Ma quanto a' detti suoi colui volea Poichè se dell' arcano unico testo, Accio da alcun bramin perito e dotto Dell' inintelligibile linguaggio, In qualche lingua europea tradotto Ottener di quell' opra ei possa un saggio; Ma quei lo sguardo in lui torbido fisse, Di santo orror raccapricciossi, e disse: Che dici mai? Di tua colpevol brama Complice io farmi! io quello di cui femmi Custode il Cielo ed il favor di Brama, Tradir sacro deposito !... Bestemmi!... Ah! pria che profanar la santa lingua, L'ira del Ciel vendicator mi estingua! A quel sacerdotal slancio di zelo L'Inglese applaude; ma promette, e giura, Per quanto v' ha di sacro in terra, in cielo, Che se di quella mistica scrittura Ottenga version, gelosamente Terralla ascosa a ogni anima vivente. Se l'ottengo, dicea, che perderesti? Il testo qui dessi onorar? si onori; L'original qui dee restar? vi resti ; Il linguaggio ignorar sen dee? s'ignori. Se ottengo io version che non paleso, L'onor di Brama e il tuo rimane illeso. Mentre ei così ragiona, e per sì fatte Guise di quel bramin la resistenza Con armi dialettiche combatte, Un barlume di docile indulgenza Veder gli parve a quello in volto, e un ragDi speranza che accrebbegli coraggio. [gio E l'ascendente alfin straordinario Ch'egli avea su colui, qualunque ei fosse, O fisico, o morale, o pecuniario, Appoco appoco lo ammolli, lo scosse ; E maniere inspirò più mansuete Al rigorista inesorabil prete. Quale influsso, dicea, sent' io? la mia Costanza cede a ignota forza omai; A te l'alto favor concesso sia: Me traduttore e me scrittore avrai : lo delle sacre tavole in colonne Corrispondente version faronne. E acciò che a ognun resti ignorato il fatTu il giurato silenzio osserva ognora. [to, L'Anglo lieto oltremodo e sodisfatto Di cangiamento tal, di nuovo ancora [lo, Gettando al gran bramin le braccia al colDell' insigne favore ringraziollo. Quegli ogni di portossi alla pagoda, Ed essendo colà la lingua inglese, Dacchè l' Anglo vi domina, alla moda, La versione in quella lingua imprese; In men di trenta di la stese sopra Gran pergamena, e fu compita l'opra. Consegnolla all' Inglese, e in consegnarGli ripete gli stessi avvertimenti: [la Che di tenerla occulta, e di non farla Nè mai veder ne legger mai rammenti: Dir come, quando, dove e da chi l'ebbe, L'ira di Brama provocar potrebbe. Le promesse ei rinnova, ed indi ratto Sen va a veder cosa contien lo scritto, E restò ben sorpreso e stupefatto Quando del mondo vide ivi descritto Lo stato a tempi sì da noi distanti, Con una storia di animai parlanti. Or comprend'io, diceva, or comprend'io Perchè il divin Visnù siasi incarnato In vacca ed in uccel: quel loro Dio In vacca e uccel non si saria cangiato, Se avuto non avesser gli animali Facoltà, come noi, intellettuali. E siccome sapeva essere in rada Nave che in breve verso Europa gía, Abbandonando l'indica contrada, Tornar risolse all' Anglia sua natía, Ed imbarcarsi in quella nave, in cui Luogo pel suo bagaglio era e per lui. La versione in un cannon di latta Esternamente intonacar con cera La nave omai del bisognevol carca, Ceilan odoroso a destra mano, Era la nave omai quasi di sua Tra nere nubi il sol s'involge e asconde, Il mar si gonfia orribilmente e bolle, Ed or s'apre in voragini profonde, Or minaccioso insino al ciel s'estolle; E forza è pur che segua il bastimento L'impulso irresistibile del vento. Salta questi ora a greco, or a levante, Or a scilocco ognora più veemente, E non tien mai direzion costante; E