Per te sempre la Terra! Dai convessi Padiglioni dei cielo ivan fuggendo Le bianche stelle; e quella illustre chioma Dalla man della Morte irrigidita.1 Come per commento a questa bella e affettuosa poesia del Prati, mi piace di riportar qui la pietosa lettera che il Tasso scriveva all'amico suo Antonio Costantini da Sant' Onofrio nell'anno stesso in che fini di patire: Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella; perchè io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potuto trovar mai rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione sopravvenuta alle molte altre mie solite, quasi rapido torrente, dal quale, senza po ter avere alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo che io parli della mia ostinata fortuna, per non dire dell'ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico, quando io pen sava che quella gloria, che malgrado di chi non vuole avrà questo secolo da' miei scritti, non fosse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone. Mi son fatto condurre in questo monastero di Sant'Onofrio, non solo perchè l'aria è lodata dai me dici più che d'alcun' altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione an cielo. Pregate Iddio per me, e siate sicuro che siccome vi ho amato ed onorato sempre nella presente vita, così farò per voi nell' altra più vera, ciò che alla non inta, ma verace carità s'appartiene. Ed alla divina grazia raccomando voi e me stesso. " AGOSTINO CAGNOLI. I. LA GIOVINEZZA. Corri su fuggitiva ala veloce, O giovinezza: lieve Sfiori la terra, e di tuo viver breve Già a fin se' giunta, e a te si spoglia il verde: O giovinezza, o primo di natura Leggiadro fiore che di vergin pura Ah! perchè mai sì tosto ne abbandoni, Nè ti rinnovi come il fior del colle? Per te i dumi si vestono di rose, E il mondo si colora In luce soavissima di cielo: Par che per te più roseo l' aurora Nell' anime non morte a gentilezza; E il sorriso, e la speme, e i dolci orgogli; Allor ch'è mai la vita? Ve' in autunno la foglia inaridita: Or stride sotto il piè del giovinetto, II. ELVIRA. Notte del patrio ciel! spesso solingo Commisi alla raminga aura che in eco Pietà correale al ciglio, e al mio lamento Ch' ama e presso è a morire. Oh ricordanze! Notte del patrio ciel, come benigna Mi fiorivi i begli anni, e al giovin crine Divisa Elvira dal mio sen, da questa Misera Elvira, a che venimmo! il riso 1 Qui e altrove c'è del Leopardiano. E il Cagnoli ebbe anch'egli vita breve e infelice, come il Recanatese. Ei fu di sol che nel più puro olimpo Tu la guancia tramuti, e sulla fronte Di notti aspetto! io pur, cara, non vedo Io da quel lontanissimo orizzonte, Guardo, e il tramonto di tua vita accenno.1 In questo Poeta non trovi per lo più novità di concetti, ma molta mestizia di sentimento e forma eletta, fluida, armoniosa. CATERINA FRANCESCHI FERRUCCI. A SUO FIGLIO ANTONIO, QUANDO COMPIVA VENT'ANNI. I FIORI E LE STELLE. Ove son le söavi aure feconde, Da cui destati i fiori Lieti spargeano al cielo Rorido nembo di commisti odori? Ov'è il ligustro, che sul molle stelo Del picciol rio presso alle liquid' onde? U' la ginestra e il mirto al sol ridea, Indurato biancheggia il pigro gelo. La terra inaridita, E calcate dal piè fremono in suono, 1 Qual è, che vinto alla virtù d'amore Una cara mestizia accoglie in core. Celere vola, qual, se l'aere fende, Quale al soffio del vento Si dilegua la nebbia, e non offende 1 Chiunque. |