Regnar potrai per meriti, E per beltà famosa.
Ma se di più recondito Alto saper t'invogli, Perdi l'età più florida, Ne frutto alcun ne cogli. Dunque, mia cara Doride, Giacche al piacer t'invita Beltà leggiadra amabile A giovinezza unita,
Deh! lascia alfin de' sterili Studi il furore insano,
E prendi il ben quand' offresi, Che poi cercarlo è vano.
LE MOSTRA IL PREGIO DI UN VIRTUOSO
E PERCHÈ mai si rigida Chiudi a ogni affetto il core? Ah! tu non sai, mia Fillide, Non sai che cosa è Amore. Se ne sapessi il pregio, Se tutti i doni suoi, Vorresti amando spendere I più bei giorni tuoi.
Amor non è, qual credesi Dal volgo ignaro e folle, Languido alletto ignobile Di un cor lascivo e molle;
Figlio non è di un fervido Immaginar fallace, Non è di un ben chimerico Promettitor mendace.
E benchè Amor si reputi Prima cagion de' mali, E d'ogni aflanno origine Ai miseri mortali,
Ei non è Amor, ma il pessimo Traviamento altrui,
Ch' errando suol rifondere I suoi difetti in lui.
Amor meglio a conoscere, Meglio a prezzarlo impara, E omai più saggia e docile L'alma ad amar prepara: E non curar di ruvida Filosofia severa
Il genio aspro e misantropo, E la dottrina austera :
Ne il tuono grave e querulo
Della senil censura,
Ne il malignar degl' invidi Nemici di natura :
Poichè si bella e amabile Ti fêr benigni i Dei, Seguir le dolci e placide Leggi di Amor tu déi.
Vita, principio ed anima Dell'universo è Amore; E dove Amor non trovasi Tutto languisce e muore. Mira la terra e l'aere, Il mar, i cieli stessi, E ne vedrai i caratteri In ogni parte impressi :
Ei l'armonia mirabile, Ei l'immortal compose Indissolubil vincolo Delle create cose:
Egli ai costanti e rapidi Moti del Sol da legge, E pe' celesti circoli Degli astri il corso regge. Diffusa è in tutto e ingenita Virtù di Amor fecondo, Virtù per cui conservasi E si propaga il mondo. Amor di genti barbare Mansüefece e vinse L'indole fera, indocile, E in società le strinse.
Ciò che diletta e godesi, Da lui deriva e nasce, E ciò che vive e muovesi, Di Amor si nutre e pasce. Aman le fere indomite, Aman gli augei canori, Aman del vasto oceano I muti abitatori.
E sol, cred' io, le misere Anime ree di Averno, Per più crudel supplizio, Fremon nell'odio eterno.
E tu che bella e amabile Feron benigni i Dei, E di que' pregi ornaronti Onde ricolma sei,
Che tutti amando spendere Dovresti i giorni tuoi, Orgogliosetta Fillide, Tu sola amar non vuoi ?
E qual piacer, qual giubilo, Qual puoi provar diletto, Se un dolce amor che t' occupi
Mai non risenti in petto?
Poichè se amor non anima
Beltade e giovinezza, La giovinezza è inutile, Ne la beltà si apprezza.
Non chiuder dunque, o Fillide, Ad ogni affetto il core, Infin che bella e giovine, E degna sei di Amore.
L'AVVERTE ACCIÒ NON GIUDICHI SECONDO
ODI le rapide
Ruote sonanti
Tratte dai fervidi Destrier fumanti! Scansiam solleciti L'urto villano, Poich' è già prossimo L'auriga insano;
E mira, o Fillide, Quel che sdraiato Siede nel fulgido Cocchio dorato : Indosso miragli D'argento e d'oro Grave e ricchissimo Stranier lavoro:
Mira il riverbero Che rara e grande Gemma purissima Dal dito spande; E seco ha il torbido Orgoglio e il folle Fasto insoffribile, E il lusso molle.
Ne a chi riscontralo
Per lo sentiero
Piegar mai degnasi
capo altero.
Ma già il volubile Cocchio trapassa, E densa polvere Dietro si lassa.
Or vada, e celere Colui si porte Scherzo e capriccio Di cieca sorte.
Ma tu, se prospera Fortuna in lui
I favor sui,
D'ogni ben prodiga Dispensatrice, Fille, non crederlo Perciò felice;
Perchè allo splendido Fasto apparente
Sol l'occhio abbagliasi D'ignara gente:
Ma se con provvido Giudizio sano
Tuo sguardo internasi Nel cuor umano,
Vedrai che misero È quei talora,
Cui 'l volgo instabile Invidia e adora:
Vedrai che torbido Pensier nascoso Ad altri rendelo
E a sè noioso. Brama avidissima, Tema, livore, Odio implacabile Gli rode il core.