verso Borea impetuosamente Alla ventura il lacero naviglio Senza guida correa, senza consiglio. Sei giorni per quei mari errò e sei notti, Spinto or dall' una, ed or dall' altra banda, Finch' alberi e timon perduti e rotti, Franse in un scoglio altin presso l' Islanda; E assorto fu dal tempestoso flutto E tutto il carco e l'equipaggio tutto. Salute a noi, parmi d'udir; che giova Narrarci tutta questa storietta, Se dello scritto non saprem più nuova? Ma di grazia bel bel, non tanta fretta, Non dissi tutto ancor; se udir vorrete, A tempo e luogo suo tutto saprete. Era in quei tempi un galantuom maltese Che nome avea Bartolommeo Gianfichi; Grande e bel di persona, e in quel paese Suo casato anche in oggi è de' più antichi: Ma viveva messer Bartolommeo In un piccol villaggio da plebeo. Di fisica amator, tenea compasso, Barometri e termometri parecchi, E grande si credea dal popol basso Operator d'esperimenti vecchi; Acre poi protettor dell' aria fissa, Per cui con quei villan sempre avea rissa. In tutt'altro però non si potea Perito dirsi estremamente e scaltro, Qualche termine tecnico sapea, Nomi d'autor, del resto poi non altro; E in ver pretender non si può che in tutto Esser debba ciascun perito e istrutto. Necessario saria, per farmi un nome, Diceva, e per vedere ed esser visto, Scorrer l'Europa. E dicea ben: ma come? Di contanti non era assai provvisto; Ma si volle tassar tutto il villaggio, E danaro gli dier per quel viaggio. Bartolommeo seguir ne' viaggi suoi Impegno mio non è, non è mio scopo; Quello però che me interessa e voi Dirò soltanto, che alcun tempo dopo Visitar volle il Nord, e a render paghe Le brame sue, portossi a Copenaghe. Ivi la pesca a far delle balene Nave trovò ch' iva in Islanda, e tosto D'ire in Islanda fantasia gli viene, Sapendo che se un fisico a ogni costo D'esser si ostina a grand' onor promosso, Dee la pesca imparar del pesce grosso. Vuol di più non fidandosi ai racconti Fare oculare osservazione e seria, Se l'Ecla è un monte come gli altri monti; E se son di medesima materia Le coste di quell'isola composte, Con cui son fatte tutte l'altre coste. Dunque i lidi lasciò di Danimarca, Facean la pesca i marinari intanto, Ei metodi osservår ond' olio trarne, Che solo vi trovâr due pergamene: Ciò dico sol per dimostrar che quando Di cola ritornando in sul cammino La lettera dicea : « Figlio, buon giorno, «T'invio questo cannon, tu custodito <Tienlo, e ben chiuso fino al mio ritorno, «Che non sarà di molto differito: « Figlio, l'onor della genia Gianfica Ti raccomando, e il Ciel ti benedica! >> Il figlio si nomo ser Ciondolone: Riceve il tubo e custodito il tenne, Né d'aprirlo ebbe mai tentazione: Il padre sol parola non mantenne, Ch'indi a poco messer Bartolommeo Mori in Polonia in casa d'un Ebreo. Era ser Ciondolone uom grasso e grosso, Torpido, pigro, e pien d'ozio e di noia, Sdraiato o assiso e' non sariasi mosso Suo padre stesso per salvar dal boia; Non solea mai ne leggere, nè scrivere, E or son venti anni che cessò di vivere. Vive oggi il figlio suo messer Valerio, Giovin di garbo veramente e bravo, Studia, sa molte lingue, ha del criterio, E un giorno il nome eclisserà dell' avo; Quando anni son viaggiando in Malta sui, Sovente il vidi e conversai con lui. Le pergamene ed il cannon di latta In confidenza m'ha mostrato ei stesso; E in Toscan la lettura me ne ha fatta, Facendovi riflessi e note spesso: Mi prego a non parlarne, e non ne parlo, E voi prego puranche di non farlo. Favellando