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POESIE SCELTE.

L'ASINO

APOLOGO.

TEMPO già fu che le feroci belve La pantera, il Leon, la Tigre e il Pardo, E qualunque altro abitator di selve Animale più intrepido e gagliardo, Al dominio dell' uom soggetto fue; Come in oggi il Caval, l'Asino e il Bue. Ma di lor forze accortisi costoro, E disdegnando un più lungo servaggio, Di comun voto stabilir fra loro Di dispiegar tutto il natío coraggio, Onde sottrarsi a quell' indegno giogo, Ed al desio di libertà dar sfogo.

E a qual fine, dicevano, a qual uso Diecci dunque natura ardire e forza, E d'unghia il piè ci armò, di zanna il muso, Se la fronte a piegar ci obbliga e sforza Moto di verga fral, qualor l'impone Colui, che a suo piacer di noi dispone?

E in noi tutto il furor non si ralluma Al sol rammemorare onte si fatte? E in questo dir ciascuna sbuffa e spuma E colla fiera zampa il suolo batte; E l'una l'altra stimola ed incita Al grand' onor di quell'impresa ardita.

E tutte a un tempo concordevolmente Rupper le funi, le catene e i lacci, Onde avvinte gemean miseramente, E i duri pesi e i vergognosi impacci Scossero dal lor dosso, e dalle spalle, E dei padroni abbandonar le stalle.

Ai tremendi ruggiti, agli urli atroci I tremanti custodi impallidiro; Ne delle belve orribili e feroci Alla terribil ira opporsi ardiro; E la vita salvar fur ben contenti Dalle lor unghie e dai rabbiosi denti. Quelle ogni ostacol superato e vinto, Scotendo i crini e le orgogliose teste, E l'innato seguendo ardente istinto Si sparser per le prossime foreste, E dopo schiavitù si dura e fella, La libertà loro apparia più bella.

E benedir la sorte e il Cielo amico,

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Ne ancor, dicea l'altier, nè ancor s'in-
Da quelle inique e perfide rubelli, [de;
Che per noi gli astri in cielo e il sol risplen-
Per noi volan per l'aere gli uccelli,
Per noi produce il suol fior, frutti e fronde,
E il pesce sol per noi guizza nell' onde?
Che insomma in lungo e in largo ed in
profondo

Noi pienamente, unicamente noi
Gli arbitri siamo ed i padron del mondo,
E di tutti i connessi e annessi suoi;
E che al sol voler nostro, al nostro cenno
Tutti gli enti animati obbedir denno? [te

E queste ingrate bestie, a cui ampiamen-
La semola ogni di, l'orzo e lo strame
Abbiam fornito, e che diversamente
Sarian forse di già morte di fame,
Osan sottrarsi con empio attentato
A quell' autorità che il Ciel ne ha dato?

Chè più si tarda omai, chè più si bada? Quella malvagia indocile genia Tosto a punir, e a sterminar si vada, Come lo merta la lor fellonia; Sol che noi ci mostriamo, al nostro piede Verran prostrati a domandar mercede. In questo dir patenti e circolari D'ogni intorno spedir, dispacci, e pieghi Contro i ribelli stolti e temerari, In congresso a invitar tutti i colleghi, Ove fu per concorde opinione Decretata la lor distruzione.

Onde per adempire il gran decreto Tolti ai mestieri, o al lavorar la terra, Servi, operai, villan col birro dreto Spinsero a forza in quella strana guerra, Cui di pubblico ben, di ben di stato,

E di causa comun titol fu dato.

Costor di lance armati e d'alabarde, Di spuntoni, di freccie e di zagaglie, Le feroci assalir belve gagliarde Nei lor rifugi e nelle lor boscaglie; E in guisa tal per gl'interessi altrui, Una parte pugno, l'altra pe' sui.

Ma ciò che fe' di lor più gran sterminio Non l'armi fur, ma un tal famoso astuto Ricco amministrator d'ampio dominio, D'attorno formidabile e temuto Pei perigliosi suoi furbi artifici Dai possessor rivali, e dagli amici.

