POESIE SCELTE. L'ASINO APOLOGO. TEMPO già fu che le feroci belve La pantera, il Leon, la Tigre e il Pardo, E qualunque altro abitator di selve Animale più intrepido e gagliardo, Al dominio dell' uom soggetto fue; Come in oggi il Caval, l'Asino e il Bue. Ma di lor forze accortisi costoro, E disdegnando un più lungo servaggio, Di comun voto stabilir fra loro Di dispiegar tutto il natío coraggio, Onde sottrarsi a quell' indegno giogo, Ed al desio di libertà dar sfogo. E a qual fine, dicevano, a qual uso Diecci dunque natura ardire e forza, E d'unghia il piè ci armò, di zanna il muso, Se la fronte a piegar ci obbliga e sforza Moto di verga fral, qualor l'impone Colui, che a suo piacer di noi dispone? E in noi tutto il furor non si ralluma Al sol rammemorare onte si fatte? E in questo dir ciascuna sbuffa e spuma E colla fiera zampa il suolo batte; E l'una l'altra stimola ed incita Al grand' onor di quell'impresa ardita. E tutte a un tempo concordevolmente Rupper le funi, le catene e i lacci, Onde avvinte gemean miseramente, E i duri pesi e i vergognosi impacci Scossero dal lor dosso, e dalle spalle, E dei padroni abbandonar le stalle. Ai tremendi ruggiti, agli urli atroci I tremanti custodi impallidiro; Ne delle belve orribili e feroci Alla terribil ira opporsi ardiro; E la vita salvar fur ben contenti Dalle lor unghie e dai rabbiosi denti. Quelle ogni ostacol superato e vinto, Scotendo i crini e le orgogliose teste, E l'innato seguendo ardente istinto Si sparser per le prossime foreste, E dopo schiavitù si dura e fella, La libertà loro apparia più bella. E benedir la sorte e il Cielo amico, Ne ancor, dicea l'altier, nè ancor s'in- Noi pienamente, unicamente noi E queste ingrate bestie, a cui ampiamen- Chè più si tarda omai, chè più si bada? Quella malvagia indocile genia Tosto a punir, e a sterminar si vada, Come lo merta la lor fellonia; Sol che noi ci mostriamo, al nostro piede Verran prostrati a domandar mercede. In questo dir patenti e circolari D'ogni intorno spedir, dispacci, e pieghi Contro i ribelli stolti e temerari, In congresso a invitar tutti i colleghi, Ove fu per concorde opinione Decretata la lor distruzione. Onde per adempire il gran decreto Tolti ai mestieri, o al lavorar la terra, Servi, operai, villan col birro dreto Spinsero a forza in quella strana guerra, Cui di pubblico ben, di ben di stato, E di causa comun titol fu dato. Costor di lance armati e d'alabarde, Di spuntoni, di freccie e di zagaglie, Le feroci assalir belve gagliarde Nei lor rifugi e nelle lor boscaglie; E in guisa tal per gl'interessi altrui, Una parte pugno, l'altra pe' sui. Ma ciò che fe' di lor più gran sterminio Non l'armi fur, ma un tal famoso astuto Ricco amministrator d'ampio dominio, D'attorno formidabile e temuto Pei perigliosi suoi furbi artifici Dai possessor rivali, e dagli amici. Nata non era ancora alma più nera; Di sangue, di violenze e di rapina Pasceasi solo, e suo piacer sol era L'altrui calamità, l'altrui ruina; Pel suo interesse, o immaginato o vero, Posto a soqquadro avrebbe il mondo inteLusingava i lontani ed i vicini [ro. E con speranze e con promesse accorte; Ma posciaché gli avea tratti a' suoi fini Gli abbandonava alla lor cruda sorte; E per tai modi avea sparsa per tutto E tanti inganni usò scaltri e maligni, Si fe' di quelle inferocite fiere, Alfin tolse al nemico ogni speranza, E gli antichi padroni, il primo foco sorpresa, Le valli, le foreste e la montagna. Indi in riguardo di ciascuna spezie Certe leggi fissår, statuti e patti, Che quantunque parer poteano inezie A chi non conoscea le cose e i fatti, Pur erano opportuni e necessarii Ai caratteri loro e istinti varii. Fra questi annoverar si dee quell'uso D'unirsi insieme in certi di dell' anno, Senza che alcun di maggior forza abuso Facendo, altrui recasse offesa o danno, Dell' acquistata libertà in memoria, Ove concorser tutte alla vittoria. Perciò Tigre, Leone, Orso e Pantera, Sendosi insieme affratellati un giorno, Per digerir, discorrerla e far sera, Lentamente pel bosco ivano attorno, Sicche quei