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per la vita e studi loro: dei quali ragionando, come aveva fatto dei principi, dimostrò cognizione, memoria ed eloquenza non volgare. Lodò assai i due oratori lasciati in suo luogo, il Soriano al pontefice e il Tiepolo all'imperatore: e in questo ordine e numero aggiunse messer Gabriele Veniero, oratore al duca di Milano, facendo l'istesso dei predecessori suoi al pontefice, che furono messer Marco Foscari e messer Domenico Veniero; intorno al quale (ritrovatosi ambasciatore al tempo che Roma fu saccheggiata dagli Spagnuoli, e il papa fu assediato in Castel Sant' Angelo) si dilatò alquanto, per giustificare le sue azioni e confutare le cose di poco suo onore che erano state dette (1); finalmente parlò del dispendio sostenuto nella sua legazione di Spagna all' imperatore, nella quale era stato forse per cinque anni, e nella legazione presente così di Roma come di Bologna; delle quali ultime, sebbene il tempo non fosse stato così lungo, era nondimeno stato più laborioso e studioso. E qui avendo raccontato del presente fatto da Sua Maestà ai quattro oratori mandati per la pace e per l'obbedienza (che fu di cento medaglie per uno, del valore di dieci ducati d' oro l'una) disse: che per non parere indiscreto verso casa sua e i suoi fratelli, che avevano patito il dispendio suddetto, e per non mancare insieme al debito del suo ufficio, dimandava in grazia che gli fosse confermato quel dono di Cesare, o in tutto o in parte, secondo che più piacesse al Senato; dal quale, per la dignità concessagli del Saviato del consiglio, aveva avuto premio maggiore del suo merito, ch'era o poco o niente; perciocchè, se per la trattazione della pace egli aveva portato beneficio alla patria o ad altri, tutto dovevasi ri

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(1) Domenico Veniero, da Roma, ove nel 1527 era ambasciatore ordinario, fu richiamato a Venezia e messo sotto processo, per avere oltrepassate le sue commissioni intorno al rinnuovamento della lega. Del Soriano, ambasciatore presso la corte di Roma, seguono due relazioni; del Tiepolo, ambasciatore a Carlo V, vedi la relazione già pubblicata dal Sig. Albéri, Vol. II, Serie I. pag. 75.

Vol. VII.

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conoscere dalla sola grazia di Dio, che per mezzo suo aveva operato ogni cosa; onde non poteva non rendere infinite grazie al Senato. E con grandissima modestia ed umanità incredibile fece fine: premessa però la commendazione del suo segretario Antonio Mazzaruolo; del quale, sin dal principio della relazione aveva detto, che, se per costume degli altri oratori egli era tenuto di dar lodi al suo segretario in fine del suo parlare, per obbligo particolare contratto seco in tutto il tempo della legazione, per la singolare virtù sua, e per li meriti verso la patria, era sforzato di commendarlo in principio, in mezzo ed in fine della sua relazione; e così fece. Terminata la relazione, il serenissimo principe gli dette quelle lodi che si costumano agli oratori che ritornano; poi esortò il Senato a donargli il presente datogli dall' imperatore. Tutto il collegio propose che il detto presente gli fosse lasciato; eccetto messer Francesco Foscari. Il quale prima oppose: che le medaglie d'oro non erano state presentate alla Signoria, e che perciò la parte non si poteva proporre; dipoi, vedendo che non gli valeva l'opposizione e che la parte andava, ed essendo stata fatta la rinuncia dei loro presenti da Marco Dandolo, Alvise Mocenigo, e Lorenzo Bragadino, acciò potessero ballottare la grazia di messer Gasparo; il Foscari fece leggere uno scontro che, non essendo messer Alvise Gradenigo, quarto loro collega, in Pregadi (per malattia), e non potendosi senza di lui accettare le rinuncie dei suoi compagni, la presente materia fosse differita. E messo lo scrutinio, non trovandosi il numero determinato delle ballotte, cioè i quattro quinti, la parte non fu presa. E volendo i Savi che fosse di nuovo proposta e riballottata, messer Gasparo mandò a dire che non si dovesse più mettere; e così a ore due fu licenziato il Pregadi.

Il seguente giorno', furono lette lettere del governatore della quinquereme in grande commendazione di detto legno, e massime della celerità.

Da Firenze, dei ventotto febbraro, furono lettere, per le quali s' intendeva l'animo pronto dei Fiorentini alla loro difesa; e che alli ventiquattro nel maggiore Consiglio, il Fojano, grandissimo predicatore, aveva esortato ognuno a mettere la facoltà e la vita propria per la conservazione della libertà; e in quel luogo aveva spiegato uno stendardo sul quale era dipinto il Salvatore, ed aveva animato ognuno a non accettare altro capo o gonfaloniero; sicchè non erano minori le vigilie, le orazioni, i digiuni del popolo fiorentino, di quello che era la prontezza degli animi nello esporre le facoltà loro e spargere il sangue proprio e dei figliuoli per conservarsi in libertà. In fine delle lettere, messer Carlo Cappello si raccomanda alla clemenza di questa Repubblica, rispetto alla spesa grande ch' era sforzato di fare, per la carestia d'ogni cosa ch'era in quella città, troppo superiore alla facoltà sua. Perlochè fu messo dai Consiglieri e dal Collegio tutto, che al prefato oratore fosse concessa sovvenzione di ducati duecento veneziani; e la parte fu presa.