del suo casato antico M'assicurai ch' egli era un discendente Di quel mio famosissimo Gianfico, Di cui mi udiste ragionar sovente: Se apologhi, novelle, od altro ho fatto, Ai Gianfichi lo deggio, e questo è un fatto. Dunque all' Anglo il bramin la pergamena Fu nell'antica Memfi assai famoso Quell' autor sostenea che qualor sia L'opre di quell' autor io non ho viste; uso. Posto quant'io dissi fin qui, che forse Indispensabil era in verso o in prosa Dei miei lettori avanti gli occhi porse, Per schiarir meglio e accreditar la cosa; Perchè così l'obbiezion prevengo, E maggior fe presso i lettori ottengo. Cose narrai che non fur dette pria Riti, mitologie straordinarie, E di bestie la guerra atroce e ria, Che specie ne distrusse e molte e varie, Ed altre ne cacciò sino in Siberia, Ove perîr di freddo e di miseria. Che se di quell' esotico bestiame L'Ostraco ed il Calmucco e il Samoiedo Di sotterra talora il vasto ossame Stupido estrae, di che stupir non vedo: E la cosa non è contradittoria Per quei che san l'animalesca istoria. E da ciò forse immaginâr gli Achei La gran battaglia e la famosa guerra, Quando in Flegra pugnâr contro gli Dei I temerari figli della terra, E vinti dagli eroi cadder Centauri, Ciò forse ai vati d' Oriente offerse E ogni qual volta vinti e debellati (6) Restaro i mali; fur da' buoni ognora In più aspri climi ad aquilon cacciati, Ove fissar la fredda lor dimora; Quindi dice il proverbio, e dice bene, Che tutto il mal dall' Aquilon proviene (7). Aggiungo sol per prevenir le critiche Che qualche umor sofistico far suole, Che in quell' antiche età preadamitiche Costumi, usi, pensieri, idee, parole Quelle parole e quei pensieri stessi, Se ascoltaste però fra i miei campioni Nominar Generali e Colonnelli, Altezze, Maestà, Conti, Baroni, Usai moderni titoli, non quelli Ch' erano in uso in quell'antica età, Che oggi neppure il diavolo li sà. E perciò la gentil vostra indulgenza Spero m' accorderà che lo stil mio S'adatti alla comune intelligenza; E di scusar vi prego in oltre, s'io Non posi pria, come pur era d'uopo, I ghiribizzi miei che ho posti dopo. NOTE ALL'ORIGINE DEll'opera. (1) Vedi l' Istoria della Religione antica de' Persiuni, presso HERBELOT, p. 1016. (2) Vedi OMERO, TITO-LIVIO, PLINIO, SVE TONIO. (3) PHILOSTR. in vita Apoll., lib., p. 8, c. 14. (4) EDDA, Mitologia de' popoli settentrionali. (5) HERBELOT, Bibl. orient., p. 298. (6) Vedi BAILLY, Lettere sull' Atlantide. (7) GEREM. cap. 6, v. 22—24. AD UN FRATE CATTIVO SUONATORE D'ORGANO. SECONDO San Matteo nel suo Vangelo: Quando il prossimo tuo non ara dritto, Da buon fratel, con carità, con zelo Ammoniscilo ben del suo delitto, Non in pubblico già, ma a tu per tu, Acciò si emendi, e non lo faccia più. Ond' io far deggio a Vostra Reverenza Una fraterna e pia correzione, E d'esserne tenuto in coscienza AD UN FRATE CATTIVO SUONATORE D'ORGANO. Che tuttor fan con voi l'amico e il bello Che vi si è fitta in testa un insolente Nel mestier della musica voi siete Non una voce all' altra corrisponde, Fate un rumor quando toccate i bassi, Con un impeto tal fate su' tasti Resto a tal chiasso sbalordito a segno 145 Quello già nell' olimpica tenzone, Poiché, il tasto calcandosi, si abbassa De' tuoni in somma il bestial sconcerto E ognor di qualche canna il buco aperto Forse meno importun ronza il moscone, Vi fu un pastore tremilanni fa Io non non v' auguro già cotanto male, Itene a fare il mastro di cappella E son l'orecchie ad ascoltar non atte, |