Nata non era ancora alma più nera; Di sangue, di violenze e di rapina Pasceasi solo, e suo piacer sol era L'altrui calamità, l'altrui ruina; Pel suo interesse, o immaginato o vero, Posto a soqquadro avrebbe il mondo inteLusingava i lontani ed i vicini [ro. E con speranze e con promesse accorte; Ma posciaché gli avea tratti a' suoi fini Gli abbandonava alla lor cruda sorte;

E

per tai modi avea sparsa per tutto
La disperazione, il pianto e il lutto.
Costui contro le belve a forza d'oro
Fe' tante costruir macchine e ordigni,
Tante trappole tese contro loro,

E tanti inganni usò scaltri e maligni,
Che per l'insidie sue restaro estinte
Molte di lor, più che dall' armi vinte.

Si fe' di quelle inferocite fiere,
Si fe' d' umane vittime un carnaio;
Ma siccome Leon, Tigri e Pantere
Non fan distinzion fra Tizio e Caio,
In queli eccidio atroce e sanguinario,
Fu ancor involto un possessor primario.
Ma l'ardir delle fiere, e la possanza,
Il forte sito e l'inacesso calle

Alfin tolse al nemico ogni speranza,
E lo costrinse a volgere le spalle;
E van riconosciuto il suo disegno,
Abbandonaro il mal tentato impegno.

E gli antichi padroni, il primo foco
Rallentatosi alquanto al tristo saggio,
Persero a lungo andare appoco appoco
Fin la memoria del preteso oltraggio,
E a lor piacer le belve lasciand' ire,
Cesso d'assoggettarle anche il desire.
E in guisa tal le valorose fere
Venute al fin di quella grande impresa,
Tranquille cominciarono a godere,
Senza timor d'insulto o di
La spaziosa libera campagna,

sorpresa,

Le valli, le foreste e la montagna.

Indi in riguardo di ciascuna spezie Certe leggi fissår, statuti e patti, Che quantunque parer poteano inezie A chi non conoscea le cose e i fatti, Pur erano opportuni e necessarii Ai caratteri loro e istinti varii.

Fra questi annoverar si dee quell'uso D'unirsi insieme in certi di dell' anno, Senza che alcun di maggior forza abuso Facendo, altrui recasse offesa o danno, Dell' acquistata libertà in memoria, Ove concorser tutte alla vittoria.

Perciò Tigre, Leone, Orso e Pantera, Sendosi insieme affratellati un giorno, Per digerir, discorrerla e far sera, Lentamente pel bosco ivano attorno, Sicche quei ferocissimi animali Divenuti parean fratei carnali.

[volta

Più non dobbiam, dicean, come una Dei guardian la volontà seguire; Liberamente a questa o a quella volta Ovunque più ci aggrada, or possiam'ire ; E faceano un confronto ragionato Fra lo stato presente ed il passato.

Ben rammento, il Leon dicea talora, I giorni in cui schiavi vivemmo e servi, E giovi a noi di rammentarlo ognora, Quando ossequio ai padron vani e protervi Di vil custode a un fischio, a un guardo, a un segno

Prestar dovemmo obbrobrioso indegno.
Con pompa allor ridicolosa e sciocca
Ricco drappo talor copriaci il dorso,
Talor al collo a noi poneasi, e in bocca
Gemmata la catena, aurato il morso;
Marche di servitù, ma non mai lice
Per umilianti fregi esser felice.

Mentre cosi sen givano a sollazzo,
Vider da un lato alzarsi un polverio,
E uno strepito udiro, uno schiamazzo,
Uno scoppiar di fruste, un calpestio,
Ragli asinini e voci sgangherate,
Urli, fischi, batoste e bastonate.

E curiosi di veder cos' era, S'avvicinar donde il romor venía, E di dietro alle piante una gran schiera Vider d'Asini carchi in sulla via, La qual radea l'estremità del bosco, Ove già divenía men spesso e fosco.

Al sole ardente, sull' adusta arena Sotto gli enormi pesi a orecchi bassi, Grondanti di sudor, traendo appena Il fiato, sen veníano a lenti passi;

I condottieri, a colpi risonanti,
E bestemmiando li spingeano avanti.
Menan color la noderosa mazza
Su quelle bestie aflaticate e stanche,
E se ogni colpo non le atterra e ammazza,
Le natiche fa lor torcere e l'anche,
Ed è miracol se non crepan tutte
Dalla fatica e dal baston distrutte.
All'ingrato spettacolo di quelli
Trattamenti durissimi inumani,
Che facevano ai docili Asinelli
I condottieri lor aspri e villani,
Pietà mista di sdegno infin le fiere
Provâr, quantunque alla pietà straniere.

