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l'hanno in pratica. Nel principio ch' io arrivai in quel regno, confesso che avevo grande difficoltà ad intenderlo ed esser inteso da lui, ma con la frequente conversazione avanzai tanto, ed esso è cosi migliorato in questa parte, che poi ho trattato seco con molta facilità. Di beni patrimoniali non è molto ricco, per non esser stato il primo dei fratelli, come ho detto di sopra, e però prese per moglie una gentildonna francese nominata Giovanna erede di Lodovico barone di Lure, la quale era vedova del conte di Montafia amatissimo dal re Carlo IX, che anco fu causa di fargliela avere; e per esser stato quel suo primo marito piemontese, conosce ed è benissimo conosciuta da molti ambasciatori di V. S., che in suo tempo si sono trovati a quella corte. Del primo matrimonio ella ebbe due figliuole, Urbana, che sposò il barone della Chiatra (Châtre) figliuolo del maresciallo, e mori nel parto, e Giovanna, la quale è molto bella ed è tuttavia in corte da márito. Per questa signora il principe può avere da 20,000 scudi di entrata, che con il suo patrimonio, certe abbadie che ha, e altre pensioni del re che sono da 12,000 scudi, deve avere da spendere intorno a 50 o 60,000 scudi l'anno, e tutti si spendono allegramente all'uso di Francia. Sua Eccellenza non ha figliuoli da lei, nè manco si vede speranza che ne possa avere, perchè la signora principessa ogni giorno ingrassa più, che è chiaro segno di quello che se ne possa sperare nell' avvenire (1). Da questi due principe e principessa, per rispetto di V. S., sono stato sempre infinitamente onorato, accarezzato e favorito, come ne ho dato alcuna volta conto all' EE. VV. Il signor principe poi, quanto è manco atto a parlare, tanto è più bravo e sufficiente nell' operare, e dove si è ritrovato, come in Poitù già molti anni nel fatto d'arme d'Ivry (2), e adesso ad Amiens, ha dato sempré buon saggio di sè, non degenerando punto dalla casa di Borbone, che sempre ha prodotto senza fallar mai uomini virtuosi, valorosi e bellicosi.

(1) Non ne ebbe in fatti; e nè pure dalla seconda moglie, Luisa Margherita di Lorena, che sposò nel 1605. Onde alla di lui morte, accaduta nel 1614, il principato di Conty ricadde per alcun tempo ai Condė.

(2) Nel 1590, dove Enrico IV vinse i Ligarj.

Nel resto è tutto pieno d'umanità ed affabilità, e si vede molte volte che sente gran pena quando non può profferir le cose, che poi procura d'aiutarsi con abbracciare chi gli parla ed accarezzarlo. Ama la caccia in estremo, e ogni giorno quasi è in campagna. Si doleva infinitamente, quando S. M. andò in Borgogna, d'esser stato lasciato al governo di Parigi dal re, per i rispetti di allora, e che non l'avesse condotto seco, di che spesso ne parlò con me. Dopo la morte del maresciallo d'Aumont (1) ha avuto il governo del Delfinato con gran contento di quei del paese; ma però non si crede che sia per andarvi, perchè tutto il monte e le valli, con le città di Grenoble, Die e Montelimar, sono in mano del sig. di Lesdiguieres e degli ugonotti, e al resto comanda il marescial d'Ornano (2) o il signor di Passages, che ha il governo di Valenza dipendente dal duca d'Epernon; sì che S. E., per accomodare il conte di Soissons suo fratello con il re, si contentò di rinunciar quel governo in mano di Sua Maestà, perchè glielo desse, ma in effetto il re non se ne contentò, lo che fu causa che il conte non venisse all' armata sotto Amiens.

