Sayfadaki görseller
PDF
ePub

era andata l'antica legge; ma quando fu richiamata in osservanza, il Foscari ne dettò, ai 15 luglio 1533, un sunto di sole due pagine.

3.o Relazione di M. Foscari tornato da Cesare. Conservasi nell'Archivio generale di Venezia, e non è che un brevissimo cenno della missione ch'ebbe comune con Marco Minio, Girolamo da Pesaro e Lorenzo Bragadino, d'incontrare l'Imperatore ai confini del Friuli (1532) (1).

Del Foscari parlò il Litta nella sua opera « Famiglie celebri italiane » l'Albèri, a pag. 94-96 della suddetta serie 2a, vol. I delle Relazioni, ed Emanuele Cicogna a pag. 13, 14, 15 dell'opuscolo: Discorso di Stefano Piazzone da Asola ai giovani veneziani studiosi della eloquenza. Venezia, Alvisopoli 1840, 8.° I quali due, cioè l'Albèri e il Cicogna, certificarono con buoni argomenti a quale dei due Marco Foscari contemporanei, fossero da attribuire le sopradette ambascerie.

(1) In uno dei Codici della biblioteca imperiale di Vienna, trovasi un'orazione detta in Senato da Marco Foscari, colla quale consigliava di venire a qualche accordo con Solimano, e di deporre le armi. Arch. Stor. Ital. Tom. V. pag. 453.

Il Foscari cominciò a dire, che l'ufficio degli oratori consiste in tre cose: operare, eseguire e riferire; ed essendo stato tre anni alla legazione di Roma, restavagli di riferire; perchè delle sue operazioni aveva di tempo in tempo scritto. E prima disse, che andò da papa Adriano con gli altri colleghi a dargli obedienza, e che poi rimase presso di lui. Il quale Adriano era buon pontefice, amico di questo illustrissimo Dominio ( di Venezia), uomo pacifico e che desiderava il bene della cristianità: era misero (1), accumulava danari, faceva grandissimo capitale di questo stato, inimico del reverendissimo Medici, che ora è pontefice (2); cui il papa, dopo la partenza del cardinal Soderini, non avendo certa pratica delle cose di stato, invitò a Roma; ove stava con grandissima riputazione e governava il papato, ed aveva più gente alla sua udienza quasi che il papa. Da questo papa si ebbero due decime al clero, per le quali poi papa Clemente mandò il breve; e se fosse vissuto, esso oratore si prometteva di avere la giurisdizione

(1) Vale gretto e tenace. Anche in una lettera diretta al cardinal del Fiesco e conservataci nel vol. XXXIII dei Diari di Marin Sanuto, viene dipinto così: Vir est sui tenax, in concedendo parcissimus; in recipiendo nullus aut rarissimus. In sacrificio cotidianus et matutinus est. Quem amet, aut si quem amet, nulli exploratum. Ira non agitur, jocis non ducitur. Neque ob pontificatum visus est exultasse; quin constat, graviter illum ad ejus famam nuntii ingemuisse etc.

(2) Clemente VII.

del Golfo (1), ma non già Ravenna e Cervia, come gli fu richiesto. A lui successe questo pontefice Clemente settimo, il quale fu eletto per la discordia in Conclave; perocchè il cardinal Colonna, con ventitrè cardinali prima congiurati contro di lui, corrucciatosi colla sua parte, volle far questo Medici, e così gli altri cardinali concorsero a farlo (2).

Questo pontefice è di anni 48; uomo prudente e savio, ma lungo a risolvere; e di qua vengono le sue operazioni varie. Discorre bene, vede tutto, ma è molto timido. Niuno in materia di stato può sopra di lui: ode tutti, e poi fa quello che gli pare; uomo giusto, e uomo di Dio; e in Segnatura (3), dove intervengono tre cardinali e tre tre referendarii, non faria cosa in pregiudizio di altri; e quando segna qualche supplicazione, non revoca più, come faceva papa Leone, il quale segnava a molti. Questo pontefice non vende beneficii, nè li da per simonia; non toglie ufficii con dar beneficii, come faceva papa Leone, ed altri; ma vuole che tutto passi rettamente. Non ispende nè dona quello degli altri; però è riputato misero. Ma papa Leone era liberalissimo e spendeva assai e donava: questo fa tutto il contrario; per lo che vi è qualche mormorazione in Roma; anche per causa del cardinale Armellino (4), il quale trovava molte invenzioni per far danari in Roma; e fa mettere nuove angherie, e fino chi porta tordi in Roma e altre cose da mangiare, paga un tanto; la quale angheria importa da ducati duemila cinquecento; ed anche perchè, al tempo della carestia che fu in Roma, avendo il papa mandato a torre frumenti in Sicilia, giunti che furono in Roma,

(1) Vale a dire la conferma della giurisdizione, intorno alla quale veggasi a pag. 18 la nota (2), alla relazione di Paolo Cappello (1510).

(2) V. il Guicciardini, e principalmente la Raccolta dei Conclavi da Clemente V (1305) sino a Clemente IX (1667), stampata nel 1668 senza indicazione di luogo.

(3) Ufficio, nel quale trattavansi i negozii intorno alle grazie e alle suppliche di beneficii o d'altro, e ai ricorsi sulla nullità dei processi, e sulle competenze delle magistrature ec. Questo uffizio è ora diviso in segnatura di Grazia e di Giustizia.