E la Tigre propose, e fu d'avviso
Di doversi protegger quelle bestie,
E assaltando i custodi all'improvviso
Sottrarle a si crudeli aspre molestie;
E che dovean dell' altre bestie al pari
Liberi dichiararsi anche i Somari.

E acciò vie più s'accresca e si dilati
Di libertà l'imperscrittibil regno,
Ognor con nuovi amici ed alleati,
Progetto util propongo e di noi degno,
Che debbano con pubblico decreto
Gli Asini riunirsi al nostro ceto.

Ma la parola allor prese il Leone,
E dichiarossi di tutt' altra idea;
E siccome stimato il Salomone
Egli era delle bestie, e possedea
Un certo filosofico talento,
Venne fuor con un bel ragionamento.

E incominciò: Della preopinante
La nobile ferocia io lodo e approvo;
Suo vigor, suo coraggio e di sue tante
Prodezze il vanto a niun di noi è nuovo ;
Ma prima di decidere conviene
Badar che, se si fa, si faccia bene.

Non tutti gli animali, o amici cari,
Per apprezzar la libertà son fatti;
Vuolci energia nell' animo, e i Somari
Fin dall' origin loro assuefatti

Basto e soma a portar vili e codardi, [di.
Non son, come siam noi, strenui e gagliar-
Alla fatica ed al bastone avvezzo
Sotto la schiavitù che oppresso il tiene,
Di libertà l'Asino ignora il prezzo,
Perocchè non distingue il mal dal bene.
Invecchiata abitudine i più esperti,
Non che i Somar stupidi rende e inerti.

E aggiungo altro politico riflesso,
Che, per costume e per natura ignavo,
Nè capace a difendere sè stesso,
Come suol animal valente e bravo,

L'Asin da noi dovendo esser difeso,
Non d'util ci sarebbe, ma di peso.

Di quel forte animal nessuno ardio, Ai savii detti contraddir. Ma intanto, Per bastonar qualche Asino restío, Scorsi eran gli asinai più avanti; e alquanto Indietro, e separato un po' dal branco Un' Asino seguía spossato e stanco.

All' Orso, che buffone per natura Era il pagliaccio della compagnia, O per far burla o per mostrar bravura, Venne in capo una strana fantasia : D'improvviso quell' Asino pel collo Chiappò, e dentro il bosco trascinollo. A quel tratto di spirito dell' Orso Molto il Leon non parve applauso fare; Ma quegli tenne a lui questo discorso: Tra noi lasciamlo, ci potrà spassare Colla musica sua; ardito e destro Diverrà tosto; io gli farò il maestro ;

Cangiar farogli istinto, indole e voglia; Non fo per dir, ma tutti san, tu il sai, Per fisica e moral, per qualsivoglia Pubblica istruzion son forte assai, Mentre l'Orso vantavasi in tal guisa L'altre belve crepavan dalle risa.

La Pantera, che far la spiritosa Amava spesso, e la motteggiatrice, Si alle bestie, che all' uom natural cosa, Si volge all' Orso serridendo, e dice: Permetti pur che d'amicizia un sfogo lo faccia de' Somari al pedagogo;

Da te, so ben, che tutto attender devo: Dell' Asino col tuo vasto talento Farai, lo so, maraviglioso allievo; Ma dagli Orsi educati io non rammento Asini aver mai visti a tempo mio: E ghignando il Leon : Ben gli ho vist'io, Ma il povero Asinel, che si vedea Da quell' orrende fiere attorniato, Tremava di paura, e si credea Dovere a ogni momento esser sbranato : E l'Orso allor, che protettor sen rese, Amicamente a confortar lo prese.

Non paventar, diceva, o Somarello, Non paventar, tu qui fra noi potrai Viver liberamente e da fratello. Mangerai, beverai, passeggerai : Allegro dunque stattene e tranquillo, E facci udire un qualche tuo bel trillo. Signori, disse il timido giumento, Che al tuon franco e deciso, e alle maniere, Ai sguardi, ai moti, agli atti, al portamenAlle nappute code, alle criniere, [to,

E al pel lungo e dipinto a più colori,
Li credea fra le bestie gran signori;

Signori, io sono un povero Somaro
Senza spirito alcun, senza talenti,
Ne buono egual sarei, nè buon scolaro ;
Troppo le nostre idee son differenti;
Lasciate per pietà, lasciate ch'io
A far l'Asino torni al branco mio.

Per parentesi far riflessione

Qui deggio, che, benchè con tal modestia L'Asin parlasse in quella occasione, Anch' egli è in fondo una superba bestia; Ma ognor coi più potenti e coi più forti A bassezze e viltadi avvien si porti.