Questo conte di Soissons è il terzo principe del sangue, d'età di 30 anni in circa, bello di corpo sopra tutti gli altri della sua casa, e molto ben formato. Egli sebbene fu figliuolo del vecchio principe Lodovico di Condè, fu però d'altra madre che gli altri, i quali nacquero di Leonora contessa di Roye, ed esso di Francesca d' Orleans principessa di Longavilla sorella di Leonoro duca di Longavilla, padre di Enrico ultimo duca di Longavilla e di Carlo conte di San Polo presente. Principessa certo molto savia e molto prudente, e tutto che sia in età di 50 anni, è di aspetto veramente nobile e regale, ed è tenuta per l'ornamento e per la delizia della corte, essendo la sua casa un ricetto continuo di gran principi e gran signori ; e sebbene non ha molte lettere, come hanno altre donne della corte, che in questo passano il mediocre, parla e ragiona cosi

1) Accaduta nel 1595 come abbiamo detto a pag. 138.

(2) Alfonso d' Ornano figlio del famoso Sampiero Corso e di Vanina Ornano dalla quale prese il nome. Fu nominato maresciallo di Francia da Enrico IV, e mori nello stesso anno 1610 in cui fu ucciso quel re.

APPENDICE.

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bene la sua lingua, che è un piacere a sentirla, ed è tenuta che nell' esprimere il suo concetto abbia poche pari. Ella ha patito e patisce incredibilmente per vedere il figliuolo così lontano dal re, fa ed opera ogni giorno qualche cosa per farlo ritornare, ma niente giova fin qui, anzi per questo ultimamente si ruppero più che mai. La causa prima di questo disgusto fu che il re, fin quando era re di Navarra, permise al conte, come al presente ha fatto al principe di Lorena, che servisse a madama sua sorella con intenzione di dargliela poi per moglie, e non avendola poi potuta ottenere da S. M. per certe condizioni che gli proponeva, pare ch'egli tentasse, mentre il re era sotto Roano, di prenderla da per sè, essendo anco tra di loro passate scritture in questo proposito. Questo causò nell'animo del re grandissima alterazione, e una ferma risoluzione e deliberazione di non dargliela più, e bisognò che gli restituissero la scrittura che avevano fatto, sebbene molti dicono che ne facessero però un' altra di nuovo. Qui cominciarono i disgusti. Madama all' incontro, essendo stata sempre bene servita da questo principe, gli ha portato e porta grandissima affezione, l'ha detto al re, l'ha pregato e supplicato, e fatto pregare e supplicare di darglielo per marito, ma niente ha giovato; nè può Sua Altezza, quando tratta con persone con le quali ha qualche confidenza e domestichezza, contenersi che non scopra questa sua gran passione, la quale in effetto è straordinaria, e con me ne ha ragionato più d'una volta, e l'ho scritto. Con tutto questo l'animo del re sta risoluto nel suo primo proponimento, ed ogni giorno s'aggiungono materie di nuove male soddisfazioni, talchè, siano vere o false le cose disseminate da' suoi emuli, dai quali in quella corte non sono manco liberi i principi del sangue, più presto si diminuisce la speranza dell' accomodamento ch'ella si accresca per alcun verso. Quello poi, che ha dato l'ultima mano a queste diffidenze, è che il re ha sempre sospettato che il conte fosse partecipe dei disegni del cardinale suo fratello, e però sempre l'ha tenuto basso e povero; onde dimandando a Sua Maestà un giorno, mentre era in Fontanablò l'anno 95, quando si preparava ad andar in Borgogna, qualche aiuto per

