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quest' anco era tanto maggiore, quanto alla loro cura non era una parte sola di una provincia, ma tutte l'entrate della corona; i quali con restringer la mano verso i poveri creditori aprivano a sè stessi la strada di comperare essi i crediti con quei vantaggi che ho detto di sopra; in modo che se il re spendeva cinque milioni d'oro l'anno, essi ne avanzavano quattro, e questi non sono paradossi. Per queste vie si dà un' infinita mala contentezza ai sudditi e alla nobiltà, si mangia il tesoro della corona, si leva al re il modo di premiare i suoi buoni servitori, ed esso resta in una perpetua miseria e necessità. Vien poi da questo, che quando uno disegna di dimandare per aver in effetto da S. M. dieci mila scudi, supplica per cinquanta mila, perchè fa il suo conto che quaranta mila devono restar in mano di questi ministri; e per il proceder loro, dove il re spenderia venti, è tenuto dar cento, e così la corona si è trovata e si trova spesso in gran mancamento. È vero che questa forma di procedere l'hanno da principio imparata dai nostri mercatanti italiani, che sono a quella corte, ma il discepolo ha poi superato il maestro.

A questi partiti poi tengono mano i cancellieri, sopraintendenti, intendenti, tesorieri, contisti ed altri, che ne hanno cura, e tutti in fine partecipano e rubano, e con sì grandi infedeltà hanno ridotto il regno nello stato che ho già discorso; perchè, essendo per tali vie levato al re il modo di potersi difendere, se ha voluto sostentarsi, gli è convenuto metter nuove gravezze ed imposizioni, e tutto in fine ridonda a rovina del regno e dei poveri sudditi, e a comodo e ricchezza dei tristi, che mangiano e scorticano per ogni verso.

Una cosa sola dirò per siggillare il parlar di questi che trattano e maneggiano le entrate della corona; che fu fatto un conto, che dalla morte del re Enrico II, per i trent'anni che succederono fino a quella di Enrico III (1), calcolando (quello ch' era venuto in borsa del re, e quello ch' era stato sborsato dal popolo e dagli ecclesiastici, erano restati in corpo di queste spugne 175 milioni d'oro e più, che sono intorno, o poco

(1) Dal 1559 al 1589.

manco, a sei milioni d'oro per anno; ed ho appresso di me il conto così distinto, che non si può veder cosa più chiara nè manifesta. Pensisi mo quello che avranno rubato dopo per occasione di questi ultimi torbidi, ove la opportunità avrà stimolata ed allettata la copidigia, e la confusione servito a coprire e assicurare l'impunità alle loro tristizie. Si che non è meraviglia poi se, essendo i popoli così ingiustamente oppressi e tiranneggiati, si siano sentite spesso delle sollevazioni, e che poi, portati dalla necessità, si siano anch'essi industriati di voler vivere per ogni verso. Da questa depressione poi è nato un innalzamento incredibile al pane, al vino, e a tutte le altre cose in conseguenza, sì che quello che già dieci anni valeva uno, al mio tempo valeva dieci e venti, essendo il popolo, per la povertà nella quale è caduto, ridotto a tale tristezza nel contrattare, e fatto così perverso da quello che era, che a chi è stato altre volte in quel regno, come ci sono stato io, servendo alla felice e gloriosa e non mai abbastanza lodata memoria del già sig. cavaliere e procurator Michiel, non pare più quello; e sebbene nelle chiese stanno con tanta divozione, che non si può veder la maggiore, tuttavia fuori di là bisogna creder certo che siano tutto il contrario, e si deve pregar Dio di non aver bisogno di loro, quando si è nella necessità.