ferocissimi animali Divenuti parean fratei carnali. [volta Più non dobbiam, dicean, come una Dei guardian la volontà seguire; Liberamente a questa o a quella volta Ovunque più ci aggrada, or possiam'ire ; E faceano un confronto ragionato Fra lo stato presente ed il passato. Ben rammento, il Leon dicea talora, I giorni in cui schiavi vivemmo e servi, E giovi a noi di rammentarlo ognora, Quando ossequio ai padron vani e protervi Di vil custode a un fischio, a un guardo, a un segno Prestar dovemmo obbrobrioso indegno. Mentre cosi sen givano a sollazzo, E curiosi di veder cos' era, S'avvicinar donde il romor venía, E di dietro alle piante una gran schiera Vider d'Asini carchi in sulla via, La qual radea l'estremità del bosco, Ove già divenía men spesso e fosco. Al sole ardente, sull' adusta arena Sotto gli enormi pesi a orecchi bassi, Grondanti di sudor, traendo appena Il fiato, sen veníano a lenti passi; I condottieri, a colpi risonanti, E la Tigre propose, e fu d'avviso E acciò vie più s'accresca e si dilati Ma la parola allor prese il Leone, E incominciò: Della preopinante Non tutti gli animali, o amici cari, Basto e soma a portar vili e codardi, [di. E aggiungo altro politico riflesso, L'Asin da noi dovendo esser difeso, Di quel forte animal nessuno ardio, Ai savii detti contraddir. Ma intanto, Per bastonar qualche Asino restío, Scorsi eran gli asinai più avanti; e alquanto Indietro, e separato un po' dal branco Un' Asino seguía spossato e stanco. All' Orso, che buffone per natura Era il pagliaccio della compagnia, O per far burla o per mostrar bravura, Venne in capo una strana fantasia : D'improvviso quell' Asino pel collo Chiappò, e dentro il bosco trascinollo. A quel tratto di spirito dell' Orso Molto il Leon non parve applauso fare; Ma quegli tenne a lui questo discorso: Tra noi lasciamlo, ci potrà spassare Colla musica sua; ardito e destro Diverrà tosto; io gli farò il maestro ; Cangiar farogli istinto, indole e voglia; Non fo per dir, ma tutti san, tu il sai, Per fisica e moral, per qualsivoglia Pubblica istruzion son forte assai, Mentre l'Orso vantavasi in tal guisa L'altre belve crepavan dalle risa. La Pantera, che far la spiritosa Amava spesso, e la motteggiatrice, Si alle bestie, che all' uom natural cosa, Si volge all' Orso serridendo, e dice: Permetti pur che d'amicizia un sfogo lo faccia de' Somari al pedagogo; Da te, so ben, che tutto attender devo: Dell' Asino col tuo vasto talento Farai, lo so, maraviglioso allievo; Ma dagli Orsi educati io non rammento Asini aver mai visti a tempo mio: E ghignando il Leon : Ben gli ho vist'io, Ma il povero Asinel, che si vedea Da quell' orrende fiere attorniato, Tremava di paura, e si credea Dovere a ogni momento esser sbranato : E l'Orso allor, che protettor sen rese, Amicamente a confortar lo prese. Non paventar, diceva, o Somarello, Non paventar, tu qui fra noi potrai Viver liberamente e da fratello. Mangerai, beverai, passeggerai : Allegro dunque stattene e tranquillo, E facci udire un qualche tuo bel trillo. Signori, disse il timido giumento, Che al tuon franco e deciso, e alle maniere, Ai sguardi, ai moti, agli atti, al portamenAlle nappute code, alle criniere, [to, E al pel lungo e dipinto a più colori, Signori, io sono un povero Somaro Per parentesi far riflessione Qui deggio, che, benchè con tal modestia L'Asin parlasse in quella occasione, Anch' egli è in fondo una superba bestia; Ma ognor coi più potenti e coi più forti A bassezze e viltadi avvien si porti. Dunque, la Tigre allor disse sdegnosa, Dunque alla libertà preferir puoi La schiavitù più dura e vergognosa, E che dagli asinai padroni tuoi Irremissibilmente ti sian date Mattina e sera un carco di legnate? Scusa, madama, l'Asino ripiglia, Quei che son, che saranno, e che son stati Di tutta quanta l'asinil famiglia, Furon, sono, e saranno bastonati: E vuoi fra tutti della stirpe mia, Ch'io solo bastonato, io sol non sia? Un buon pasto, interruppe la Pantera, Voi troverete preparato almeno Al vostro albergo in ritornar la sera. Cui l'Asin: Nostro pasto