Dunque, la Tigre allor disse sdegnosa, Dunque alla libertà preferir puoi La schiavitù più dura e vergognosa, E che dagli asinai padroni tuoi Irremissibilmente ti sian date Mattina e sera un carco di legnate?

Scusa, madama, l'Asino ripiglia, Quei che son, che saranno, e che son stati Di tutta quanta l'asinil famiglia, Furon, sono, e saranno bastonati: E vuoi fra tutti della stirpe mia, Ch'io solo bastonato, io sol non sia? Un buon pasto, interruppe la Pantera, Voi troverete preparato almeno Al vostro albergo in ritornar la sera. Cui l'Asin: Nostro pasto è un po' di fieno, O strame, o paglia putrefatta e guasta, E alcuna volta un po' di crusca, e basta. Vero è che l'asinaio e beve e mangia Frutta, erbe, vin, che noi portiamo a casa, E spesso il cibo e le bevande cangia; Ma se talun di noi soltanto annasa Piatto alcun destinato alla sua cena, Del temerario ardir paga la pena.

Il grande onor d'assistergli alla mensa Qualche gatto buffon, qualche can grosso Gode soltanto, a cui il padron dispensa Talor tozzo di pane, ovver qualche osso; Ma tai distinzion, onor si belli Non sono per li poveri Asinelli.

E la Pantera: Oh che animal melenso!
Torpore tal non te lo passo liscio.
Hai tu vita? hai tu moto ? hai sangue ? hai
senso?

O nelle vene hai tu per sangue piscio ?
Nulla sente quell' anima di stoppa:
Per Dio, cotanta stupidezza è troppa!
Inver rider mi fai colla tua furia,
Pantera mia, disse il Leon, deh cessa
Dallo stupirti! benefizio o ingiuria

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per gli Asini ognor la cosa stessa. Ma intanto, non badando a chicchessia, L'Asin lasciava dire, e proseguía.

[to

Accordo che il padron spesso un pochetPartecipar dell'asino Anch'ei pare; Ma gli Asin di più credito e rispetto [re: Sostengon che un padron non può sbagliaOnd'io docil rinunzio ai dubbi miei. E l'Orso In vero un gran buffon tu sei.

Vero è che talor parmi tristo e brutto Di schiavitù lo stato, in cui rimango; Ma noi siam nulla, ed il padrone è tutto ; Essi son oro, e noi siam feccia e fango: Onde venero anch'io la schiavitù. E l'Orso: In vero un gran buffon sei tu.

Ma per compenso in certi di di festa, E pennacchi in gran pompa, e campanelli Ci si appiccano al collo, e in sulla testa, E fiocchi, e nappe, e ciondoli, e bindelli, Che lusingan la nostra ambizione: E l'Orso: E sempre sei un gran buffone.

Più de' discorsi tuoi stimo i tuoi ragli; Tu dunque per un po' di fieno o strame, E per quei fiocchi, ciondoli e sonagli Tranquillo ognor soffri il baston, la fame? Ti compiango non già schiavo in vederti ; Ma ti compiango sol, perchè lo merti.

L'Asin che in mezzo a quei ragionamenti Vedeasi ancor fra quei signori illeso, Calmati alquanto i primi suoi spaventi, Un po' più di coraggio aveva preso, Onde pensò di far l'apologia Di tutta in general l' Asineria.

Poichè con quei dialoghi e discorsi Credea d'aver convinti e persuasi Le Pantere, i Leon, le Tigri e gli Orsi; Onde, come accadere in tali casi [tro Suol fra gli uomini ancor, se sovra ogni alCredea saputo, spiritoso e scaltro.

E a mente richiamatosi parecchi Lochi topici, e termin ripetuti Dai compagni, e dagli Asini più vecchi, Rizzò l'orecchia, e in atti sostenuti Si pose in gravità per farsi onore, E darsi l'aria d' Asino oratore.

E incominciò: A che far tanto chiasso Perchè l'Asino all' uom vive sommesso, Se ovunque il guardo, ovunque volgo il

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La Pecora, la Capra, il Bue cornuto, Che al collo sotto il giogo ha fatto il callo, E tanti altri animai ch' or io non nomo, Al dispotismo soggiacer dell'uomo?