(4) Vedi a pag. 54 la nota (1), alla relazione di Marino Giorgi.

vennero a buon mercato e si guastarono, e il papa tuttavia li fece vendere, ed i pistori dovettero comperarli per forza: di che per Roma si dolsero molto.

Questo papa fa pure assai limosine; e l'oratore sa, che ha dato a chi trecento, a chi cinquecento, e a chi mille ducati per maritar figliuole; nondimeno in Roma non è amato molto. È continentissimo, nè si sa di alcuna sorte di lussuria che usi. Vive parcamente ha la sua tavola due portate di arrosti, e lesso e formaggio; dopo pasto, mangia poco e di poche cose; digiuna tutta la quaresima e le vigilie di Nostra Donna e il sabato e il venerdì santo, pane e acqua; dice messa i giorni solenni, ma non gli altri di festivi, come facevano gli altri papi; e sempre, quando mangia, ha due medici presenti, coi quali parla della qualità delle cose che si mangiano allora; poi parla in filosofia o in teologia con altri che sono lì, tra i quali monsignor Cristoforo Marcello arcivescovo di Corfù (1), il quale è dottissimo; e il papa ha gran piacere di sentirlo a disputare con frati ed altri. Non vuol buffoni nè musici; non va a caccia nè ad altri piaceri, come facevano altri pontefici. Dacchè è pontefice, è andato solo due volte fuor di Roma, alla Magnana (2); e qualche volta, ma ben rara, è andato ad una sua vigna due miglia fuori di Roma. Tutto il suo piacere è di ragionare con ingegneri e parlar di acque: concludendo l'oratore, che è uomo molto timido nelle sue operazioni, e di complessione frigida, ed uomo tutto sano; non ha schinelle, come il più dei pontefici.

Questo papa ha tre cardinali suoi nepoti. Cibo, Ridolfi e Salviati (3), che al presente è legato in Ispagna; coi quali

(1) Vedi a pag. 102 la nota (1), al sommario del viaggio degli ambasciatori veneti a Roma.

(2) Villa di Leone X.

(3) Questi erano suoi cugini, non già nepoti. Innocenzo Cibo, figlio di Maddalena sorella di papa Leone, dal quale fu fatto cardinale nel 1513. Niecolò Ridolfi, figlio d' un' altra sorella di papa Leone; da lui fatto cardinale nel 1517. Giovanni Salviati, figlio di Iacopo e di Lucrezia, sorella di Leo

.....

però non parla di cose di Stato. Ha il datario, messer Matteo Giberti (1), di nazion genovese, che è vescovo di Verona, di anni trentadue, uomo devoto e savio, e tiene la fazione francese, e puote assai col pontefice; ma in cose di stato, il papa lo ascolta e poi fa a suo modo; in altre cose circa beneficii, quello che vuole il datario fa il papa. L' altro suo intimo è fra Niccolò Schomberg, vescovo di Capua, di nazione tedesco, di età d'anni cinquantasei, uomo di grande ingegno, che tiene la parte cesarea (2); è libero nel suo parlare, e metteria la vita per l' Imperatore; e qualcosa sa dei maneggi del papa in cose di stato, e massime dove tocca lo Imperatore; altramente no. Aveva prima anche messer Giovanni Foglietta genovese, uomo di anni (3). imperiale grandissimo; ma poi che il papa si accordò colla Francia, cessò di essergli assiduo; sta bene in palazzo ancora, ma sono due anni che non ha parlato al papa; va dicendo gran male del re di Francia, ed anche del papa; è impronto e licenzioso molto della sua lingua, e dice male di tutti, ed anche della Signoria nostra senza rispetto. Questo papa ha due nepoti della casa dei Medici, ma bastardi: il signor Ippolito figlio del fu magnifico Giuliano, di anni sedici, il quale, si può dire, ha il dominio di Fiorenza, e sta al governo di quella col cardinal di Cortona (4); l'altro è il signor Alessandro, figlio del fu magnifico Piero, ne X; fatto cardinale nel 1517. Fu mandato in Ispagna subito dopo che vi fu condotto prigione il re Francesco. Vedi intorno a lui una bella nota del march. Capponi nei Documenti di Storia Italiana raccolti dal Molini. T. I, pag. 199.

(1) Vedi a pag. 70 la nota (3), alla relazione di Luigi Gradenigo. Papa Clemente mandandolo in Francia nel 1524, lo chiama « omnium arcanorum nostrorum praecipue conscium. » Vedi Molini, Documenti Vol. I. pag. 178.

(2) Niccolò Schomberg, di Misnia nella Sassonia, studiò leggi in Italia, e si fece frate domenicano a Firenze al tempo del Savonarola (1497). Divenne nel 1520 arcivescovo di Capua, poi cardinale nel 1535. Fu uomo di gran senno e prudenza, che esercitò col Giberti molta influenza sull'animo di papa Clemente nelle circostanze più gravi e difficili per la Chiesa Romana. Morì nel 1537.

(3) Credo sia errore, invece di Agostino Foglietta, zio dello storico Uberto. Di Agostino parla anche il Foscari nella sua relazione.

(4) Silvio Passerini, vescovo di Cortona. Vedi la nota (2), a pag. 69 alla relazione di Luigi Gradenigo. Ippolito figlio naturale di Giuliano duca di Nemours,

« ÖncekiDevam »