è un po' di fieno, O strame, o paglia putrefatta e guasta, E alcuna volta un po' di crusca, e basta. Vero è che l'asinaio e beve e mangia Frutta, erbe, vin, che noi portiamo a casa, E spesso il cibo e le bevande cangia; Ma se talun di noi soltanto annasa Piatto alcun destinato alla sua cena, Del temerario ardir paga la pena. Il grande onor d'assistergli alla mensa Qualche gatto buffon, qualche can grosso Gode soltanto, a cui il padron dispensa Talor tozzo di pane, ovver qualche osso; Ma tai distinzion, onor si belli Non sono per li poveri Asinelli. E la Pantera: Oh che animal melenso! O nelle vene hai tu per sangue piscio ? per gli Asini ognor la cosa stessa. Ma intanto, non badando a chicchessia, L'Asin lasciava dire, e proseguía. [to Accordo che il padron spesso un pochetPartecipar dell'asino Anch'ei pare; Ma gli Asin di più credito e rispetto [re: Sostengon che un padron non può sbagliaOnd'io docil rinunzio ai dubbi miei. E l'Orso In vero un gran buffon tu sei. Vero è che talor parmi tristo e brutto Di schiavitù lo stato, in cui rimango; Ma noi siam nulla, ed il padrone è tutto ; Essi son oro, e noi siam feccia e fango: Onde venero anch'io la schiavitù. E l'Orso: In vero un gran buffon sei tu. Ma per compenso in certi di di festa, E pennacchi in gran pompa, e campanelli Ci si appiccano al collo, e in sulla testa, E fiocchi, e nappe, e ciondoli, e bindelli, Che lusingan la nostra ambizione: E l'Orso: E sempre sei un gran buffone. Più de' discorsi tuoi stimo i tuoi ragli; Tu dunque per un po' di fieno o strame, E per quei fiocchi, ciondoli e sonagli Tranquillo ognor soffri il baston, la fame? Ti compiango non già schiavo in vederti ; Ma ti compiango sol, perchè lo merti. L'Asin che in mezzo a quei ragionamenti Vedeasi ancor fra quei signori illeso, Calmati alquanto i primi suoi spaventi, Un po' più di coraggio aveva preso, Onde pensò di far l'apologia Di tutta in general l' Asineria. Poichè con quei dialoghi e discorsi Credea d'aver convinti e persuasi Le Pantere, i Leon, le Tigri e gli Orsi; Onde, come accadere in tali casi [tro Suol fra gli uomini ancor, se sovra ogni alCredea saputo, spiritoso e scaltro. E a mente richiamatosi parecchi Lochi topici, e termin ripetuti Dai compagni, e dagli Asini più vecchi, Rizzò l'orecchia, e in atti sostenuti Si pose in gravità per farsi onore, E darsi l'aria d' Asino oratore. E incominciò: A che far tanto chiasso Perchè l'Asino all' uom vive sommesso, Se ovunque il guardo, ovunque volgo il La Pecora, la Capra, il Bue cornuto, Che al collo sotto il giogo ha fatto il callo, E tanti altri animai ch' or io non nomo, Al dispotismo soggiacer dell'uomo? Noi sappiam che a ogni specie d'animali Dal destino assegnossi il proprio stato : Restin tranquilli, e se non restan tali, Son reluttanti agli ordini del fato; [vi, Se avvien che nel suo stato ognun guai troPerchè cangiando, in traccia andar di nuovi ? [dee Dunque il meglio in cercar mai non si La pubblica turbar tranquillità. E l'Orso allor: Giusta codeste idee Sempre il pubblico tuo soffrir dovrà L'arbitrario baston; ma pur non veggio, Meglio in cercar, che può temer di peggio. Non debbon no perturbator protervi La tranquillità pubblica turbare; Ma se il duro asinaio a cui tu servi, A capiccio e perchè così a lui pare, Mena il baston sull'asinina turba, La lor tranquillità egli è che turba. Piano un tantino, interrompendo l'Orso, Ma tolga il Ciel, che mai di noi si dica 0 [re, Mentre con grand' impegno e gran calo- L'Asino settator parve agli astanti Ma la Tigre crede che inteso a fare E fino a quando resterà impunita, In questo dir la formidabil fiera, L'Asin perduto allor quel po' di pria E se non era che opportuno venne E non tel diss' io già, quel fier dicea, Che non per libertà gli Asin son fatti? Requisiti non n' han, non n' hanno idea. Ma non fia mai però, che tinga e imbratti, O amica Tigre, una par tua vilmente, Nell'asinino sangue, e l'ugna e il dente. Non è de' sdegni tuoi degno un Somaro; E debbe un animal si sciocco e vile A cui la Tigre: E non udisti ?... Ho inte- |