Per le auree camere, Per le ampie sale Indivisibile
Noia lo assale.
Dunque non prendere Facil diletto
Da un lusinghevole Fallace aspetto.
Se lieta vivere Sai nello stato
Che o sceglier piacqueti
O il Ciel ti ha dato; Se poni all' avido Desire il freno, Sarai, mia Fillide, Felice appieno.
LA ESORTA A SBANDIRE LA IMPORTUNA
QUAL nuvol grave e torbido Su la tua fronte accolto Copre il sereno, o Fillide, Del tuo leggiadro volto? Perchè pensosa e tacita
Sempre cosi ti stai?
Perchè di meste immagini Pascendo ognor ti vai?
Ah! non convien che amabile Ninfa, che in mille cori
Può a suo talento accendere
I più soavi ardori,
Che nata è sol per essere La dolce altrui delizia, Covi tuttor nell' animo Così crudel mestizia.
Sgombra le idee che turbano
Del tuo bel cuor la pace: Riprendi omai la pristina Ilarità vivace.
Forse agli Dii benefici S'è la Natura unita, Di mille pregi ornandoti E di beltà compita,
Perchè d' Amor, di Venere,
E del piacer nemica, Come di noia carica Querula vecchia antica, Del focolar domestico
Dovessi star soletta
A fomentar le ceneri In chiusa cameretta!
Ah! non mostrarti, o Fillide, Si ingrata al Ciel, si folle, Di non curar quei meriti Ond' egli ornar ti volle.
Pur troppo, ohimè! la frigida Incomoda vecchiezza Verrà per sempre a toglierti Le grazie e la bellezza;
Ne allor sarà chi degnisi Teco formar parola, E star dovrai in un angolo Abbandonata e sola:
E all' egre membra e languide Vigor mancando e lena, I giorni tuoi più floridi Rammenterai con pena. Dunque, finchè la rapida Giovane età il consente, Godi per or, mia Fillide, Godi del ben presente.
Ogni tuo cenno adempiere, Sol che tu vogli, o cara, Ei tuoi piacer promovere Vorrà ciascuno a gara.
Fra noi gia Bacco e Apolline A riaprir sen viene
Il teatral spettacolo
Su le notturne scene:
Qui turba mista e varia Di spettator concorre, E d'una in altra loggia Libero ognun trascorre,
Ove le belle assidonsi Co' fidi amanti ognora, Ne i nuovi omaggi sdegnano De' venturieri ancora.
Qui vedrai tutti accorrere, Se te vedranno, a mille I disiosi giovani
Per vagheggiarti, o Fille. Ne mi dirai che a femmina Non rechi ognor diletto De' sguardi altrui conoscersi Il più ammirato oggetto. Vedrai festosi e pubblici Ferver sovente i balli Fra mille faci che ardono Su i pensili cristalli :
E nel danzar gareggiano Ninfe e garzoni a schiere, E assidui ed instancabili Reggon le notti intere.
In strana foggia e barbara Libero è a ognun che voglia Trasfigurarsi e ascondersi Sotto mentita spoglia.
Qui se vorrai pur essere Con questo ed or con quello In agil danza a muovere Il piè leggiadro e snello;
A te d'intorno in circolo Staransi ammiratrici Le più lodate e celebri Esperte danzatrici :
Indi vedrai in lung' ordine Tra densa folla il giorno Splendidi cocchi avvolgersi A vasta piazza intorno.
Tu sol nel comun gaudio Ai prieghi altrui ritrosa, In mesta solitudine Ti rimarrai nascosa?
Ah! non privarti, o Fillide, Nel più bel fior degli anni Di che aman più le giovani, Immaginando affanni :
Che col soverchio affliggersi Nessuno il mal distrugge, Ma un nuovo mal si fabbrica, E il suo destin non fugge.
CINTA di freschi zefiri Dall'indica marina Già cominciava a sorgere La luce mattutina;
Ed io pur anche, o Fillide, Seguendo il mio costume, Stavami in sonno placido Su le tranquille piume; Quando di vane immagini La illusa fantasia Novo prospetto e vario Alla mia mente offría; D'esser allor pareami In giardin vago adorno, Quai vidi io già di Romolo Alla città d'intorno :
Sotto piante che intrecciano I rami lor frondosi
In dritto ordin si estendono Freschi vïali ombrosi;
E ai lati lor per opera D'industre giardiniere Sorgon di mirti e lauri Altissime spalliere.
