Sayfadaki görseller
PDF
ePub

CAPO IL

La Tomba di Papa Clemente IV.

Da qualche tempo in quà molto fu scritto sui giornali di ogni partito sulla tomba di Clemente IV, aperta arbitrariamente allo scopo di trasferirla altrove.

Nativo della città di Viterbo non posso a meno di profittar di questo triste fatto per deplorare lo stato miserevole nel quale sono ridotti i monumenti medioevali, i sacri in specie; ch'erano il vanto della mia patria (1).

Ma tacendo su questo punto, che potrebbe sembrar piuttosto sfogo di personali rancori, anzichè carità del natio loco, profitterò volentieri dell' occasione descrivendo ed illustrando in varii articoli, le quattro tombe dei Pontefici, che sono in Viterbo, cioè di Alessandro IV, di Clemente IV, di Adriano V e di Giovanni XXI:

Quasi come appendice, unirò una notizia storica sulla tomba del celebre Cardinale Vicedomino de Vicedomini, da Piacenza, da taluni storici impropriamente posto nel numero dei Romani Pontefici col nome di Gregorio XI. Premetto che abituato a studiare la storia sulle fonti autentiche dei documenti coevi non mi fermerò, per brevità, a riprodurre integralmente tutte le testimonianze degli autori che mi occorrerà di citare, potendo farlo, chi ciò desideri, da sè medesimo. Scrissi già su

(1) Alcuni di questi edifizi monumentali, quali le chiese di S. Francesco e di S. Giovanni in Zoccoli, furono dal Governo, con lodevole premura, già restaurate, mentre invece altri e fra questi le chiese di S. Francesco di Paola, di S. Maria della Verità, di S. Maria di Gradi ecc. attendono ancora nell'abbandono e nello squallore i restauri divenuti omai necessari. Ma chi più dovrebbe far premura al Governo non si dà pensiero di sollecitare l'opera di riparazione, anzi non pago di rimanere egli nell' inerzia si adopera e procura di paralizzare gli sforzi altrui, pronto se riescono a farsene un merito, dichiarandone sua l'iniziativa, e l'esito felice della pratica, come precipuamente ai suoi uffici dovuto.

LE TOMBE DEI PAPI IN VITERBO

2

quest' argomento alcuni cenni storici, riassunti in un articolo, pubblicato nella, reputatissima effemeride di Torino l'Unità Cattolica (N. 131. del 4 Giugno 1885). Qui nuovamente e più ampiamente tratterò l'argomento. Rettificherò varie inesattezze nelle quali caddero, nel riferire le gesta di Clemente IV, alcuni scrittori cattolici, in specie la Voce della Verità, in una sua corrispondenza da Viterbo riferita anche nell' Unità Cattolica di Torino (N. 127. Sabato 29 Maggio 1885.) Ivi si nota che Clemente IV regnò dal 1265 al 1269. Invece morì nel 1268 ai 29 Novembre. Si asserisce che detto pontefice fosse di famiglia illustre, quantunque in alcuni scrittori si trovi notato il contrario. Si nota che chiamò, durante il suo Pontificato, Carlo d' Anjou in Italia e gli accordò gl' investitura della corona di Sicilia. Questa sola seconda parte di detta asserzione è vera. La chiamata di Carlo in Italia fu effettuata invece da Innocenzo IV e fu poi rinnovata da Urbano IV.

(cfr. Theodor. Vallicolor. Vita Vrbani IV. pag. 413. Theiner. Cod. diplom. Dom. Temp. I. 300, 301.

Martene Thesaur. Nov. Anecd. II. 32. Vrbani Regest. III. 84. Raynald. Annal. ad ann. 1263, e 1264.

Amalricus Augerius, Vita Tam. III.

Vrbani IV. in Rer. Ital. Script.

S, Antonini Chronic. Part. III. Tit. XIX. Cap. 13. Lugduni 1522.)

Cito le fonti storiche, qui supra notate a prova di quanto da me si asserisce. Sono testimonianze irrefragabili, perchè autorevoli ed accettate per veridiche dagli stessi storici protestanti. Clemente IV pare che non creasse alcun Cardinale. Quel Bernardo Aiglerio, Monaco Benedettino, che da taluno si crede elevato alla Porpora da Clemente, non si trova riferito nei Codici Vaticani e quindi dee ritenersi almeno per dubbio. (cfr. Massarelli. Romani Pont. et S. R. E. Card. a Leone IX ad Paulum IV. Cod. Valic. 3755.