Pare bene in apparenza che la nobiltà sia esente da queste estorsioni, ma in effetto è tutto al contrario, anzi quasi ogni cosa in fine viene sopra di lei, non altrimenti di quello occorre ad uno che si cava sangue da un piede, che sebbene esso sorta immediatamente donde è fatta la ferita, viene poi il sangue da più alta parte a riempire il loco evacuato. Cosi sebbene il colpo della lancetta si dà nella pelle del paesano, del mercante e dell' artefice, che è lo stato più basso, il primo sangue, il primo denaro vien bene dalla loro borsa, ma però la si riempe poi da più alta parte, e si rifanno; perchè il paesano incarisce le sue fatiche e i suoi frutti, il mercante innalza il prezzo alle sue merci, l'officiale si rifà a minuto di quel che ha pagato in grosso, il procuratore e lo scritturista slarga le righe ed incarisce le sue scritture e i suoi passi, c

APPENDICE.

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tutti finalmente ricuperano le spese, se non in tutto, almanco in gran parte, alle spalle del gentiluomo, al quale conviene sempre star sulla perdita. Così il nobile può aver occasione di starsene poco contento; l' ecclesiastico, per le tante afflizioni che ha patito e patisce, di non laudarsi troppo; e la parte più bassa del popolo, di viver come disperata; e solo godono e trionfano gli uomini detti di sopra (1).

Ora io parlerò dell'animo e della mente del consiglio secreto di Sua Maestà, della natura de' consiglieri che entrano in esso, del re e dei principi del suo sangue, e così sarà posto fine alla relazione presente.

Il consiglio secreto è quello nel quale si trattano tutte le materie più importanti per la conservazione dello stato, come fanno anco l'EE. VV. in questo Eccellentissimo Senato, e si tiene ordinariamente mattina e sera quasi ogni giorno. Non ha determinato numero di persone, ma vi entrano solamente quelli ai quali piace a S. M. di comunicar di tempo in tempo gli affari suoi; la essenza e sostanza però si restringe in pochi, i quali e per confidenza e per esperienza ordinariamente assistono a Sua Maestà. Quelli che in fatti al presente maneggiano e governano si può dir tutto sono il sig. contestabile, il sig. di Sancy, il sig. di Schomberg, il sig. di Bellievre, e il sig. di Villeroy; e quest'ultimo, tutto che sia segretario, ha anco titolo di consigliere nel consiglio di stato di S. M., come anco sono altri tre signori, Frenes, Goux e Beaulieu, de' quali ragionerò in poche parole. Questi entrano anch'essi, e massime quando si tratta di cose dipendenti dalla loro carica, ma però, come io dirò, si può affermare con verità che il sig. di Villeroy faccia tutto.

Il cancelliere (2), se volesse, potria ancor esso intervenir nel consiglio, ma parte perchè si tiene per tempo, ed esso ha

(1) A questa piaga spaventevole delle finanze dello stato Enrico IV, in questo medesimo anno 1598, provvide colla nomina di Sully-, il quale in breve restaurò l'economia generale della Francia in tal modo, che il suo nome è tuttora fra i più noti e riveriti della nazione.

(2) Filippo Hurault conte di Chiverny, nominato cancelliere da Enrico III nel 1578. Caduto in disgrazia dopo la giornata delle barricate, fu richiamato al suo ufticio da Enrico IV. Mori nel 1599.

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molte occupazioni dipendenti dalla sua carica, e parte perchè è fatto vecchio e ricco, e sotto al fu re corse di gran burrasche, e pericolò di perder il cancellierato per la richiesta fattane dall'assemblea a Blois, l'anno 88, imputandolo di molte cose mal fatte, come anco fece il parlamento l'anno passato, ma molto più forse come partecipe delle cose della lega; adesso vi interviene solo di raro, e poi non è tenuto manco di tanto spirito che possa esser comparato con alcuno di questi, e saria più atto, per l'autorità che ha, di impedir le deliberazioni che fossero fatte, se fossero massime di quelle che hanno da passar per le sue mani, che per prudenza sufficiente a persuaderne alcuna da sè; e però il tutto si ristringe nei cinque sopranarrati.