Fatto questo, fu rimessa la parte del Contarini, ritornato da Bologna; alterandola in ciò, che gli fosse donata solamente la metà delle medaglie: la qual parte, mandata due fiate, non ebbe il numero dei suffragi che abbisognava.

Fu poi deliberato di disarmare quattro galere; fu proposto di scrivere a Costantinopoli; messer Alvise Mocenigo contradisse; messer Leonardo Emo gli rispose, e i Savi deliberarono di differire. Fu scritto a Bologna in materia del duca di Savoja, l' oratore del quale era giunto quella stessa sera in Venezia.

Alli nove di marzo, venne in Collegio alla presenza del serenissimo principe messer Gasparo Contarini, ed espose: che, volendo presentare alla Signoria i capitoli della pace conclusa da lui in Bologna, aveva trovato che nell' esordio della scrittura del cancelliero che l'aveva distesa in Bologna, era stata fatta menzione contro i Turchi inavvertita

mente; e così per inavvertenza del Mazzaruolo, suo segretario, era stata pigliata la copia mandata dietro, dopo la partenza loro da Bologna, non avendo modo nè luogo di poterla rivedere per cammino. Ed avendosi egli riportato a quanto aveva negoziato e concluso riguardo alla pace, che tale menzione non si facesse, non si era curato venendo di rileggere la copia; se non che al presente, facendosela dare dal segretario e scorrendola inanzi di presentarla in Senato, aveva sul bel principio trovato questo disordine avvenuto per inavvertenza dello scrittore, non veduto dal segretario suo per l'incomodità del cammino, e non avvertito da lui per la certezza del suo maneggio della pace, nel quale era sempre stato presupposto ed espresso ed accettato che non si dovesse fare alcuna menzione contro i Turchi, per i rispetti di questa Repubblica: e che, essendo proceduto questo disordine contro l'intenzione degli agenti così estrani come nostri, era venuto alla presenza di Loro Signorie per avvertirle di questo fallo, e per ricordar loro che si dovesse scrivere in Corte all' oratore Suriano, che facesse rimuovere dall' esordio sopradetto le parole aggiunte inavvertentemente; il che senza dubbio si rimuoverebbe senza alcuna difficoltà. Fatta questa esposizione nel Collegio, sebbene a principio paresse cosa non aspettata, pure la scusa di messer Gasparo fu ammessa, e fu ordinato di chiamare il Consiglio dei Pregadi nel dopo pranzo, per fare secondo il ricordo. In quello fu proposto dai Savj di scrivere all'oratore Suriano, che dovesse ritrovarsi cogli agenti che avevano negoziato e scritto i capitoli della pace, e chiaritili che quell' aggiunta era stata fatta contro l'intenzione della Repubblica e contro il maneggio di messer Gasparo, ne facesse rimuovere quelle parole che ci davano fastidio e portavano pericolo allo Stato nostro, e ci mandasse poi i capitoli acconci.

Messer Francesco Foscari, consigliero, fece leggere uno

scontro: che, atteso che messer Gasparo Contarini aveva presentato questi capi della pace coll'esordio sopradetto, fatto contro la sua commissione e contro gli ordini pubblici, la persona sua fosse commessa all'ufficio dell' Avvogaria, dove si dovesse formare processo, come meritava un tanto disordine. Messer Alvise Mocenigo contradisse allo scontro, e dimostrò da un canto, che il peccato era di sola inavvertenza e di sì poca importanza che in un tratto di penna si leverebbe; e dall' altro, se l'opinione del Foscari avesse luogo, sarebbe offesa non solamente la persona di messer Gasparo, così benemerita delle cose pubbliche, che aveva ridotto questo Stato in una pace tanto desiderata, ma che si offendevano insieme tutti gli altri principi che v' intervennero; dimostrando così palesemente che ci era poco grata, col commettere all'Avvogaria di Comune l'oratore che l'aveva conclusa con tante fatiche e vigilie; sicchè, per riverenza di Dio, si dovesse aprire gli occhi e intendere, che questa causa non era di persona privata, ma di tutto lo Stato; e che si guardasse bene di non mettere i piedi in fallo e d'interrompere questo così salutare effetto della pace. Mandata la parte, fu presa secondo l'opinione del Mocenigo e dei Savi; e fu scritto all'oratore Soriano a Bologna, il quale, proposta la cosa agli agenti del Pontefice e di Cesare, furono senza difficoltà rimosse le parole che facevano menzione contro i Turchi, con sodisfazione dell' onore di messer Gasparo Contarini.

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