Noi sappiam che a ogni specie d'animali Dal destino assegnossi il proprio stato : Restin tranquilli, e se non restan tali, Son reluttanti agli ordini del fato; [vi, Se avvien che nel suo stato ognun guai troPerchè cangiando, in traccia andar di nuovi ? [dee Dunque il meglio in cercar mai non si La pubblica turbar tranquillità. E l'Orso allor: Giusta codeste idee Sempre il pubblico tuo soffrir dovrà L'arbitrario baston; ma pur non veggio, Meglio in cercar, che può temer di peggio.

Non debbon no perturbator protervi La tranquillità pubblica turbare; Ma se il duro asinaio a cui tu servi, A capiccio e perchè così a lui pare, Mena il baston sull'asinina turba, La lor tranquillità egli è che turba.

Piano un tantino, interrompendo l'Orso,
L'Asino esclama allor, piano un tantino;
Diretto è a traviar cotal discorso
L'opinion del pubblico asinino,
E puzza alquanto un simil argomento
Di rivoluzionario istigamento.

Ma tolga il Ciel, che mai di noi si dica
Che ribelli al legittimo padrone
Siam divenuti per scansar fatica,

0
per
timor di frusta e di bastone.
Noi siam di buona fe, fidi e sicuri,
In somma Asini veri, Asini puri.

[re,

Mentre con grand' impegno e gran calo-
Avanti la salvatica assemblea,
La disputa fra l'Asino oratore
E quell' Orso filosofo fervea,
Alle grida di quei disputatori
Accorser altre fiere, altri uditori.

L'Asino settator parve agli astanti
Di dottrine dannevoli e non sane ;
Troppo l'idee di lui, troppo distanti
Parvero dall'idee repubblicane;
E domandato fu altamente attorno
Di rappellarlo all'ordine del giorno.

Ma la Tigre crede che inteso a fare
Controrivoluzion l'Asino fosse :
Con nari enfiate incominciò a soffiare;
E con pupille come brace rosse,
E più sollrire il temerario e folle
Perorar di quell' Asino non volle.
Con i fremiti suoi pria l'interruppe:

E fino a quando resterà impunita,
In tuon tronco e confuso altin proruppe,
Di cotestui l'impertinenza ardita?
No, ch' io non soffrirolla, onde i Somari
Non osin più insultar le nostre pari.

In questo dir la formidabil fiera,
Che terribil nell'ira estremamente
E sanguinaria e terrorista ell'era,
[te,
L'unghia spiegando ed arruotando il den-
Sul tremante Asinel lanciossi a un tratto,
Impetuosa di sbranarlo in atto.

L'Asin perduto allor quel po' di pria
Efimero ed apocrifo ardimento,
Torna alla natural vigliaccheria :
Tremava tutto come foglia al vento,
Col muso a terra e colle orecchie basse,
E la fera attendea, che lo sbranasse.

E se non era che opportuno venne
Il Leon generoso in suo sussidio,
Ed abbrancò la Tigre, e la ritenne
Dal commetter quel brutto asinicidio,
L'Asin periva, e in lui l'Asineria
Il suo grand' orator perduto avria.

E non tel diss' io già, quel fier dicea, Che non per libertà gli Asin son fatti? Requisiti non n' han, non n' hanno idea. Ma non fia mai però, che tinga e imbratti, O amica Tigre, una par tua vilmente, Nell'asinino sangue, e l'ugna e il dente.

Non è de' sdegni tuoi degno un Somaro;
Colui, giusta il comun stile asinesco,
Ciò che ode sol ripete, affatto ignaro
Della storia e del jus animalesco;

E debbe un animal si sciocco e vile
Più in noi destar compassion che bile. [so,

A cui la Tigre: E non udisti ?... Ho inte-
Riprese quei, ma ogniqualvolta ho udito,
Ch' Asino schiavo abbia talor preteso
Di filosofeggiar, m' ha divertito;
Perché quel detto antico io so, tu il sai,
Raglio d'Asino al ciel non giunse mai.
Si rimandi quell' Asino frai suoi,
Senza recargli altra molestia o noia;
Affratellarsi non può mai con noi
Vil schiavo: Asino visse, Asino muoia :
Che un Asino non può cangiar mai tempre,
Ed è in qualunque stato Asino sempre.
Le moderate tue nobili idee,
La Tigre allor, frenata un po' la rabbia,
Venero disse, ma badar si dee
Sempre alle conseguenze, onde non abbia
Alla pubblica causa un di cotesto
Moderantismo a divenir funesto.
E poiche fra le fere un fanatismo

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