Quanto al signor contestabile (1) dunque, che viene in considerazione per primo, questo è senza dubbio il primo di autorità che sia nel regno, dopo il re, perchè dove non è la persona di S. M. comanda come fa il re istesso, per esser anco suo luogotenente, e tale è la sua commissione spedita ed approvata nel parlamento. È questo signore di 64 anni in circa, di statura ordinaria, di aspetto molto grato, di conversazione umana e piacevole, di complessione forte e robusta. La sua entrata paterna è di 60,000 scudi, e con gli stipendj che ha come contestabile, che sono 6000, ed altri estraordinarj dipendenti dalla sua carica, e le pensioni che ha dal re, passa i 110,000, ma li spende tutti con singolar magnificenza e liberalità, in modo che si trova anco intaccato ed indebitato di 300,000 scudi. Ama incredibilmente gl' Italiani, e ne trattiene sempre al suo servizio gran quantità, si per esser stato da loro bene e fedelmente servito, come perchè dai principi di questa provincia ha ricevuto molti favori in tempo delle sue disgrazie. Nella milizia stima grandemente i Dalmatini e gli Albanesi, e le sue compagnie sempre sono piene di molti sudditi della S. V.; e certo se non fosse per altro, per questo solo si deve aver un grand obbligo a S. E., perchè la sua casa e la sua corte è una scola e un seminario per la Sereni

(1) Enrico di Montmorency, secondogenito del celebre contestabile Anna di Montmorency, investito di questa dignità da Enrico IV nel 1595.

tà Vostra. Trattiene una stalla onoratissima, che gli costa 16,000 scudi l'anno, dove ha sempre un gran numero di cavalli, parte de' quali sono turchi e ginetti, e questi venuti parte da Spagna e parte da Italia, oltre molti cortaldi, chinee, ed altri cavalli nobilissimi, in che certo non risparmia niente, e passano più di cento. Continua tuttavia la pratica ed intelligenza con il re di Fez, e sebbene si può credere che nel principio fosse tessuta e fondata per altri fini, al presente gli serve di piacere e di gusto, perchè mandando alcuna volta a presentar quel principe, ne riceve in concambio qualche bel cavallo delle sue razze, che sono bellissimi, e quelli che ho veduto io sono certò singolari e senza pari. Ha anco S. E. delle razze, ma poche e non troppo belle, essendo il paese o inetto o la gente impaziente per allevarle, si come è attissimo per consumarle e distruggerle, essendo incredibile il consumo e la rovina che si fa in Francia de' cavalli, tanto nella guerra quanto e molto più nelle caccie, le quali in quel paese sono bellissime, grandissime e frequentissime; tanto che se non avessero la Germania così prossima, la quale è grande altrice e nutrice di cavalli, le altre provincie vicine non sariano atte a soddisfar al loro mancamento.

Arrivò S. E., l'anno 96, in corte dopo ventitrè anni che non vi era stato, e nel principio comparve con grand' aspettazione, avendo rivolto ognuno gli occhi sovra di lui; ma come suole avvenir a coloro che vengono con tanto concetto al cospetto del mondo, in breve spazio questo se gli scemò; perche essendo ciascuno desideroso che si rimediasse e si provvedesse a tanti disordini e a tante confusioni, che avevano partorito la malizia del tempo e le miserie delle guerre civili, nè potendosi far questo se non con maturità e con consiglio, parve che cadesse appresso a molti da quella prima riputazione. Nelle sue azioni va molto pesato, e più ancora il fa essere tale il trovarsi attorniato da tanti e così gran nemici, i quali in ogni tempo ha avuto la casa sua, e però al presente pare in effetto che più pensi a stabilirsi che altro; e sebbene la casa di Guisa è andata al basso nel modo che si sa, non è per questo ch' essa non faccia ogni cosa per risorgere e per innalzarsi, sebbene

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