Dio e più diletta

La vedovella mia che tanto amai,

Quanto in bene operare è più soletta:

Chè la barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue è più pudica,

Che la barbagia dov'io la lasciai;

come dimostra benissimo il WITTE (Dante Forschungen, II) e come testimoniano due vecchi commentatori del poema Dantesco, l'Anonimo Fiorentino edito dal Fanfani e l'Ottimo, è la casa de' Donati e non Firenze. Dice il primo: "La Barbagia di Sardigna è più onesta e pudica che non è la casa de' Donati, ov'io lasciai la mia mogliera; ed il secondo: "E qui commenda molto questa donna, in quanto in consorteria di così rei uomini, come sono li Donati, ha una vita contenuta con tanta castitade, pudicizia e mondezza.

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artificiosamente ad unità metodica. Così, con buona pace di tutti i semplicetti che aveano creduto nella fanciulla fiorentina, si è formato l'edificio allegorico dell'amore Dantesco, di cui è paladino il positivismo critico, questo spettro bello e tremendo che tanto travaglia oggidi l'ingegno nostro.

La legge critica scaccia l'autorità; Momsen manda a spasso il buon Livio e ricostruisce la storia di Roma, men bella forse ma più vera, Darwin schianta le teorie di Platone, di Aristotile e di San Tommaso. Il lavorìo delle nostre menti è oggi necessariamente ed unicamente soggettivo ed oggettivo; soggettivo, ci concentra in noi stessi, oggettivo, ci acuisce nella materia che ci occupa. Gli antichi divagavano un po' troppo, essi non avevano l'arte critica propriamente detta, ma avevano l'intuizione critica più svegliata, avevano il giudizio personale elevato a dottrina ed un buon senso naturale, che oggi ci stordisce. Che se Dante non poteva nemmeno sognare le teorie maravigliose del Müller, ei ci lasciò il libro De Vulgari Eloquio, confermato, lodato ed ammirato da tutti i filologi moderni.

Il positivismo applicato alla critica l'ha ringiovanita, non lo nego, ma sotto il suo manto si cela spesso il convenzionale, e questo ci ri

porta ai guai delle vecchie dottrine, il dogma ed il falso. Il dogma pone leggi immutabili, che tutto torcono e adattano a un tipo unico di esame, il falso ne è la conseguenza immediata.

La figura di Dante, esaminata dai moderni, ha dovuto patire questi mali. O ad essa si è applicato il metodo storico ampiamente, e l'uomo è scomparso nella folla, o il metodo che chiameremo personale e biografico, e l'uomo si è allontanato dai tempi, o quando l'uno, quando l'altro, e la confusione è stata maggiore.

Si è andati troppo cauti, non si è spinto lo sguardo fuori de' termini del misticismo ascetico del medio evo, del mondo poetico di Provenza, di quello dottrinale di Guido Cavalcanti. Poche teorie sullo stil nuovo, sulla scuola Sicula, sulla Toscana, sulla Bolognese, poche, ma esatte tanto, che sembrano cavate da calcoli algebrici, e così in mezzo ad un piccolo mondo la civiltà Italiana del rinascimento è parsa più piccola, gretta, imitatrice, e tale anche dove i critici più s'affannano a volercela mostrare un pochino nostra.

Beatrice e tutte le donne dei nostri poeti trecentisti a confronto delle castellane di Provenza sfumano in una idealità mistica. Le une e le altre sono figlie di due idee, di due prin

cipii, lo svolgimento de' quali annoderebbe la civiltà e la storia. Questa differenza è notata troppo di volo, mentre sovra di essa la nostra mente dovrebbe fermarsi per non far sorgere confusioni inverosimili e per non immischiare nelle nostre le cose del mezzodi della Francia o troppo o troppo poco.

Il misticismo, l'idealizzazione delle cose più basse, l'astrazione di tutto, questo modo di pensare sovranamente anacoretico è il vessillo della dottrina medioevale. Quando verso la fine del millennio le campane del signore sembrava che chiamassero a raccolta i fedeli per l'imminente catastrofe, allora l'eternità trionfò sul tempo, e nel pazzeggiare strano della mente si dimenticò la realtà della vita.

Le nebbie del medioevo erano cominciate prima assai del mille, ma fino all'ottocento almeno si era cercato di camminare un pochetto, di imparare un po' di canto Ecclesiastico e di correggere se non altro gli Antifonari, prendendosi all'uopo anche la briga di andare in Francia sino a Metz ed a Soisson. Dall'ottocento però la corsa, che già era ruinosa, si fe' capitombolo, ed i Cristiani, messe le mani al cinto, con un fanatismo Maomettano meraviglioso, vedeano correre in quella notte ombre all'impazzata; imbecilliti dal narcotico di uno

scetticismo fiducioso, aspettavano la grazia

di Dio.

Intanto gli Arabi raccoglievano Biblioteche, libri Latini, Greci, e studiavano, studiavano ardentemente le vecchie filosofie, le scienze, le arti, si occupavano di medicina, di geografia, di matematica, e avevano poeti in gran numero, presso i quali la strofa didascalica a quando a quando cedea libero campo a quella d'amore.1

Sembra impossibile come ad un tempo siano esistite nel mondo due civiltà tanto diverse, senza che l'una abbia comunicato affatto all'altra le proprie tendenze. Eppure è fatto, spiegabile del resto coll'odio che i due popoli si nutrivano, odio fomentato da un fanatismo religioso tale, che noi a mala pena possiamo comprendere.

1 Non m'è parso di dover parlare lungamente della cultura degli Arabi nei secoli di mezzo, perchè l'indole del lavoro non me lo avrebbe permesso. Voglio solo osservare, che essa non fu semplicemente parziale, ma vastissima. Dalle enciclopedie o biblioteche, che nel secolo XIII cominciarono sotto forme più rozze a vedersi anche in Italia, sino ai libri speciali per le minime particelle di una scienza, nulla mancò a quel periodo di civiltà Maomettana, e grammatiche, e dizionari, e libri di rettorica, di poesia, di storia, di filosofia, di romanzi, di scienze naturali, di agricoltura, di matematica, di astronomia, ecc., ecc., ne avevano a iosa. Ciò contro all'opinione del nessuno organismo di quella civiltà, stimata da alcuni semplice e quasi accidentale sviluppo di qualche ramo del sapere. Essa al contrario ebbe tutte le parti di un vero e completo sviluppo; basta studiarla solo superficialmente per convincersene.

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