Idem. Promotiones S, R. E. Cardinalium ab Leone IX ad Paulum IV. Mss. Arch. Vatic. XI. 44. etc).

La prima profanazione della tomba di Clemente IV fu soltanto esteriore e seguì nel 1798, per opera delle milizie Francesi del Generale Macdonald, e non nel 1793, come fu riferito erroneamente nella detta corrispondenza da Viterbo alla Voce della Verità. Si nota pure in quella con equivoco come Cardinale Pietro Le Gros nipote del Papa.

Cardinale detto nipote non fu e niuno storico, a mia notizia, oltre l'Aiglerio, ricordato dal Ciacconio, posto in dubbio da altri, enumerò altro Cardinale da Clemente creato.

Ho creduto notare queste inesattezze, nelle quali incorsero i giornali cattolici, per rettificarle, dovendo la storia, che è scienza del vero, sfuggire qualsiasi, benchè menomo, errore dì fatti, o di date, o di nomi o di luoghi.

Senza tornare a narrare i particolari, già noti, dell' apertura illegale di quella tomba gloriosa, la quale chiudea le ceneri di uno dei più illustri pontefici del Secolo XIII, qui esporrò alcune considerazioni sul fatto riguardato nella sua essenza.

La tomba è una proprietà, cara quanto altra mai. Ogni famiglia tiene più al luogo sacro, ove riposano le ceneri dei suoi defunti, che alla casa stessa nella quale dimora. Ora le tombe dei Romani Pontefici, nella loro mirabile cronotassi formando essi quasi una discendenza genealogica, di diritto appartengono al Papa vivente, il quale siede sulla sede di Pietro. L'apertura della tomba di un Pontefice, fatta senz'ordine e consenso del successore regnante, è senz'altro un oltraggio gravissimo, che si fa dal violatore del diritto di proprietà, il quale si ha sulle tombe, come sopra i mobili e sopra gli stabili. Solo in tre casi può una tomba esser rimossa od aperta. O per decreto dell' Autorità giudiziaria. O per volontà del proprietario legittimo. O per ragione di utilità pubblica. Nella rimozione della tomba di Clemente IV dalla chiesa di S. M. dei Gradi, ora chiusa al culto, ove egli da oltre sei secoli riposava nella pace dei giusti, la sola ragione che si potrebbe recare a giustificare l'illegittima ricognizione sarebbe la famosa utilità pubblica. Ma se il comune benessere, come si pretende, esigeva la rimozione dal luogo antico di quel mausoleo, già così guasto dalle ingiurie del tempo e dei barbari moderni, perchè non si palesò, a chi di ragione, ciò che s' intendeva di fare?

Non griderò la croce addosso a chi compì questo sacrilegio artistico più che religioso. I capri espiatorii non rifanno ciò che ě distrutto. Non mi dilungherò ulteriormente su questo punto. La libertà di stampa ora goduta in Italia dai galantuomini si sa bene essere effimera. Il fidarsene troppo potrebbe recare facilmente non lievi disturbi a chi scrive se si ricordassero particolarmente i fatti come avvennero, riproducendo i documenti della vertenza ora esaurita sulla traslazione delle ceneri di Clemente IV. In altro volume detti documenti, già in gran parte raccolti, saranno editi a memoria perenne del fatto accaduto.

Ma qui mi preme notare, in questa introduzione alla descrizione delle tombe di quattro pontefici i quali illustrarono Viterbo con la loro dimora fino alla morte, l'offesa recataalla storia ed all'arte con questa intempestiva traslocazione del mausoleo di Clemente IV.

L'artistico pregio dei monumenti dell' epoca ogivale è in

contestato.

Quello di Clemente era ancor più importante, dall'unire in un solo mausoleo a due ripiani il sepolcro del detto Pontefice e di Pietro Le Gros nipote di lui, opera di un solo artefice.

Il Silos, il Papebroch, il Gregorovius, il d' Achille, il Fontana ed altri scrittori, che per brevità qui non ricordo, enumerarono i pregi artistici del monumento suddetto descrivendo le Tombe dei Papi.

Il Papebroch ed il P. Bussi, nella sua Storia di Viterbo, ne riferirono il disegno dal quale risalta la bellezza del mausoleo, innanzi alla prima sua profanazione dai Repubblicani Francesi.