potersi metter all'ordine e seguitarlo, e particolarmente uno dei quattro governi che vacavano allora, Provenza, Delfinato, Lionese, e Isola di Francia, il re glielo negò; e istando S. E. per sapere la causa di questa negativa, poichè tutti gli altri principi del sangue erano provveduti di qualche governo da lui in fuori, gli rispose che procedeva seco di quella maniera perchè non gli dava occasione di fidarsi di lui. Queste parole furono un fuoco posto nella polvere dell' animo del conte, onde sdegnato e malissimo soddisfatto se ne ritornò a Parigi, con risoluzione, come disse a S. M., di non servirla più, se non gli dichiarasse la causa di questa sua diffidenza. La ritirata del conte diede occasione di nuovo ai suoi nemici di spingersi innanzi, e di dare ad intendere al re che facesse pratiche per Parigi per sollevarlo, il che pose in necessità S. M. di ritornarsene quivi un giorno all'improvviso, ma in effetto trovò esser tutto falsità. Andò il conte, come era suo debito, a vedere il re, il quale era alloggiato alla casa della regina madre, senza mostrar pur per pensamento di saper quello che fosse venuto a fare. Sua Maestà lo chiamò, e dopo qualche ragionamento che passò fra di loro, l'invitò a andar seco in Borgogna. Stette saldo il conte sulla prima proposizione, escusandosi con dire che non gli avrebbe mai dato il core di servirla, nè a S. M. di servirsi di lui, se prima non fosse sincerata della sua fede, supplicandola riverentemente di manifestargli la causa di questo sospetto, perchè se fosse falsa avesse causa il re di restare sincerato e lui giustificato, e sc vera, di esserne severamente ed aspramenté castigato. S. M. finalmente, dopo molte parole, gli promise che glielo avrebbe detto a Troyes, e che quivi s' avviasse dietro a lui. Obbedi il conte, sebbene era risentito, e montato in carrozza andò dove gli fu comandato. Quivi trovò il re essersi partito per la volta di Dijon, non avendosi potuto fermare che per ore in quella città. Non per questo il conte lo seguitò, perchè innanzi che partisse di Parigi aveva detto chiaro al re, che di là da Troyes non sarebbe andato pur un passo se non gli avesse scoperta la diffidenza dell' animo suo. Partita S. M., mandò a dire a S. E. che le avrebbe fatto dichiarire la sua

volontà dal signor di Schomberg, il quale non venne mai, anzi in questo mentre fece il re sapere (per quanto mi fu detto) al signor duca di Nevers che avesse ben l'occhio alla città di Troyes, che è il capo del governamento della Sciampagna, per rispetto del conte. Così fermata quivi S. E. alquanti giorni, nè vedendo venire altra risposta, se ne tornò a Parigi, e sotto pretesto, o vero o finto che fosse, di essergli accresciuta la malattia, si ritirò a Nogent le Retrou nel Perche ad un loco della signora principessa sua madre, dove è stato quasi sempre.

Cominciarono poi a correr voci ch'egli avesse disegno sopra Orleans e sopra Chartres, e fu anco ordinato che si guardassero bene da lui; è così sempre dall' una nell'altra suspicione si è andato portando il tempo innanzi fino al presente. E sebbene gli ufficj fatti in diversi tempi dai buoni servitori del re, e che desideravano il bene della Francia, non l'abbiano potuto condurre alla presenza di Sua Maestà, hanno però avuto gran forza di tenere temperato quest' umore che non innasprisse d'avvantaggio, e tra questi si sono affaticati grandemente il signor contestabile, il signor duca d'Epernon, e il maresciallo di Birone; il quale un giorno a Roano nel consiglio disse parole altissime a favore di S. E., che fu causa che il re si deliberasse di chiamarlo, sebbene la cosa non ebbe effetto. Il conte si è dopo sempre escusato che non andava al re, perchè dubitava che lo trattasse come ha fatto altre volte, nè poterlo far con suo onore se non faceva S. M. qualche altra deliberazione onorevole verso di lui, vedendo tutti gli altri eguali ed inferiori comparir sempre in corte con gran numero di nobiltà al loro seguito, e lui non aver pure un solo, e non per altro se non per non aver il modo di trattenerli. Dall'altro canto i ministri di S. M. dicono, e madama l'ha detto anco a me, aver avuto dalla bocca del re, ch' egli conosce benissimo l'umor del conte esser altiero, e che se procurasse d'avanzar maggiormente la sua fortuna, tutto saria un accrescere il proprio pregiudicio; oltre che se troppo mostrasse d'aver desiderio di lui, questo l'insuperbirebbe di più, nè essere onesto, do

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