Acqua perenne e limpida Dai fonti ognor zampilla; O dai muscosi e concavi Antri cadendo stilla:
In ampie conche ammiransi Sortir dall' onde chiare Scolpite in marmo pario Le Deità del mare :
Tra molli erbette spuntano Tremoli fior su i prati, Ed in gran vasi olezzano Gli aranci ed i cedrati : S'odon garrir su gli alberi Vaghi canori augelli, E svolazzar si veggono Tra i folti ramoscelli :
Or mentre solo e tacito
Men giva a poco a poco Con lento pie godendomi L'amenità del loco,
Da lungi in gonna rosea Per lo sentier più fosco Leggiadra e bella apparvemi Donna che uscía dal bosco :
E con ignoto giovine, Ch'ella per man tenea, Di serio affar gravissimo Discorso aver parea;
Ma poscia ambo appressandosi, Agli atti, alla favella E alla sembianza cognita Vidi che tu eri quella.
Per l'improvviso giubilo Riguardo più non tenni, E desioso e rapido Incontro allor ti venni :
O Fille, dissi, o amabile Luce degli occhi miei... Ma tu il parlar troncandomi Dicevi: E tu chi sei?
Ed io: Chi sono? ah! Fillide Meco scherzar ti piace...
E tu sdegnosa e torbida: Va, che sei stolto o audace. E in questo dir sollecita Volgevi a me le spalle, E ritornavi a asconderti Per lo medesmo calle.
E quel garzone incognito Venía pur anche teco. E nel partir volgevami Il guardo altero e bieco. All'onta fiera insolita Rimasi freddo esangue; Il cor m'intesi opprimere, Sentii gelarmi il sangue.
E non potei più movere Ne voce allor ne passo, Come novella Niobe Trasfigurata in sasso,
Per lo dolor frenetica Mentre si lagna e duole, Giacer vedendo esanime La numerosa prole.
Ma poiché il fier dispregio Lo sdegno in me commosse, Che i sbigottiti e stupidi Spiriti miei riscosse,
E lo stupore in impeto Di gelosia proruppe, La violenta smania Il sonno altin mi ruppe.
Ma benchè allor svanirono Quelle importune larve, E il nuovo amante e Fillide Ed il giardin disparve;
Pur mi restò nell' animo Un livido rancore,
Che mi rodea le viscere, Che mi straziava il core: Perché sapea che sogliono I sogni del mattino Esser talor veridici Annunzi del destino : Ed alla mente vigile In richiamar la idea Di quel garzone incognito, Che visto in sogno avea, Distintamente parvemi Raffigurarvi appieno La natural stessissima Immagin di Fileno :
Di quel Filen che scorgesi Da qualche giorno in poi Affatto in ver non essere Discaro agli occhi tuoi;
Con cui l'altr'ier trovandoti Soletta insiem, vid' io Che cenno a lui col gomito Facesti al giunger mio:
E ben potetti accorgermi Che il ragionar troncaste, E mendicando i termini, Di che parlar cercaste.
E a mille segni avveggomi Che tu non sei la stessa, E che la mia già prospera Sorte al suo fin si appressa. Non trovo in te la solita Ilarità del viso,
Ne il parlar schietto e candido, Ne su i tuoi labbri il riso.
Scarse parole e insipide Soltanto a me dispensi, Parole in cui non veggonsi Di un core aperto i sensi; E intanto quei che timido Un tempo umil si vide, Con guardo altero insultami, E del mio duol si ride.
Ah! che il mio sogno, o Fillide,
Illusion non era!
Tutto mi fa conoscere
Che il sogno mio si avvera.
Il crin cingetemi Di mirti e rose Leggiadri giovani,
E miste ai cantici Mentre intessete Con piè volubile Le danze liete, Voci di giubilo Canore e pronte
M' inspirin Pindaro E Anacreonte; Ei carmi scorrano Dai labbri miei Dolci qual nettare Che beon gli Dei :
Poichè Amarillide Di questo core Soave ed unica Fiamma di amore, Che pria si rigida
E si crudele, Sprezzo il mio tenero Amor fedele,
Alle mie lagrime, Alle preghiere Prese più docili Dolci maniere:
E a me con placido Gentil sorriso Lo sguardo languido Fissando in viso,
Se m'ami, dissemi, Già sento anch' io Per te amor nascere
Nel petto mio.
E ai penosissimi Lunghi tormenti Allor successero I bei momenti;
E l'alma Venere Dalla sua sfera Allor sorrisemi Più lusinghiera.
Sentii dall' animo Fuggir la noia, E il cor riempiermi D'immensa gioia.
Più chiaro parvemi Splendere il giorno, Più grato l'aere Spirarmi intorno : Così le lagrime De' mesti amanti Compensa il termine Di pochi istanti,
E la memoria
« ÖncekiDevam » |