I musaici, che già adornavano superbamente le colonnine e le cornici del mausoleo, l'epitaffio in versi leonini, scritto in caratteri gotico-monastici, i quali sono quasi la stigma del XIII secolo, le figure marmoree del papa e del vescovo, l'uno sopra, l'altro sotto, placidamente dormenti, davano a quel sepolcro un aspetto maestoso. - Quando l'osservai l'ultima volta, l'anno decorso in Settembre, quanto lo trovai diverso dal disegno, che ne avea innanzi agli occhi, riportato nella Storia del Bussi !

Le colonnine furono spezzate ed andarono irreparabilmente perdute nella primitiva devastazione. Di musaico non ve n' era più traccia, e le figure tuttora giacenti sui loro avelli del grande Pontefice e del pio Vescovo, portavano l'impronta di ingiurie più recenti subìte dal tempo e da mani vandaliche.

La cappella, già dedicata al Fondatore dell' Ordine dei Predicatori, era ridotta ad una stanzaccia con porte e finestre e tetto malconci, per modo da difenderla appena dalle intemperie.

Il pavimento era ingombro di alcuni frammenti di marmo e della calcina caduta dal tetto. Tutto infine denotava là dentro abbandono, rovina e squallore.

Mi fermai a lungo innanzi a tale spettacolo a meditare sulle due tombe in quella già cappella, rimaste quasi imperitura testimonianza fino a quel giorno abbandonate dall'eternità della storia, fra le vicende di oltre sei secoli. Da un lato era quel Clemente IV che avea difeso l' Italia contro il bastardo Manfredi, i Saraceni ed i Tedeschi alleati di lui, a danni della penisola. Dall' altro era la tomba dei Vico, di quei Vico i quali furono in quel secolo tiranni della città di Viterbo e causa precipua per la loro sfrenata ambizione delle guerre fratricide che lacerarono Roma ed il Patrimonio. Ora, nel regno della morte, quel papa che fu uno dei distruttori della potenza ghibellina in Italia, il quale vide durante il suo regno la vergognosa disfatta e l'orribile morte

dello sciagurato Manfredi, forse, come taluno crede, non avnuta già in battaglia, ma nella fuga delle schiere sbandate, era sepolto presso quello stesso Pietro di Vico che dopo aver tanto tribolato i Papi, appena vide la fortuna dei Ghibellini in Italia. vacillare, non esitò un istante a riamicarsi col Papa (Clement. Epist. 90, pag. 154) e riamicarsi coi Guelfi vincitori e potenti. Nei giornali fu pure riferito che nella traslazione dei due avelli di Clemente e dei Vico, quest' ultimo rimase danneggiato, per l'imperizia con la quale venne dal suo luogo antico rimosso, ma non mi consta che ciò sia vero nè mi sembra pur verisimile. Così due tombe, che chiudeano uomini già di opposti principii, si trovarono nel tempio di Dio l'una presso dell'altra, ebbero per oltre seicento anni esistenza gloriosa, e subirono insieme guasti ed ingiurie.

In altro articolo ricorderò per sommi capi le gesta gloriose del pontificato di Clemente IV ed i fatti principali della vita di lui.

Ivi ricorderò l'epitaffio in versi leonini il quale si leggeva già sulla sua tomba, da me già riferito più innanzi. Qui dopo aver trattato, come sopra, del pregio artistico del monumento, insisterò nuovamente sul pregio storico, politico e religioso, che hanno indistintamente tutte le tombe dei Papi, ovunque si trovino e di qualunque tempo esse siano.

Uno storico vivente, che di recente compilò una nuova storia d'Italia, ricca di eruditissime ricerche su innumerevoli fonti, il chiarissimo Monsignore Pietro Balan, stampò in Modena nel 1879 un pregevole lavoro dal titolo « Le Tombe dei Papi, profanate dal Gregorovius. » Quella profanazione che l'esimio storico di Gregorio IX e di Clemente VII lamentava allora compiuta, per opera del celebre Autore della Storia di Roma nelEvo Medio, nel libello sulle Tombe dei Papi, era fino allora soltanto morale.

Ora, l'illegale reperizione del sepolcro di Clemente IV, si pretese quasi a vendicare dopo sei secoli, in quel papa allora regnante, la sorte miserevole che si asserisce subisse lungamente il cadavere di Manfredi, rimasto insepolto sul campo della sua disfatta, presso a Benevento.

Inutile è oggi attendere a descrivere i particolari od a ricordare i nomi di chi compì quel deplorevole fatto per dare ad essi la fama di Erostrato.

Ciò che importa è collocare convenevolmente di nuovo nella sua tomba le ceneri di papa Clemente.

In niun luogo, oggi che la chiesa di S. Maria dei Gradi è

« ÖncekiDevam »